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San Francesco e il Sultano d’Egitto

Francesco d’Assisi è stato l’uomo del dialogo ed è l’immagine viva di chi è alla ricerca di una fraternità universale, allargata, ove le differenze – costituite dalla fede e dalla cultura di ciascuno, come anche dalla lingua, dalle tradizioni, dalla vita sociale e politica dei popoli – finalmente sono accolte come risorsa e ricchezza per la propria identità. Il Poverello si è orientato sempre verso l’Altro: Dio, i fratelli, i poveri, i lebbrosi, i nemici, il lupo, il creato…

SAN FRANCESCO E IL SULTANO D'EGITTO

Francesco e il Sultano
Il 24 giugno 1219, festa di san Giovanni Battista, Francesco s’imbarcò ad Ancona, facendo scalo a Cipro e a S. Giovanni d’Acri (presso Haifa, in Israele), da qui s’imbarcò nuovamente per Damiata (o Damietta), roccaforte in riva al mare, che domina sul delta del Nilo, ove arrivò verso la metà di luglio (o di agosto secondo altri storici) accompagnato da molti dei suoi frati. Il 5 novembre assistette alla presa di Damietta da parte dei crociati, rimanendo disgustato della loro sanguinaria cupidigia. Ottenne dal sultano Malik al-Kamil un’udienza che non portò ad alcun risultato, e poi si recò in Palestina dove è probabile abbia visitato il Santo Sepolcro. Venne poi a sapere che cinque dei frati partiti per il Marocco subirono il martirio. Dall’XI secolo in poi fu la crociata a occupare lo spazio delle iniziative della Chiesa cattolica nei confronti del mondo non cristiano.

Il modello di una Chiesa in lotta contro i pagani e le nazioni non rientra nello statuto del francescano. Le masse di combattenti furono la manifestazione di un modo d’intendere la missione della Chiesa nel mondo. La guerra entra nella coscienza che la Chiesa ha della sua missione. Si tratta di non esitare a combattere nel nome di Dio. Lo stesso san Bernardo sembra giustifi care l’azione violenta dei cavalieri che combattono e muoiono per servire Cristo. La morte, in tal caso, diventa un grande guadagno.

Francesco e il Dialogo Questo approccio violento alla missione tra gli infedeli e i saraceni non appartiene all’esperienza di san Francesco nè ai suoi frati che avevano già sperimentato le povertà e le miserie della guerra e le nefaste conseguenze delle stesse crociate. Nell’incontro che san Francesco ebbe con il Sultano d’Egitto, noi troviamo l’inaugurazione di una terza via per la missione.

Infatti, se la prima via fu rappresentata dalle crociate – l’altro è un nemico e, quindi, è da sopprimere -, e la seconda, invece, fu segnata dall’isolamento e dall’emarginazione – l’altro non ha niente da condividere con me -, la terza via fu quella del dialogo e dell’incontro: andare verso l’Altro. Francesco intuisce che il dialogo è lo spazio della missione per confrontarsi con chi non conosce il Vangelo e non ha sentito parlare di Gesù Cristo. Questo spazio della missione non si regge sul rigido principio della verità, bensì su quello benevolo della carità. E’ evidente che Francesco e i suoi frati, da un lato, e i loro contemporanei, come Innocenzo III e il cardinal Ugolino, dall’altro, vivevano in due mondi diversi, con differenti teologie e linguaggi. Per la maggior parte dei contemporanei di Francesco, nella Chiesa e nella società, Dio era il Dio della potenza e della ricchezza, che giustificava le crociate e la loro violenza per riconquistare la Terra Santa. Per Francesco, invece, Dio era il Dio dell’umile servizio che invitava i frati ad andare fra gli altri nello spirito della non violenza e della pace, per condividere il loro lavoro e la loro vita e costruire così una società fraterna che comprendesse tutti gli abitanti della terra.

Questa missione di pace era fondamentalmente la stessa, sia che fosse svolta fra i cristiani o fra i musulmani. In base alla sua esperienza di Dio, Francesco leggeva il Vangelo in un modo radicalmente diverso rispetto a quello delle autorità ecclesiastiche. Esisteva, quindi, un innegabile conflitto fra Francesco e i suoi frati, da un lato, e la cultura dominante nella Chiesa e nella società, dall’altro. E’ all’interno di questo conflitto che bisogna intendere l’espressione divina inspiratio di Rnb 16,3. Solo l’Altissimo poteva ispirare a Francesco e ai suoi frati di andare in missione di pace fra i saraceni.






Francesco e l’annuncio cristiano
Francesco e i suoi frati invitavano le persone a quel dialogo della vita nel quale la verità non è posseduta da qualcuno, ma è scoperta insieme agli altri attraverso la condivisione delle esperienze di vita. L’approccio di Francesco, che indusse lui e i suoi frati ad andare fra persone di diversa cultura e religione in spirito di umile servizio e senza atteggiamenti di superiorità, fu quindi anzitutto un processo di apprendimento, un cammino di scoperta. L’annuncio del Vangelo è il cuore della Regola.

Perchè il frate esiste per gli altri e agisce nel nome di Cristo per il bene del mondo. Francesco, uomo evangelico, ha fatto della strada e delle città un luogo teologico, uno spazio concreto di testimonianza e di annuncio cristiano. Egli ha vissuto il contatto con il mondo e le persone quale vie di annuncio per il Vangelo. Il Poverello, infatti, ci suggerisce questi cambi di paradigma o mentalità. Non semplicemente extra ecclesiam nulla salus (fuori dalla Chiesa non c’è salvezza) – antico adagio che ha trovato nel medioevo le sue espressioni più forti, fino alla prima metà del Novecento -, bensì: extra mundo nulla salus (fuori dal mondo non c’è salvezza); quasi a voler dire che il mondo non è l’antagonista della salvezza, ma il destinatario della “buon novella”, il partner stesso della Chiesa e della sua missione. I frati, innanzitutto, devono “stare nel mondo”: è il presupposto o premessa al “come” (metodo) agire nel mondo.

Infatti, nonostante gli innesti dalla missione degli apostoli (cf. Lc 9,1-4) e luoghi paralleli, la serie di citazioni – a cui attinge Francesco – rinvia soprattutto al racconto lucano sulla missione dei settantadue discepoli che, con tutta probabilità, costituisce il terzo passo incontrato alla triplice apertura dei Vangeli (cf. Lc 10,1-12: esclusiva di questo episodio è la formula esplicito del saluto di pace, citato anche in Rb 3,13 e variato in 2Test 23).

Francesco Testimone di amore e verità
Francesco volle formare i suoi frati alla missione per un dialogo sereno e sincero con il mondo e le altre religioni. Egli raccomandava loro d’amare e di stimare gli infedeli (non solo i saraceni, ma ogni pagano, qualsiasi persona non battezzata) e di non credersi affatto migliori di loro, poichè se gli infedeli avessero ricevuto le grazie date ai missionari, essi sarebbero diventati migliori di loro.

L’amore e la stima non debbono venir meno nè per i loro peccati nè per la loro malizia, perchè i frati sono destinati a liberare coloro che sono nell’errore. Il Poverello sapeva di “essere posseduto” dall’amore di Dio e dalla verità di Cristo che salva, e non “di essere la verità”. E’ questo lo stile cristiano dell’annuncio e del dialogo con il mondo e le altre religioni. I frati sono testimoni dell’Amore e della Verità che rende liberi. Essi non si sentono migliori degli altri. La Verità, poi, non s’impone: perchè si rende credibile nel vissuto quotidiano dei discepoli. Una verità che avesse bisogno d’essere dimostrata sarebbe solo una “mezza verità”. La Verità che ci conquista – forma storica dell’Amore, suo volto – ci rende pieni di zelo per gli uomini e le donne del nostro tempo e ci accende il cuore fi no a quando tutti i popoli della terra non conosceranno il Cristo, Signore del tempo e della storia. Francesco si sentiva posseduto da una Verità più grande delle sue stesse forze, della sua parola, della sua stessa fede e del suo medesimo amore verso Cristo e i fratelli.

Francesco e l’identità del Cristiano
Francesco aveva compreso che l’identità del cristiano – flessibile, cioè capace di confrontarsi con le mutate condizioni sociali e politiche del mondo, nonchè di vincere preconcetti e forme d’intolleranza. E’ un’identità che vive della volontà d’incontrare l’altro, che sente il desiderio del dialogo, senza cedere alla tentazione del relativismo e abdicare alla propria storia e tradizione.

Questa identità religiosa è anche culturale e ammette dei cambiamenti, delle trasformazioni. Là dove la compagine ecclesiale ha paura del confronto, dell’apertura, soprattutto nel sapersi minoranza, e là dove il cristianesimo s’identifica con l’Occidente, questa stessa identità cristiana è soggetta a pericoli di chiusura, a divenire un dato culturale e sociologico del passato. La Chiesa cattolica può potenziare la propria presenza e influenza sulla società, ma non è in grado di vivere l’annuncio del Vangelo nel mondo senza questo dialogo con l’altro. Orientandosi verso l’Altro, Francesco testimonia che l’identità cristiana si esprime nell’“essere anti-segno”, nell’attraversare tutte le culture e fedi senza assumerne in misura totalizzante alcuna, come anche nel non averne una in particolare ma tutte, a partire dall’esperienza viva del Vangelo e dalla gioia di essere nascosto con Cristo in Dio.




Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it/Edoardo Scognamiglio

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