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Rapiti da Dio Due mesi nelle mani di Boko Haram

Una testimonianza unica – pubblicata da Emi – dei cinquantasette giorni che don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, fidei donum della diocesi di Vicenza, hanno trascorso, insieme alla missionaria canadese Gilberte Bussière, nelle mani dei fondamentalisti. Un’esperienza ”non cercata ma vissuta nella fraternità e che, nonostante le privazioni vissute, ci ha sicuramente arricchito”

Boko Haram

“Il 4 aprile 2014, verso le 22.45, i rapitori arrivano in gruppo alla missione di Tchéré”. Si apre così, senza fronzoli né retorica, il libro “Rapiti da Dio – due mesi prigionieri di Boko Haram”, pubblicato dalla Emi (Editrice missionaria italiana). Una testimonianza unica dei cinquantasette giorni che don Gianantonio Allegri e don Giampaolo Marta, fidei donum della diocesi di Vicenza, hanno trascorso, insieme alla missionaria canadese Gilberte Bussière, nelle mani dei sequestratori. Oltre due mesi passati sotto tre tamarindi nella foresta nigeriana, dove i tre sono stati condotti dopo il loro rapimento, avvenuto nella diocesi di Maroua-Mokolo, nella provincia camerunense dell’Estremo nord. “Un’agendina nuova e una penna – spiegano i missionari – hanno permesso a suor Gilberte di realizzare questo diario clandestino, di fissare pressoché quotidianamente avvenimenti, riflessioni, condivisioni, sotto l’occhio ostile dei nostri rapitori. E ci ha aiutato a dare senso a questa esperienza, non cercata ma vissuta nella fraternità, nella preghiera, nella spoliazione, e che nonostante le privazioni vissute ci ha sicuramente arricchito”.
 
La vita in detenzione. Il testo non racconta solo delle difficili condizioni di detenzione e delle “lunghe” notti da trascorrere in quello che chiamano, ironicamente, “albergo sotto le stelle”. Un tempo scandito dalla preghiera, dalle passeggiate attorno al loro rifugio nell’attesa di una liberazione che sembrava non arrivare mai e dai pranzi sempre uguali: minestra di spaghetti a pranzo e cipolle alla sera. Tutto mentre, a pochi chilometri di distanza, l’aviazione nigeriana bombarda gli accampamenti dei miliziani. Il rapimento dei tre religiosi si colloca, infatti, nel pieno dell’intensificarsi delle operazioni del gruppo nel nord del Camerun. Una strategia continuata negli ultimi mesi con ripetuti attacchi, sempre più spesso condotti da kamikaze: l’ultimo, domenica 11 ottobre, ha provocato 11 morti.
 
L’Eucarestia nella foresta. È in questa esperienza che i tre hanno saputo cogliere i segni della Grazia. “Lì, nella foresta nigeriana – scrivono -, stanchi, confusi, impauriti… quella stessa mattina (la prima, ndr) ci vennero consegnati alcuni ‘oggetti’ presi dalle nostre stanze. Una borsa con il necessario per celebrare l’Eucarestia. Quale meraviglia: i rapitori certamente non avevano l’idea di cosa fosse. Così per quattro giorni (poi tutto ci è stato ritirato) abbiamo celebrato accanto a chi ci aveva rapiti e recitava il Corano”. Pane e Parola sono stati i loro compagni di viaggio: ogni giorno don Gianantonio proponeva un brano del Vangelo che diventava tema di riflessione e condivisione. “Riflettendo – continua suor Gilberte nel suo diario – ci siamo detti: non abbiamo voluto questa situazione e non possiamo cambiarla, ma possiamo cambiare il nostro atteggiamento nell’affrontarla”.
 
Le violenze di Boko Haram. Ma non è stato sempre facile, soprattutto di fronte alla lunga attesa e alle difficoltà nelle trattative. Un guardiano confida loro che il gruppo pretendeva la restituzione di armi sequestrate dall’esercito del Camerun e di “parte del riscatto che era stato dato dalla Francia per padre Georges Vandendeusch”, il missionario francese rapito nel novembre 2013 e rilasciato un mese e mezzo dopo, soldi poi “rubati dal negoziatore camerunense che avrebbe dovuto consegnare il riscatto”.
 
La liberazione. I giorni passano sempre uguali fino al 31 maggio 2014, quando i tre missionari vengono rilasciati al termine di “uno scambio di prigionieri”. “Temevamo che il libretto ci fosse sottratto prima del rilascio – raccontano -, così al momento della partenza ci siamo suddivisi i fogli: qualcosa passerà, ci siamo detti. Invece il diario è giunto integro, e ora desideriamo condividerlo con chi vorrà leggerlo. Con semplicità e umiltà, nella consapevolezza che questa esperienza non è solo nostra, ma appartiene anche a chi l’ha accompagnata con la preghiera, e dunque ha segnato non solo la nostra vita ma anche quella dei tanti che ci sono stati vicini”.

Redazione Papaboys (Fonte www.agensir.it/Michele Luppi)

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