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‘Quel bambino è nostro figlio’ – E’ il cadavere di un piccolo profugo

La foto che scuote il mondo ritrae l’immagine di un poliziotto turco che porta via dalla battigia di Bodrum il cadavere di un piccolo profugo morto nella traversata. L’immagine è diventata il simbolo del fallimento dell’Europa sul piano umanitario.

La foto che ha scosso il mondo, ma non abbastanza, ritrae il corpicino di un bimbo siriano raccolto dalla battigia di una delle spiagge di Bodrum, la Portofino turca, l’antica Alicarnasso ricca di vestigia della civiltà greca. Possiamo immaginare la breve vita di quel bimbo morto dove tanti suoi coetanei hanno costruito castelli di sabbia, alla deriva di una rotta di migranti andata a male come tante, vittima della grettezza di un’Europa che anziché organizzarsi come un ospedale da campo, pattugliare il grande lago del Mediterraneo in modo ancor più capillare, creare dei corridoi umanitari, impedendo il moltiplicarsi di vittime, chiude gli occhi e alza muri di fronte a una delle più grandi tragedie dell’umanità.

A pubblicare per primo quella foto è stato un quotidiano britannico, l’Indipendent. “E’ troppo facile dimenticare la realtà di una situazione disperata che molti rifugiati devono affrontare”, scrive il giornale spiegando una scelta non scontata e lanciando, con una domanda, un appello: “Se queste immagini straordinariamente potenti di un bimbo siriano morto su una spiaggia non cambiano l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dei rifugiati cosa può farlo?”. L’Indipendent lo chiede agli inglesi terrorizzati dall’ondata di migranti nel tunnel della Manica e agli ungheresi che costruiscono muri, al premier David Cameron, intransigente paladino della chiusura a ogni aiuto. Il quotidiano spagnolo El Pais parla di “simbolo del dramma nell’Egeo”. “Immagini scioccanti” della “tragica epopea dei rifugiati”, scrive The Guardian.

Fino a  poche settimane fa quel bimbo giocava con i coetanei nel suo villaggio, nella sua città siriana, prima che la guerra e la forza dei genitori lo portasero via dalla sua terra, immaginiamo dai suoi affetti, dai nonni, dai giochi, per imbarcarsi verso una vita migliore. Così non è stato. Assistiamo per l’ennesima volta allo sgomento dell’Occidente e alle sue lacrime di coccodrillo, dopo la tragedia dell’ottobre 2013, dopo i tanti naufragi nel Mediterraneo, immensa tomba a cielo aperto, dopo lo stillicidio di migliaia di migranti naufragati, dopo i cadaveri ritrovati senza vita per asfissia dentro il container di Tir che viaggiano lungo l’autostrada. Non sappiamo – prima che si metta in campo un serio piano d’emergenza umanitaria –  quante vite debbano ancora essere sacrificate ai populismi, alla demagogia, al cinismo politico e all’ottusità di un’Europa morta su quella battigia insieme alla vita di quel bambino. Quel bambino è nostro figlio, anche se qualcuno si volta fingendo di non vederlo.

Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it)

1 COMMENTO

  1. “Ciao a tutti, io sono solo un bambino siriano, e la mia anima è stata sospinta in cielo da un gentile poliziotto. Oddio, fosse stato per me, io avrei aspettato un altro po’. Volevo giocare ancora con questo mondo. Ma sulla spiaggia di Bodrum non ho avuto il tempo di costruire castelli di sabbia. La mamma ed il papà mi hanno portato via, cercavano un posto per farmi crescere, e l’hanno trovato. Ma sono cresciuto troppo in fretta. Da 5 anni al nulla nel vento, in pochi attimi. Mi sono fatto grande, senza saperlo, senza volerlo. Poche settimane fa giocavo con gli amichetti miei nel villaggio, e mia nonna mi guardava con il suo triste sorriso. Ora scusate, vado a raggiungere i miei amichetti, loro pure giocavano nel mare della speranza, ed altri, invece, preferivano giocare a nascondino dentro ai tir, qualcuno sotto, per fare tana libera tutti”. (Memorie di un bambino, A. Battantier, 2015).

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