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Scopri il coraggio di Santa Gemma Galgani. Lei dice a Gesù: voglio patire, e patire tanto per te!

UN AMORE INCONDIZIONATO Nel biennio 1896-1897, mentre la famiglia Galgani è sottoposta a gravissime angustie morali e finanziarie, Gemma, piano piano, si apre sempre più all’amore del Crocifisso e desidera corrispondere allo stesso modo a tanto amore del Figlio di Dio. La sua vita spirituale si affina e si concentra con sempre maggiore intensità attorno all’eucaristia.

« In me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù crocifisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori». E continua: «Un giorno fui presa da tanto dolore nel guardare, cioè fissare cogli occhi il Crocifisso, che caddi in terra svenuta».

« A me mi fa male a stare lontana da Gesù sacramentato », risponde al babbo che si preoccupa per la sua salute e non la vuole troppo presa dalla devozione. Corre in camera e per la prima volta sfoga il suo dolore con Gesù solo.

La preghiera che le sgorgò dal profondo del cuore è questa:

«Ti vo’ seguire a costo di qualsiasi dolore, e ti vo’ seguire fervorosamente; no, Gesù, non vo’ più darti nausea con operare tiepidamente, come ho fatto fino a ora: sarebbe venire da te e recarti disgusto. Dunque propongo: orazione più devota, comunione più frequente. Gesù, io voglio patire e patire tanto per te. La preghiera sempre sulle labbra. Cade spesso colui che spesso propone: che sarà di quello che propone di rado? »

Gemma ama teneramente il babbo, ma non può sopportare interferenze e proibizioni nei confronti di Colui che è già l’unico ed esclusivo amore della sua vita.

L’amore al Crocifisso viene sottoposto a una prova atroce. Gemma deve subire un’operazione chirurgica a un piede a causa di una pericolosa forma di carie ossea e per rimuovere, sempre dallo stesso piede, residui di una tumefazione manifestatasi dopo che un banco gli era caduto addosso nella chiesa delle Oblate dello Spirito Santo.

Ma il cammino di purificazione è ancora molto lungo. Gesù stesso non manca di rimproverarla per i suoi difetti. I rimproveri del Signore provocano un grande dolore nell’animo della ragazza: «Desidererei soffrire le pene dell’inferno in vita, che trovarmi davanti a Gesù inquietato e pormi davanti agli occhi il quadro orribile dell’anima mia, come fece in quel tempo che poi dirò ».

A diciannove anni, la notte di Natale del 1896, Gemma ottiene dal confessore il permesso di emettere il voto di castità. E gusta l’ineffabile gioia del gradimento di Gesù per questa consacrazione.

« Non sapevo che cosa fosse », scrive ingenuamente; « però alla mia idea mi sembrava il regalo più bello che potesse esser caro a Gesù (…)». E infatti «mi ricordo», continua, « che Gesù lo gradì tanto, che da se stesso, dopo la comunione, mi disse che a questo voto ci unissi l’offerta di me stessa, dei miei sentimenti, e la rassegnazione al volere suo. Lo feci con tanta gioia, che passai la notte e il giorno di poi in paradiso ».

Dunque, il Signore si fa sentire sensibilmente a Gemma, che nello slancio della sua giovinezza in fiore gli ha offerto la virtù degli angeli per antonomasia, ossia la castità. Ed è Gesù stesso che la istruisce sul significato profondo del voto da lei pronunciato la notte di Natale. Gemma comprende che essere sposa di un Re crocifisso comporta la rinunzia a qualsiasi altro amore e l’offerta di tutta se stessa «come sacrificio di soave odore». Ma non basta offrire la propria integrità fisica e affettiva; il Signore chiede tutto a Gemma: deve offrire tutta se stessa e abbandonarsi nelle amorose braccia del Padre.

ORFANA PER LA SECONDA VOLTA
Ancora Gesù, direttamente, regge il cuore di Gemma per le grandi sofferenze che bussano alla porta di casa. Babbo Enrico scompare prematuramente a causa di un tumore alla gola. Questa morte, avvenuta 1’11 novembre del 1897, è la causa diretta del tracollo economico dell’intera famiglia, che cade nella più nera miseria.

« Il giorno che morì », narra Gemma, « Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inutili, e lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio, che in quell’istante prendeva lui le veci di Padre celeste e padre terreno».

Con la morte del capofamiglia, i figli restano privi del necessario sostegno e comincia un lento e inesorabile disgregamento della compagine familiare. Per Gemma comincia il tempo forte delle «espropriazioni ». Soltanto tra la fine del 1899 e l’estate dell’anno successivo troverà una nuova famiglia nella casa ospitale dei Giannini.

Gemma impara a distaccarsi da tutto e da tutti per abbandonarsi sola in Gesù solo.

«Vedevo bene che Gesù mi aveva tolto i genitori, e alle volte mi disperavo, perché credevo di essere abbandonata. Quella mattina me ne lamentai con Gesù, e Gesù sempre più buono, sempre più tenero mi ripeteva: “Io, figlia, sarò sempre con te. Sono io tuo padre, la mamma tua sarà quella…” e m’indicò Maria Santissima Addolorata. “Mai può mancare la paterna assistenza a chi sta nelle mie mani; niente dunque mancherà a te, quantunque ti abbia tolta ogni consolazione e appoggio su questa terra. Vieni, avvicinati… sei mia figlia… Non sei felice di essere figlia di Gesù e Maria?” ».

C’è da tenere in grande considerazione la psicologia da orfana della ragazza lucchese. I suoi modi di esprimersi, il parlato, gli scritti, le reazioni della gente al suo modo di fare, i richiami delle sue guide spirituali (angeli e santi!), tutto questo diventa molto chiaro, più comprensibile, al di là del detto e dei silenzi che si intuiscono, se viene riferito al suo stato di ragazza orfana, privata da bambina della madre e da adolescente del padre. Lo sradicamento profondo che ciò ha comportato per la sua raffinata sensibilità, l’espropriazione più radicale che abbia potuto sperimentare nella vita, perché toccava le radici stesse del suo essere nel mondo, ha portato Gemma a una ancora più radicale elaborazione del lutto, risolta nella stupenda risposta alla gratuita chiamata dell’Amore Crocifisso. Sull’orlo della disperazione, durante la malattia, Gemma grida dal profondo: «Prima l’anima e poi il corpo! ». In questo grido di lacerante c’è l’impostazione dei futuri risolvimenti mistici. E la chiave di comprensione del suo cammino ascensionale.






NIENTE DI CHE VIVERE E ALLE SOGLIE DELLA MORTE
«Dopo la morte [del babbo], ci trovammo senza niente; non avevamo più di che vivere. Una zia, saputa la cosa, ci aiutò in tutto, e non volle più che mi trattenessi in famiglia; e il giorno dopo la morte del babbo mandò a prendermi, e mi tenne con sé per più mesi ».

Dalla fine del ’97 fino all’autunno del ’98, Gemma è ospite della zia Carolina residente a Camaiore. Ma la ritrovata serenità familiare è di breve durata. A Camaiore si trova a disagio a causa di vari giovani che le fanno la corte e non può pregare con tutta la libertà che aveva a Lucca. E nella città del Volto Santo ritorna pur sapendo i disagi ai quali andava incontro ancora una volta. Si ammala: viene colpita da osteite delle vertebre lombari con successivo ascesso freddo agli inguini; perde l’uso delle gambe e in seguito viene colpita da una otite media purulenta acuta con partecipazione della mastoide.

In mezzo a tanti dolori, chiede aiuto al Signore: «Una sera, inquieta più del solito, mi lamentavo con Gesù, dicendo che non avrei più pregato, se non mi faceva guarire, e chiedevo a lui in che modo mi faceva stare così malata. L’angelo mi rispose così: “Se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello spirito. Sii buona” ». E aggiunge: « O quante volte nella mia lunga malattia mi faceva sentire al cuore parole consolanti! Ma mai ne facevo conto ».

E giunta agli estremi, ma è rassegnata.

Racconterà in seguito: « … Il giorno 2 febbraio [siamo nel 18991 feci la santa comunione per viatico. Mi confessai e aspettavo il momento di andare con Gesù. Ma adagio! I medici, credendo che io non capissi, dissero tra loro che non sarei arrivata alla mezzanotte. Viva Gesù».

La ragazza guarisce, e in modo miracoloso. Due santi intervengono nella sua guarigione: Margherita Maria Alacoque e Gabriele dell’Addolorata. L’aiutano a non perdere la speranza, le insegnano a pregare suggerendole anche le formule, pregano con lei, la confortano, le tengono compagnia giorno e notte nelle interminabili ore di immobilità assoluta. Hanno nei suoi confronti gesti di squisita tenerezza. In questa circostanza Gemma pronuncia il voto di verginità.

A VITA NUOVA CON L’ANGELO PER MAESTRO
Guarita dalla malattia mortale, Gemma entra decisamente nel periodo più intenso della sua ascesa mistica. Ed entra in scena l’angelo custode, che d’ora in poi sarà la guida tutta speciale nel suo cammino spirituale. Un cammino ancora lungo, un itinerario di purificazione e di conformazione allo Sposo crocifisso intenso e senza pause e rallentamenti.

«L’angelo custode, dal momento che mi alzai, cominciò a farmi da maestro e guida: mi riprendeva ogni volta che avessi fatto qualche cosa di male, m’insegnava a parlar poco e solo quando venivo interrogata. Una volta che quelli di casa parlavano di una persona e non ne dicevano tanto bene, io volli metterci bocca, e l’angelo bello forte mi fece un gran rimprovero. M’insegnava a tener gli occhi bassi, e fino in chiesa bello forte mi rimproverava, dicendomi: “Si sta così alla presenza di Dio?”. E altre volte mi gridava in questo modo: “Se tu non sei buona, io non mi farò più vedere da te”. M’insegnò più volte come dovessi stare alla presenza di Dio: ad adorarlo nella sua infinita bontà, nella sua infinita maestà, nella sua misericordia e in tutti i suoi attributi».

Insomma, l’angelo custode le indica il tipo di rapporto più prudente da tenere in casa, evitando di immischiarsi in inutili polemiche. Vigila sul suo raccoglimento durante le celebrazioni liturgiche e infine la orienta decisamente a vivere alla presenza di Dio con la devota considerazione dell’infinita bontà di Dio, della sua maestà e misericordia. Svolge in pieno la funzione del consiglio e dell’ammaestramento. Durante la settimana santa del 1899, Gemma vive totalmente immersa nella contemplazione della Passione del Signore. La considerazione del mistero d’amore e di dolore sofferto dal Cristo le genera «un orrore grande per il peccato (la grazia più grande che mi ha fatto Gesù). Le piaghe di Gesù rimasero sì bene nella mia mente, che non si sono più cancellate ».

L’angelo custode la guida, la conforta, non manca di richiamarla per i quasi inevitabili difetti. Indirettamente la prepara al grande appuntamento dell’8 giugno, quando Gemma diventerà una copia vivente del Crocifisso e vera figlia della Passione.

Gemma prova inutilmente a entrare in una comunità di suore. La recente malattia alimenta forti dubbi per l’accettazione. Ma la giovane non si rassegna. Percepisce sempre più estraneo l’ambiente familiare, dove l’indigenza, seppure accuratamente dissimulata, e le malattie rendevano tesi i rapporti tra i vari componenti (fratelli, sorelle e zie anziane). Non tutti i Galgani, poi, erano devoti e praticanti; per questo Gemma desidera con tutta l’anima di poter entrare in una comunità di persone consacrate. Sarà la più grande prova della sua vita e la sua più profonda amarezza. Per lei non ci sarà posto in nessun monastero o casa religiosa. Casa Giannini, appartata tra la cattedrale e le mura lucchesi, sarà il suo monastero segreto, nel quale con tutta libertà potrà dispiegare l’onda d’amore verso lo Sposo crocifisso e adempiere la grande missione alla quale il Signore la chiamava.




«Molti», ha scritto monsignor Giuliano Agresti, «si sono scombinati di fronte a questo passo felpato di angeli sul calvario della “sposa crocifissa”, ma a me pare, nella sua misteriosa realtà, come una fiaba luminosa. Al tempo dei “porci con le ali” che vivono nel buio dell`estasi della droga” è un messaggio ristoratore quello degli angeli “senza ali”, ma messaggeri del lume di Dio ».

Sembra una risposta a tono, quella del compianto monsignor Agresti, a quanti liquidano con una battuta perfino la possibilità che «tali cose possano esistere davvero». Gesù ha detto di credere alle sue opere se non si riesce a credere alle sue parole (cfr. Gv 10,25). Gemma Galgani è una di queste «opere», e opera eccellente.

Opera che si conclude nell’abbandono alla croce.

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