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‘Salvate la mia bambina accusata di stregoneria’

Da mesi, ormai, Marthe non poteva più dormire. Per paura. Paura che, mentre riposava, le portassero via Oceane, la sua bambina. Nata un anno e otto mesi fa con la spina bifida in un villaggio vicino a Yamoussoukro, in Costa d’Avorio, a pochi giorni di vita Oceane era già considerata una “strega”. “Ho partorito in casa.

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Quando Oceane è nata mi hanno detto che questa bambina non era normale e doveva essere uccisa. Nel villaggio quando un bambino nasce con una malattia “bizzarra” è una stregoneria. Ma io mi sono opposta, ho detto che li avrei denunciati. Così sono stata isolata dalla mia famiglia e da tutta la comunità”.

Marthe si è ritrovata sola e, da sola, ha trovato la salvezza per sua figlia. La sua prima vittoria: riuscire a farla curare in Italia. Ora però dovrà far ritorno proprio in quel villaggio dove è stata “maledetta”. Seduta su una panchina nel giardino della casa di accoglienza della associazione Kim di Roma, Marthe piange mentre tiene in braccio Oceane, le accarezza la manina, la bacia. Riprende fiato: “Ho saputo di bambini uccisi per questa malattia. Te li portano via di notte mentre dormi o addirittura ti dicono che il bambino è nato morto. Ma sono loro a ucciderlo”.

Nonostante la suggestione ancestrale, quello dei “bambini stregoni” è un fenomeno che riguarda soprattutto l’Africa subsahariana. Una credenza diffusa nelle fasce più povere della popolazione. L’accusa può colpire anche bambini appena nati con una deformità.

Per operare Oceane servivano l’equivalente di 800 euro, troppi per una coppia di un villaggio rurale: “Anche il padre mi ha abbandonata quando ha saputo quanti soldi occorrevano. Ora non so nemmeno dove sia”.

Con l’aiuto di un giornalista Marthe è riuscita a far pubblicare una foto e un appello sul giornale: “Aiutatela in nome di Dio”. Così la storia è venuta all’attenzione dell’associazione Kim, che opera in Costa d’Avorio. Paolo Cespa, Jean Fe Bi ed Elena Stefanini si sono subito attivati per pagare l’intervento che però non è andato a buon fine: “Prima Oceane muoveva i piedi – spiega Marthe – dopo non li ha più mossi”. E poi la testa ha cominciato a gonfiarsi.

L’associazione allora è riuscita a trovare il denaro per portarle in Italia a novembre. Ad attenderle in aeroporto c’era Elena, la segretaria, che ha seguito questa storia fin dall’inizio: “Marthe mi ha confessato in lacrime che finalmente poteva chiudere gli occhi e dormire, perché nessuno le avrebbe fatto del male”. La situazione di Oceane era molto seria secondo i medici del reparto di Neurochirurgia del Gemelli e si è deciso di operare d’urgenza. Le cure sono state pagate da un fondo del ministero della Salute per ragioni umanitarie.


Assieme a Marthe e Oceane, nella “Casa di Kim”, sulle colline della Pisana, ci sono un’altra dozzina di bambini dal Medio Oriente, Africa, e Balcani, tutti con patologie molto gravi. Nel proprio Paese il sistema sanitario non è in grado di guarirli quindi sono qui, assieme a un genitore, per essere curati in ospedali italiani.

Ora Oceane sta meglio. Insieme alla mamma ripartirà fra qualche giorno per la Costa d’Avorio, ma Marthe è preoccupata: “Ho molta paura di tornare al mio villaggio. Se potessi avere una casa ad Abidjan sarei molto contenta di ricominciare là”. Ora, però, dovrà tornare proprio dove questo incubo è cominciato: “L’associazione purtroppo non può provvedere a tutto – spiega Jean Fe Bi, consigliere di Kim onlus e dipendente dell’ambasciata della Costa d’Avorio presso la Santa sede – Come farà questa bambina a sopravvivere con la carrozzella nelle strade piene di fango di in un villaggio? Servirebbe un’anima generosa che doni mille o duemila euro per darle la possibilità di ricominciare una vita ad Abidjan”.

Redazione Papaboys (Fonte www.repubblica.it/Matteo Merini)

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