Pubblicità
HomeNewsRes Publica et SocietasPubblica amministrazione: la riforma più difficile

Pubblica amministrazione: la riforma più difficile

Il governo ha aperto un nuovo cantiere di riforma, la pubblica amministrazione. Cantiere immenso, tanto che, per circa vent’anni, tra i ministri senza portafoglio, ce n’è stato uno “per la riforma della pubblica amministrazione”, smarrita nel porto delle nebbie della Prima Repubblica e di quella che Ermanno Gorrieri, aveva definito, con espressione azzeccatissima, la “giungla retributiva”. Ci si provò poi agli albori della Seconda Repubblica, introducendo alcuni principi di “new public management”. Ma gli standard internazionali, come talora capita, furono applicati all’italiana, col risultato di super pagare i dirigenti e frastornare gli impiegati, coriandolizzando, come fu detto con espressione pittoresca, l’amministrazione stessa. Perché questo è l’atavico rischio italiano, in tutti i contesti: coprire, con grandi principi, interessi specifici. La riforma dell’amministrazione dunque è uno slogan, facile e usurato. Ma è anche una priorità, oltre che una imposizione, indicata con chiarezza nella famosa lettera della Bce dell’estate 2011 che questo governo, come i due precedenti, deve attuare. Non se ne può fare a meno, anche se è difficile, molto difficile, proprio perché il terreno è ingombro di interessi contrastanti, di retoriche, di falsi movimenti. Così le 44 proposizioni presentate al pubblico dibattito dal governo Renzi in vista della redazione, a giugno, dei concreti provvedimenti di riforma, riprendono le fila di un dibattito già da tempo in atto: su alcuni punti c’è un largo accordo, altri sono più controversi, ma sull’urgenza non si può non convenire.

In discussione non c’è tanto il numero dei pubblici dipendenti, che non è esuberante, né il costo della pubblica amministrazione, in linea con i parametri europei, ma l’inefficienza della macchina complessiva. Per questo servono norme adeguate, serve la riforma. Ma, se non vogliamo seguire gli esempi della Prima e della Seconda Repubblica, serve qualcosa d’impalpabile, ma fondamentale, che, con espressione sintetica, si definisce “ethos della pubblica amministrazione”, cioè del servizio pubblico, dove la parola servizio, che riporta all’etimologia stessa di ministro, è chiarissima. C’era una volta la gerarchia, che doveva esprimerlo e tutelarlo, questo “ethos”, poi sono venuti i modi di cogestione sindacale, poi le ricette manageriali, con il risultato di farlo svaporare sempre di più. Per questo giustamente è stato detto che il cambiamento, la riforma comincia e finisce con le persone: “Dai dipendenti pubblici e dai loro veri datori di lavoro: i cittadini”. In realtà il rapporto tra cittadini e amministrazione è un rapporto a tre, o a quattro: implica, infatti, il ruolo della politica e del sistema economico. Relazioni pericolose, si è visto in questi anni. Da ricondurre alla chiarezza e distinzione degli ambiti. E questo è uno dei nodi, nell’Italia di oggi. Come l’altro, di riuscire a traguardare obiettivi condivisi oltre il brevissimo termine: una sfida per Renzi, una sfida per tutti. di Francesco Bonini per l’Agenzia Sir

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome