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Questa è la notizia più grande della storia (dopo Cristo): anche noi Risorgeremo!

Dio ha creato l’uomo per la felicità e l’immortalità. Perché allora la sofferenza e la morte attanaglia l’umanità?
La parola di Dio (Sap. 2,23) dice: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della sua natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo». Satana, ribellatosi per orgoglio a Dio, suo Creatore, lo odia e nutre una grande invidia verso gli uomini perché questi andranno a occupare i posti lasciati liberi dagli Angeli ribelli. Non potendo sfogare il suo odio contro Dio, lo sfoga contro gli uomini, sue creature predilette, tentandoli a ribellarsi a Dio per far perdere loro il Paradiso.
La prima a essere tentata da Satana fu Eva, la quale, sedotta dalle sue lusinghe, disubbidisce e rende disubbidiente anche Adamo: commettono un peccato grave d’orgoglio, di superbia, di ribellione a Dio, chiamato peccato originale, perché commesso da Adamo ed Eva, origine dell’umanità. Commesso il peccato originale, ecco echeggiare la voce della Giustizia Divina (Gen. 3,16-19): «Il Signore Dio disse alla donna: Moltiplicherò i tuoi dolori e i tuoi parti, con dolore partorirai i figli; sarai sotto la potestà del marito ed egli ti dominerà — Poi disse ad Adamo: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dell’albero, di cui ti avevo comandato:
non ne devi mangiare, maledetta sia la terra per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita… Con il sudore della tua fronte mangerai il pane, finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere eri e in polvere ritornerai!». Questa è stata la condanna della Giustizia Divina contro l’uomo ribelle, e da quel giorno doloroso il nostro povero corpo è diventato la vittima della fatica, della sofferenza e della morte. Però verrà un giorno, l’ultimo dei giorni, e su quella polvere, in cui si è ridotto il nostro corpo, echeggerà onnipotente il comando della Misericordia Divina: «Sorgete, o morti!». La nostra morte non è eterna ma temporanea, fino alla fine del mondo!

 






Il nostro corpo risorgerà

È verità di fede che alla fine del mondo, nel tempo fissato da Dio, tutti i corpi risorgeranno per unirsi definitivamente alle loro anime, per essere presenti al Giudizio Universale e per partecipare anch’essi al premio o al castigo eterno.
Questa verità ce la garantisce la parola infallibile di Dio. Alcune citazioni.
1) 2° Mac. 7,9 — Uno dei sette fratelli Maccabei, mentre sta per subire il martirio, parla così al tiranno Antioco Epifane: «Scellerato! Tu ci togli la vita presente, ma il Re dell’universo ci risusciterà per una vita eterna, perché noi moriamo per essere stati fedeli alle sue leggi».
2) Dan. 12,2: «Coloro che dormono nella polvere della terra (i morti) risorgeranno gli uni (i buoni) per la vita eterna, gli altri (i cattivi) per l’ignominia e l’obbrobrio eterno».
3) Giov. 5,28-29: «Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri (i morti) udranno la sua voce (la voce di Gesù) e usciranno fuori: quanti fecero il bene, per una resurrezione di vita, e quanti fecero il male, per una resurrezione di condanna».
4) La Chiesa ha definito nel Conc. Ecum. Lateranense IV: «Tutti risorgeranno col proprio corpo che hanno ora».
5)Il Catechismo di S. Pio X, rispondendo alle domande 157 e 158, dice: «Alla fine del mondo ci attende la resurrezione della carne e il giudizio universale.
Resurrezione della carne significa che il nostro corpo, per virtù di Dio, si ricomporrà e si riunirà all’anima per partecipare, nella vita eterna, al premio o al castigo da essa meritato».
6) Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ai numeri 997-1001, dice: «Con la morte, separazione dell’anima dal corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo risorto. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della Resurrezione di Gesù. Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti, nell’ultimo giorno, alla fine del mondo. Infatti la Risurrezione dei morti è intimamente associata alla Parusia di Cristo».
7) Si riporta per ultimo la citazione del Profeta Ezechiele, perché egli, dopo una visione avuta al riguardo, descrive al vivo la resurrezione dei corpi.
(Ez. 37): «La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt’intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite. Mi disse: “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?”. Io risposi: “Signore Dio, tu lo sai’ Egli mi replicò: “Profetizza su queste ossa e annunzia loro: ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa:
Ecco io faccio entrare in voi lo spirito (cioè l’anima) e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: saprete che io sono il Signore. Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle la ricopriva, ma non c’era lo spirito in loro (perché con la morte l’anima si separa dal corpo e, secondo lo stato in cui si trova al giudizio di Dio, va al Paradiso, o al Purgatorio, o all’Inferno). Egli aggiunse: “Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell’uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito vieni dai quattro venti e soffia su questi morti perché rivivano. Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi (alla resurrezione l’anima si unirà definitivamente al suo corpo risorto) e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande sterminato.
Mi disse: Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la gente d’Israele (cioè tutta l’umanità) Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti (come dicono tanti:una volta che si muore, tutto è finito per sempre).
Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore di Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’israele (cioè in Paradiso come rispose la Madonna a Fatima quando Lucia le domandò quale fosse il suo paese: il mio paese è il Cielo). Riconosce rete che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi risuscìtrò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito (cioè l’anima, creata da Dio, e separata dal corpo fino al giorno della risurrezione) e vivrete; vi farò riposare nel vostro paese (il Paradiso); saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”. Oracolo del Signore Dio».

Ce lo conferma la nostra ragione e lo richiede la natura umana

1)IL bisogno di vivere sempre è l’istinto più vivo e più profondo della natura umana. La natura, come abbiamo già dimostrato prima, creata da Dio, non inganna gli esseri nel loro istinto. Ora se nell’uomo c’è questo bisogno istintivo di vivere sempre, necessariamente ci deve essere la resurrezione che ci farà vivere eternamente.
2) Per noi uomini il corpo non è un sovrappiù, ma è parte integrante della nostra natura umana perché l’uomo è composto essenzialmente di anima e di corpo, di materia e di spirito. La natura dell’uomo è completa soltanto quando quest’anima e questo corpo sono uniti insieme: la loro separazione è una cosa contro natura, dovuta al peccato originale, e quindi non può durare per sempre.
3) L’anima, uscita dal corpo ad opera della morte, sopravvive perché è spirituale e immortale, però in uno stato mutilato, forzato, innaturale che le fa desiderare ardentemente riunirsi al proprio corpo. Perciò la natura ci dice che Dio non può collocare l’uomo nello stato di assoluta felicità lasciandolo dimezzato senza corpo.
La condizione naturale dell’anima è conoscere e agire in dipendenza e in collaborazione con i sensi e gli organi del corpo. Questo corpo per l’anima non è un peso, un ingombro, quasi un busto fastidioso che l’opprima, impedendole di svolgere un’attività puramente spirituale alla maniera degli Angeli. Purtroppo se sulla terra il corpo aggrava e ostacola in parte l’anima, ciò è conseguenza della caduta di Adamo, però non è condizione naturale. In Paradiso, per la redenzione completa di Gesù Cristo, questa conseguenza negativa verrà tolta.
6) La nostra resurrezione è un atto di rigorosa giustizia. Dio, intimamente giusto, deve dare a ciascuno un premio o un castigo secondo le opere fatte. Se nell’altra vita premiasse o castigasse soltanto l’anima, il suo premio o il suo castigo non sarebbe adeguato, perché l’anima nostra per operare il bene o il male si serve del corpo. Perciò è giusto che nell’altra vita anche il corpo partecipi al premio o al castigo dell’anima. San Tommaso d’Aquino afferma che per l’anima e il corpo si richiederà sempre la loro unione, perché come è stato tutto l’uomo (anima e corpo) a meritare o a demeritare, così è giusto che sia premiato tutto l’uomo: anima e corpo.
7) L’uomo ha una funzione insostituibile nel creato. L’uomo come tale è un tipo di creatura che non deve scomparire, altrimenti, secondo la logica, dovrebbe scomparire tutta la natura materiale. Dio, dopo aver creato gli Angeli, puri spiriti, creò prima gli esseri solo materiali — minerali, vegetali e animali —‘ poi creò l’uomo, spirito e materia, compendio dell’universo spirituale e di quello materiale. Compendio però né temporaneo né puramente decorativo, ma compendio essenziale all’esistenza stessa del creato.
Le nature superiori all’uomo — i puri spiriti: Dio e gli Angeli — non sentono alcun interesse per le cose materiali, perché non ne ricevono alcun vantaggio. Le nature inferiori — minerali, vegetali, animali — certamente se ne avvantaggiano, però, essendo prive d’intelligenza, non saranno mai in grado di riconoscerne e lodarne formalmente il Creatore. E allora a che cosa servirebbe l’universo sensibile senza la presenza di chi lo possa godere con i sensi e con lo spirito, valorizzandolo alla glorificazione di Dio? La ragione infatti dell’esistenza di qualsiasi creatura non può essere che la glorificazione diretta o indiretta di Dio. Orbene gli esseri materiali, che non posseggono né mente né cuore per elevarsi a Dio, costituiscono per l’uomo dei rivelatori delle perfezioni divine e dei muti ma eloquenti annunciatori dei benefici divini. Così gli esseri materiali sono mezzi di ascensione della mente e del cuore dell’uomo a Dio e, mediante l’uomo, glorificano il Creatore di tutte le cose.
Ecco dunque la missione cosmica per la quale Dio ha riunito in sintesi le perfezioni della natura spirituale e di quella materiale e ne ha formato un nuovo tipo di creatura: l’uomo. In lui, con lui e per mezzo di lui, dotato di vita intellettiva e sensitiva, finalmente tutto il mondo della materia può conoscere, amare e servire formalmente il suo Dio. Il cuore e la mente dell’uomo non sono per lui solo, ma sono destinati a costituire la mente e il cuore di tutti gli esseri materiali. Così nel creato tutto glorifica il Signore in quanto, prestandosi e consumandosi a vantaggio dell’uomo, gli serve per conoscere meglio Dio e amarlo sempre più.
Perciò se in seno al creato cessasse d’esistere l’uomo, verrebbe a mancare l’unico intermediario capace di ricevere le prestazioni materiali delle nature inferiori e convertirle in servizio formale di Dio. Il mondo della materia perderebbe tutto il suo significato e il suo scopo e quindi, logicamente, dovrebbe essere tolto via, come si tolgono via le cose inutili.
Perciò la natura ci dice che l’esistenza del mondo materiale — che esisterà sempre — esige la presenza dei nostri corpi materiali sempre in mezzo ad essa.
8) Inoltre, se riflettiamo bene, la natura stessa, che ci circonda, ci conferma questa verità e ci predica ad alta voce che anche noi un giorno dovremo risorgere. Dice bene Tertulliano, Apologista cristiano dei primi secoli della Chiesa, che «prima di farci la promessa della resurrezione, Dio ci diede per maestra la natura perché ci istruisse del mistero della nostra resurrezione».
Nella natura noi troviamo come degli abbozzi della nostra futura resurrezione: il sole che tramonta la sera (come se morisse), ma poi risorge la mattina; l’albero che in autunno si spoglia delle foglie e sembra morire, ma venuta la primavera, risorge rivestendosi delle sue pompe; l’erba che dissecca e poi rinasce nei prati; il seme che sembra morire sottoterra e poi risorge per riprodursi; il bruco, quasi stanco della vita, s’intesse il proprio sepolcro, il bozzolo, e vi rimane immobile per qualche tempo come morto, ma poi risorge come agile farfalla che con le sue ali variopinte si libra nell’aria, ecc., sono altrettanti simboli che ci mostrano come ciò che sembra morire, rivive, si rinnovella.
Ora soltanto l’uomo, sovrano di tutti questi esseri, sarà condannato a morire senza rinascere, a marci- re nella tomba senza più risorgere? L’uomo, creato ad immagine di Dio, creato per l’immortalità, sarà forse da meno della pianta, del fiore, del seme, del verme? E impossibile! Egli risorgerà riprendendo il suo stesso corpo rinnovellato e trasfigurato in una gloria immortale, come dice Dante (Purg. c. 10): «Non vi accorgete voi, che noi siam verminati a formar l’angelica farfalla, — che vola alla giustizia senza schermi?
Dunque la certezza della nostra resurrezione si fonda anzitutto sulla parola infallibile di Dio, e poi sulla ragione e sulla natura stessa, perché Dio l’ha scritto indelebilmente nel nostro cuore e scolpito a tratti luminosi in tutte le sue opere.


Il nostro corpo risorgerà: ce lo dice pure la condotta di Dio e della Chiesa

Con quanto amore e rispetto, con quanti favori tratta il nostro corpo Dio stesso: appena nato Egli lo santifica con il Battesimo; lo consacra e lo rinvigorisce con la Cresima; lo nutrisce con il Corpo e il Sangue di suo Figlio fatto uomo, Gesù Cristo, e lo fa diventare membro del suo Corpo Mistico. E quando si avvicina la morte, Dio ha per il corpo ancora un altro Sacramento, l’Unzione degli Infermi, che lo purifica dalle colpe e dalle loro conseguenze.
La Chiesa, fedele interprete e custode delle divine promesse, si prende cura del corpo anche dopo la morte. Prende possesso del cadavere e lo circonda con le sue preghiere. In chiesa il cadavere viene posto dì fronte all’altare maggiore, dove viene celebrata la Messa, che è la rinnovazione del Sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce, in suffragio dell’anima del defunto.
Terminata la Messa, il cadavere viene portato e sepolto nel cimitero, parola greca che significa dormitorio, in attesa della sveglia della resurrezione.
Gesù chiama la morte sonno (Mat. 9,18-26): «Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi (si chiamava Giairo) che gli si prostrò innanzi e gli disse: “Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà”. Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli. Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti (questi venivano chiamati per accompagnare il feretro con suonì mestì) e la gente in agitazione, disse: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme” Quelli si misero a deriderlo (perché la fanciulla era realmente morta). Ma, dopo che fu cacciata via la gente, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E se ne sparse la fama in tutta quella regione».
Così nel Vangelo di San Giovanni (1, 11-15): «Il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensavano che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voì dì non essere stato là, perché voi crediate (facendo risuscitare Lazzaro, i suoi discepoli avrebbero creduto ch’Egli era realmente anche Dio, perché il miracolo lo può fare solo Dio)».
La morte è quindi come un sonno. La sera noi andiamo a letto e ci addormentiamo. Al mattino, quando suona la sveglia, ci destiamo. Così il corpo dorme nel letto della sua tomba. Ma al mattino della resurrezione, quando suonerà la sveglia di Dio, il corpo risorgerà.
Noì risorgeremo. E mai possibile che Dio, che ha tratto il nostro corpo dalla polvere, lo ha abbellito così seducente, lo ha innalzato fino all’unione mistica con Cristo, alla fine lo abbandoni alla distruzione eterna?
Assolutamente no, altrimenti significherebbe che Dio è impotente a rifare il suo capolavoro. Si dovrebbe dire che sia stato più potente Satana nel fare il male, che Dio nel fare il bene, perché Satana, spingendo Adamo alla disubbidienza, avrebbe inflitto alla sua discendenza, cioè a tutta l’umanità, un danno a cui neppure la morte e resurrezione di Gesù Cristo avrebbe potuto rimediare, rendendo incompleta la Redenzione! Una cosa assolutamente assurda!

Come si effettuerà il grande avvenimento della resurrezione?

Il grande miracolo della resurrezione del nostro corpo sarà operato dall’onnipotenza divina. Dio che in un istante trasse dal nulla l’infinita varietà degli esseri che popolano l’universo, in un istante strapperà alla morte i corpi di tutti gli uomini, li richiamerà alla vita eterna e rinnoverà l’universo per la felicità dei suoi figli beati.
Qualcuno potrebbe dire: come è possibile che il corpo dell’uomo risorga identico a se stesso, cioè con quella stessa carne che aveva prima, se l’azione dìstruggitrice del tempo l’ha ridotto in polvere, se l’azione distruggitrice del fuoco l’ha ridotto, nel forno crematorio, in cenere? Non dobbiamo dimenticare che quello che a noi sembra difficile o impossibile, non è tale per Dio. E vero che i nostri corpi, marcendo nella terra, si ridurranno in polvere, o, bruciando nel forno crematorio, in cenere, però gli atomì dei diversi elementi, che hanno composto il nostro corpo non vengono distrutti, non vengono annullati, ma, pur dispersi sulla terra, rimangono.
Inoltre bisogna ricordare che, come afferma la scienza, il nostro corpo, nel corso di sette anni, si rinnova totalmente in tutte le sue parti, in tutti i suoi elementi che lo compongono. Quindi se io ho oggi settanta anni, il mio corpo si è totalmente rinnovato per ben dieci volte. Ebbene l’infinita Sapienza e Onnipotenza di Dio rintraccerà gli atomi appartenuti ai miei, per così dire, dieci corpi, ovunque si trovino, ovunque le forze della natura li avranno dispersi, e ricostruirà il mio corpo.
Dio, che ha saputo trarre dal nulla tutte le cose e ha saputo costruire una prima volta il nostro corpo, sarà certamente in grado di ricostruirlo una seconda volta.
Concludo l’argomento della resurrezione dei corpi, riportando quanto ha scritto un grande Santo della Chiesa, Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, nella sua «Vita dei Papi». «Mentre molti cristiani davano con gioia la vita per la fede, Dio per sostenerli nella lotta ed accrescere sempre più il numero dei fedeli, operava molti prodigi nei fasti della Chiesa. Fra i molti prodigi è meraviglioso quello dei «Sette Dormienti».
Questo prodigio sembrò a molti (affetti da fobia verso ciò che sa di miracoloso) così strano e impossibile da negano per priorismo, senza però — come fa notare San Giovanni Bosco — studiare e leggere attentamente i documenti che ce lo assicurano.
L’imperatore romano Decio (249-25 1), visitando le provincie dell’impero, giunse a Efeso, città dell’Asia minore. Per cattivarsi la benevolenza del popolo, decide di fare un solenne sacrificio alle divinità della città e comandò che tutti vi prendessero parte.
Molti cristiani, per sottrarsi al sacrificio idolatrico, fuggirono in diversi paesi. L’imperatore, sdegnato contro di essi, comandò di ricercarli e condurli in piazza per assistere, sotto minaccia di torture, al sacrificio pubblico alle divinità cittadine.
Fra quelli che si rifiutarono di prendere parte al sacrificio sono famosi sette giovani, chiamati comunemente «I sette Dormienti», i quali appartenevano alle principali famiglie di quella città. Alla notizia dei supplizi, cui erano sottoposti i cristiani, essi, per non rinnegare Cristo, andarono in un luogo remoto per pregare Dìo d’infondere nei loro cuori fortezza e coraggio per loro stessi e per coloro che si trovavano nel pericolo di essere tormentati per la fede. I nomi di questi giovani sono: Massimiano, Malco, Martino, Giovanni, Dionigi, Serapione, Costantino.
Intanto si trovano a passare da lì alcune guardie che, riconosciutili, vanno subito a denunziarli all’imperatore, il quale ordina loro di condurli alla sua presenza. I sette giovani, per nulla intimoriti, si rifiutano al suo ordine di sacrificare agli dei e gli dicono: Noi abbiamo consacrato la purezza del nostro cuore a Dio, Creatore del Cielo e della terra, come possiamo sacrificare ai falsi dei, che non sono altro che vana nullità!?
L’imperatore, in segno di disprezzo, ordinò che fossero spogliati delle loro divise militari e fossero tolte loro le collane d’oro, segno della loro nobiltà. Poi fissò loro un termine per riflettere e decidersi a sacrificare agli dei: Se persisterete nel vostro rifiuto, vi farò morire fra i tormenti.
I sette giovani cristiani, approfittando di quei pochi giorni concessi loro per riflettere, venderono i beni che fu loro possibile e del ricavato parte la riservarono per loro, e parte la diedero ai poveri. Poi tutti insieme, usciti dalla città di nascosto, salirono sopra il monte prospiciente. Trovata ivi una grotta, vi si rifugiarono per tenersi nascosti e pregare Dio di sostenerli nell’imminente prova. Il monte del loro nascondiglio si chiamava Oclon. Stettero ivi diversi giorni e, sia per vivere inosservati, sia per comprare i cibi necessari, sia per sapere come andavano le cose, mandavano in città il loro compagno Malco, travestito da mendicante. Cosi giovani vennero a sapere che l’imperatore cercava i cristiani, specialmente loro sette, per farli condannare a morte.
Udite tali cose, quei santi giovani alzarono le mani al cielo pregando Dio di farli uscire vittoriosi dall’imminente martirio. Poi, abbandonandosi nelle mani divine, si posero tranquillamente a sedere e a mangiare. Mentre parlavano insieme, si addormentarono.
Piacque a Dio onnipotente — dicono i documenti di questo racconto — che il sonno di questi giovani fosse come una specie di morte, per dimostrare che Lui solo è il padrone della vita, che Lui solo può darla, toglierla, conservarla finché vuole e nel modo che vuole.
Di lì a poco l’imperatore Decio tornò a Efeso e, fatte fare accurate ricerche, venne a sapere che i giovani si erano rifugiati in una grotta del monte Oclon, pronti a sacrificare la vita anziché rinnegare Gesù Cristo. L’imperatore, montato in collera, comandò di andare a chiudere immediatamente la grotta con grossissime pietre per farli restare lì sepolti vivi.
Intanto, senza che Decio ne sapesse nulla, fra i suoi servitori c’erano due cristiani clandestini, i quali, per conservare la memoria di quel fatto, scrissero su lastre di piombo l’evento come si era svolto e le rinchiusero in una cassa di metallo, che poi, senza essere visti da nessuno, nascosero tra le grosse pietre che chiudevano l’entrata della grotta.
Dopo un anno dal fatto accaduto, l’imperatore Decio muore e l’impero, dopo circa due secoli, passò nelle mani dell’imperatore Teodosio II, fervente cristiano. Regnando costui, sorsero alcuni eretici che negavano la resurrezione dei corpi. Teodosio aborriva l’eresia e gli eretici e pregava Dio perché, a conferma della verità della resurrezione dei corpi, facesse qualche miracolo. Dio esaudì la preghiera del pio imperatore.
In quel tempo, cioè circa l’anno 448, il padrone del monte Oclon, dove era la grotta dei « Sette Dormienti», era un certo Adoglio, possessore di molto bestiame che pascolava attorno al monte. Questi, volendosi costruire una specie dì capanna sul monte, dove passare la notte, pensò di servirsi delle pietre che otturavano la grotta. Togliendone alcune si formò un buco per il quale si poteva entrare e uscire dalla grotta. Nel momento dell’apertura del buco, Dio, che aveva risuscitato Lazzaro morto da quattro giorni, fece risvegliare i sette giovani che, così disponendo il Signore, avevano dormito circa 200 anni.
Risvegliati che furono, perché era di buon mattino, si diedero il buon giorno, credendo d’aver dormito una sola notte, infatti — attestano i documenti di questo racconto — il loro corpo e i loro abiti non avevano subito alcun cambiamento, come se fosse passato realmente un solo giorno. Cominciarono a parlare della persecuzione di Decio e pregarono Malco di ritornare in città per comprare di che mangiare e sapere altre notizie circa la persecuzione dei cristiani.
All’uscire dalla grotta, Malco si meravigliava di vedere tante grosse pietre, che il giorno prima non c’erano. Ma quale non fu il suo stupore quando giunse alla città e vide una croce collocata sopra la sua porta. Forse — cominciò a pensare dentro di sé — questo è un tranello di Decio per invitare i cristiani ad entrare con sicurezza in città per farli arrestare più facilmente. Non volendo entrare per quella porta, andò verso l’altra, sopra la quale però trovò un’altra croce. Malco, pieno di meraviglia, pensava di aver scambiato una città per un’altra. Tuttavia vi entrò e domandò che città fosse quella. Gli fu risposto d’essere la città di Efeso. Giunto in piazza sentì uno che giurava per il nome di Gesù Cristo. Stupito ancora di più, diceva tra sé: Che novità è questa? Ieri la croce stava nascosta perché veniva perseguitata, oggi invece sta sopra le porte della città. Ieri chi si diceva cristiano veniva condannato a morte, oggi il nome di Cristo si sente in tutte le bocche. Cosa significa questo? O sono diventato pazzo io, o un grande inganno è stato ordito contro i cristiani, ed allora voglio allontanarmi presto, dopo aver comprato qualche cosa da mangiare.
Andò da un fornaio per comprare del pane e si sentì dire dal panettiere: Che moneta è questa? Io non la conosco. — La moneta era d’argento e portava l’effige dell’imperatore Decio. In poco tempo la moneta passò nelle mani di coloro che erano in piazza, desiderando ognuno di vederla. Qualcuno pensava che quell’uomo, vestito da mendicante, doveva avere un tesoro. Subito gli si fa attorno un cerchio di persone. Malco si meravigliava molto perché il giorno prima, come egli credeva, era conosciuto da tutti, ed ora non lo conosceva più nessuno. Girava per le strade della città con la speranza di vedere suo padre, i suoi fratelli, ma invano.


Queste cose giunsero all’orecchio del Governatore che allora si trovava in compagnia del Vescovo della città, Stefano. Il Governatore ordinò di condurre alla sua presenza quel forestiero. Quando Malco fu alla loro presenza, gli chiesero di vedere la moneta e si accorsero ch’essa era stata coniata al tempo di Decio. Poi domandarono a Malco: Di quale paese sei? Chi ti ha data questa moneta? — Malco rispose d’essere nato in quella città e in essa aveva il padre e i fratelli. In quanto poi alla moneta — egli soggiunse — non capisco perché vi meravigliate tanto, essendo una moneta corrente che circola in questa città. Disse poi i nomi di suo padre, di sua madre e dei suoi fratelli, però non si trovò nessuno che sapesse dare qualche notizia.
Allora il Governatore gli disse: Mi sembra che tu non dica la verità. Se tu fossi nato in questa città e avessi padre e fratelli, qualcuno dovrebbe riconoscerti. Inoltre questa moneta aveva valore al tempo di Decio, che è morto da molti anni —. Malco, guardando or l’uno or l’altro, non sapeva cosa dire, per cui molti dicevano: Certamente costui è pazzo. — Altri dicevano: Non è pazzo, ma finge d’esserlo per non svelare il tesoro che ha trovato. Bisogna fargli confessare la verità con la forza —.
Malco rispose: Non c’è bisogno di portarmi in carcere e di costringermi con la forza a dire la verità. Ditemi solo se Decio è ancora vivo, o è veramente morto
Il Vescovo rispose: Figlio mio, in questa città non c’è nessuno che nomini Decio perché egli è morto da 200 anni. — Allora Malco, non sapendo più che dire, soggiunse: Venite con me in una grotta sul monte Oclon, e là potrete interrogare gli altri miei compagni, i quali confermeranno quanto ho detto io, e cioè che io con i miei compagni ci siamo nascosti in quella grotta per sfuggire alla persecuzione di Decio, che io ho visto ieri entrare in questa città, se essa è Efeso, perché a me non sembra.
Il Vescovo, dopo aver ascoltato tutto, cominciò a pensare che Dio volesse rivelargli qualche fatto meraviglioso per mezzo di quel giovane, e quindi disse: Andiamo e vedremo la verità. — Andarono alla grotta il Vescovo, il Governatore e molti altri. Quando stava per entrare, il Vescovo, guardando le pietre che erano state smosse per l’occasione, scorse la cassetta di metallo annerita, dentro la quale si trovarono le lastre di piombo con l’incisione della storia dei santi giovani, che venivano chiamati martiri. La cassetta venne aperta, il Vescovo trasse fuori le lastre e lesse ad alta voce quanto vi era inciso. La cosa suscitò meraviglia e venerazione. Tutti si inginocchiarono per lodare e ringraziare il Signore per aver operato in quei giovani quel grande miracolo.
Entrati poi nella grotta, trovarono gli altri sei giovani che, seduti, parlavano fra loro, mentre un grande splendore s’irradiava dalla loro faccia. Il racconto dei giovani concordava appieno con quanto era inciso sulle lastre di piombo.
Il Governatore fece una relazione dell’accaduto che mandò all’imperatore Teodosio, che dimorava a Costantinopoli. Il pio monarca rese grazie a Dio per avergli dato in quell’evento la prova della resurrezione dei corpi contro gli eretici di quel tempo. Poi, mosso da santa curiosità, si recò a Efeso, entrò nella grotta, parlò con i santi giovani, abbracciandoli e versando lacrime di commozione. Uno dei giovani, Massimiano, disse all’imperatore: Per la tua fede e per la difesa della verità contro gli eretici, Dio concede la pace nel tuo impero, e, se tu persevererai a servirlo con fedeltà, il Signore ti libererà da molti nemici.
Dette queste parole, i sette giovani, inchinarono la testa fino a terra per pregare. Proprio in quel momento essi resero le loro sante anime a Dio.
L’imperatore fece mettere i loro corpi in sette urne separate e le lasciò nella stessa grotta. Il Vescovo, radunato il Clero, diede loro onorevole sepoltura e stabilì che si celebrasse la festa di quei Santi il giorno della loro morte, il 27 luglio 448, sotto l’impero di Teodosio II»

Redazione

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