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Protagonisti della nostra vita

person1_20150105151843784795_20150120120444382019Quando cerchiamo di spiegare il perché di certe nostre reazioni spontanee, più che dire “sono fatto così”, spesso dovremmo ammettere “mi sono fatto così”. Articolo sul modo di forgiare il carattere nella vita del cristiano.

«Vi chiedo di essere costruttori del futuro, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non “guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto al balcone, ma si è immerso in essa; non “guardate dal balcone” la vita, ma mettetevi in essa come ha fatto Gesù»[1]. Queste parole rivolte ai giovani da Papa Francesco fanno sorgere immediatamente alcune domande, che il romano Pontefice proponeva di seguito: «Da dove cominciamo? A chi chiediamo da dove iniziare? […] Da voi e da me. Ognuno, ancora una volta in silenzio, si chieda: se devo iniziare da me, da dove inizio? Ciascuno apra il suo cuore perché Gesù gli dica da dove iniziare»[2]. Per essere protagonisti delle vicende del mondo è indispensabile cominciare ad essere protagonisti della nostra stessa esistenza.

Liberi e condizionati

Questo protagonismo ci deve indurre a riconoscere che, sebbene le circostanze familiari o sociali influiscano sul nostro carattere, non lo determinano in modo assoluto. Lo stesso si può dire degli istinti più elementari che sono dovuti alla costituzione fisica e anche all’eredità genetica: segnano alcune tendenze, che però possono essere modellate e orientare con l’esercizio di una volontà guidata da una ragione ben formata.

La nostra personalità si forgia nella misura in cui liberamente prendiamo decisioni, perché le azioni umane non sono dirette unicamente a cambiare l’ambiente che ci sta attorno, ma influenzano anche il nostro modo di essere. Anche se certe volte succede in maniera non molto consapevole, la ripetizione di atti fa sì che acquisiamo certe abitudini o adottiamo una data posizione davanti alla realtà. Proprio per questo, quando cerchiamo di spiegare il perché delle nostre reazioni spontanee, più che dire “sono fatto così”, spesso dovremmo ammettere “mi sono fatto così”.

Subiamo dei condizionamenti che assai spesso sono difficili da controllare, come la qualità delle relazioni familiari, l’ambiente sociale nel quale si cresce, una malattia che ci limita… Non è possibile ignorarli o porvi rimedio, ma certamente è possibile cambiare l’atteggiamento con il quale li affrontiamo, soprattutto se siamo consapevoli che nulla sfugge alle provvide attenzioni di Dio. È necessario ripetere continuamente che Gesù non si rivolse a un gruppo di privilegiati, ma venne a rivelare l’amore universale di Dio. Tutti gli uomini sono amati da Dio; da tutti Dio aspetta amore[3]. In qualunque circostanza, anche nel caso di gravi limitazioni, possiamo dare a Dio e al prossimo opere di amore per quanto piccole possano sembrare: chissà quanto vale un sorriso in mezzo a una tribolazione, l’offerta al Signore del dolore in unione alla Croce, l’accettazione paziente delle contrarietà! Niente può superare un amore senza limiti, più forte del dolore, della solitudine, dell’abbandono, del tradimento, della calunnia, della sofferenza fisica e morale, della morte stessa.

Artefici della propria vita

Scoprire i talenti personali – virtù, capacità, competenze – compiacersene e sfruttarli al massimo è compito della nostra libertà. Però dobbiamo ricordare che i migliori componenti della personalità cristiana sono i doni di Dio, che incidono fin nella più profonda intimità del nostro essere. Fra essi si trova, in modo eminente, il dono immenso della filiazione divina, ricevuto con il Battesimo. Grazie a essa, il Padre vede in noi l’immagine – sia pure imperfetta, perché siamo creature limitate – di Cristo, che diviene sempre più chiara con il sacramento della Confermazione, il perdono trasformatore della Penitenza e soprattutto la comunione con il suo Corpo e il suo Sangue.

Partendo da questi doni ricevuti dalla mano di Dio, ogni persona, lo voglia o no, è autore della propria esistenza. Scrive Giovanni Paolo II: «A ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso, egli deve farne un’opera d’arte, un capolavoro»[4]. Siamo padroni dei nostri atti – il Signore, da principio creò l’uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere[5] –; siamo noi, se lo vogliamo, a tenere le redini della nostra vita in mezzo alle tempeste e alle difficoltà.

Siamo liberi! Questa scoperta porta con sé qualche incertezza: dove indirizzerò la mia vita? Ma soprattutto gioia: Dio, creandoci, ha accettato il rischio e l’avventura della nostra libertà. Ha voluto che la storia sia una storia vera, fatta di decisioni autentiche, e non una finzione o un gioco[6]. In questa avventura non siamo soli; possiamo contare, prima di tutto, sull’aiuto di Dio, che ci propone una missione, e anche sulla collaborazione degli altri: parenti, amici, e anche di persone che si trovano casualmente con noi in qualche momento della vita. Il protagonismo nella propria vita non vuol dire negare che sotto molti aspetti siamo dipendenti, e se consideriamo che questa dipendenza è reciproca, allora si può anche dire che siamo interdipendenti. La libertà, pertanto, non è tutto: resterebbe vuota se non la impiegassimo per impegnarci in cose grandi, magnanime. Come vedremo, la libertà è per la donazione o, in altri termini, ha valore soltanto una libertà pronta alla donazione.

Una via da percorrere

San Josemaría era solito ricordare un cartello che trovò a Burjasot, vicino a Valencia, poco dopo la fine della guerra civile spagnola; c’era scritta una frase che citò non poche volte nella sua predicazione: “Ogni viandante segua la sua strada“. Ogni anima vive la propria vocazione in un modo personale, con il suo stile: Si può andare a destra o a sinistra, si può camminare a zig-zag, a piedi o a cavallo. Sono mille i modi di percorrere il cammino divino[7]. Ogni persona è l’attore principale della propria storia di santità, ognuno possiede un marchio che lo distingue nella configurazione di ogni aspetto della propria esistenza e della propria personalità, al fine di evitare di “lasciarsi trascinare” dagli eventi.

Liberamente – da figli, ripeto, non da schiavi – percorriamo il sentiero che il Signore ha indicato a ciascuno di noi. Assaporiamo questa scioltezza di movimenti come un dono di Dio[8]. Questa scioltezza – sovranità umana – è dovuta alla responsabilità, al sapere che siamo “opera di Dio”: un sogno divino che diventa realtà nella misura in cui sperimentiamo l’amore senza condizioni che richiede una nostra risposta. L’amore di Dio conferma la nostra libertà e con la sua grazia la innalza a livelli impensabili.

Ogni persona conosce la necessità di aprirsi agli altri, di condividere l'esistenza, di dare e ricevere amore.
Ogni persona conosce la necessità di aprirsi agli altri, di condividere l’esistenza, di dare e ricevere amore.

Camminare in compagnia

Nei piani divini la vita è fatta per essere condivisa: il Signore fa assegnamento sull’aiuto reciproco che si prestano gli esseri umani. Lo constatiamo nella realtà di ogni giorno: tante volte non siamo neppure capaci di soddisfare da soli le necessità più basilari e perentorie. Nessuno può essere completamente autonomo. A un livello più profondo, ogni persona nota la necessità di aprirsi di più a qualcuno, di condividere l’esistenza, di dare e ricevere amore. «Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene»[9].

Questa naturale apertura verso gli altri arriva alla sua massima espressione nei piani di redenzione del Signore. Quando recitiamo il Simbolo degli Apostoli, confessiamo che crediamo nella comunione dei santi, una comunione che è il punto centrale della Chiesa. Per questo nella vita spirituale è indispensabile anche imparare a confidare nell’aiuto degli altri che, in un modo o in un altro, sono coinvolti nella nostra relazione con Dio: riceviamo la fede attraverso l’insegnamento dei nostri genitori e dei catechisti, partecipiamo ai sacramenti che celebra un ministro della Chiesa, ricorriamo al consiglio spirituale di un altro fratello nella fede che poi prega anche per noi…

Sapere che nella vita cristiana andiamo avanti in compagnia ci riempie di gioia e di serenità, senza che venga meno il nostro impegno personale per raggiungere la santità. Anche se spesso ci lasciamo prendere per mano, il nostro ruolo non si limita a questo. San Josemaría, in riferimento alla vita spirituale, sosteneva che il consiglio non elimina la responsabilità personale; e concludeva: la direzione spirituale deve tendere a formare persone di criterio[10]. Per questo non vogliamo che ci sostituiscano nelle decisioni da prendere, né possiamo non impegnarci nei compiti che abbiamo assunto personalmente.

Mentre riconosciamo l’aiuto indispensabile degli altri, dobbiamo essere consapevoli che nella vita spirituale è il Signore che opera attraverso di loro per trasmetterci la sua luce e la sua forza. Questo ci rassicura a continuare il nostro cammino verso la santità quando, per un motivo o per l’altro, vengono a mancare quelle persone che svolgevano un ruolo importante nella nostra vita cristiana. In tal senso, godiamo anche di una profonda libertà di spirito nei confronti delle persone che Dio ha posto accanto a noi, quelle che amiamo nel cuore di Cristo e del cui appoggio siamo profondamente grati.

Liberi di amare senza condizioni

Noi cristiani sappiamo che la pienezza personale arriva come frutto della libera e totale disponibilità ai desideri d’Amore di un Dio Creatore, Redentore e Santificatore. I doni che abbiamo ricevuto raggiungono il loro massimo rendimento quando ci apriamo alla grazia di Dio, come conferma l’esperienza di tanti santi e sante. Lasciando che il Signore entrasse nella loro vita, seppero mettersi amorevolmente al suo servizio, come la Madonna, la quale, al momento dell’Annunciazione pronunciala risposta sicura: fiat! – avvenga di me quello che hai detto-, frutto della migliore libertà: quella di scegliere Dio[11].

Quando una persona sceglie Dio, consacra i suoi sogni e le sue energie a ciò che è più importante. Si rende conto del senso ultimo della libertà, che non consiste soltanto nel poter scegliere una cosa o l’altra, ma nel poter disporre della vita per qualcosa di grande, accettando impegni definitivi. Dedicare le proprie qualità a seguire Cristo, anche se a volte ciò obbliga a rifiutare altre opzioni, porta la felicità, il cento per uno[12] sulla terra e la vita eterna[13]. Rispecchia anche un alto grado di maturità interiore, perché soltanto chi ha una personalità con certe convinzioni è capace di impegnarsi totalmente:Liberamente, senza costrizione alcuna, scelgo perché ne ho voglia, Dio[14].

Abbandonare nel Signore passato, presente e futuro

L’anima che sceglie Dio si muove con una pace interiore che supera qualunque tribolazione. So a chi ho creduto[15]: queste parole di san Paolo esprimono la sua fiducia pur in mezzo alle difficoltà dovute al fatto di rimanere fedele alla sua vocazione di apostolo delle genti. Chi mette il Signore a fondamento di tutto gode di una sicurezza che non può mai venir meno, e questo gli permette di donarsi anche agli altri: vivendo il celibato per motivi apostolici, nel matrimonio o in tante altre strade che può prendere l’esistenza cristiana. Si tratta di una donazione che riguarda presente, passato e futuro, come ripeteva san Josemaría: Signore, mio Dio: nelle tue mani abbandono il passato, il presente e il futuro, le cose piccole e le grandi, il poco e il molto, ciò che è temporale e ciò che è eterno[16].

Nessuno può cambiare il passato. Tuttavia il Signore prende la storia di ciascuno, perdona nel sacramento della Riconciliazione i peccati commessi, e reintegra armonicamente le vicende della vita dei suoi figli. Tutto concorre al bene[17]: anche gli errori che abbiamo commesso, se sappiamo ricorrere alla misericordia divina e, con la grazia di Dio, cerchiamo di vivere nel presente più vicini a Lui. Così saremo anche nelle condizioni di guardare al futuro con fiducia, perché sappiamo che è nelle mani di un Padre che ci ama: chi si mette nelle mani di Dio cade e si alza sempre nelle mani di Dio!

Scegliere Dio vuol dire accettare il suo invito a scrivere la nostra biografia assieme a Lui. Se riconosciamo umilmente che la libertà è un dono, la impiegheremo per compiere, in compagnia di tante altre persone, la missione che il Signore ci affida. E ci accorgeremo con gioia che i suoi piani superano le nostre aspettative, come diceva san Josemaría a un ragazzo giovane: Lasciati portare dalla grazia! Lascia volare il tuo cuore! […]. Fatti il tuo piccolo romanzo: un romanzo di sacrifici e di eroismi. Con la grazia di Dio, andrai molto oltre i tuoi sogni[18].


[1] Papa Francesco, Discorso 27-VII-2013.

[2] Ibidem.

[3] È Gesù che passa, n. 110.

[4] San Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4-IV-1999, n. 2.

[5] Sir 15, 14.

[6] San Josemaría, “Las riquezas de la fe”, articolo pubblicato su ABC, 2-XI-1969. Riportato in: Josemaría Escrivá, “Una libertà da vivere”, a cura di Andrea Mardegan, Edizioni Paoline, 2004, pag. 219.

[7] San Josemaría, Lettera 2-II-1945, n. 19.

[8] Amici di Dio, n. 35.

[9] Benedetto XVI, Enc. Spe salvi, 30-XI-2007, n. 48.

[10] Colloqui, n. 93.

[11] Amici di Dio, n. 25.

[12] Mt 19, 29.

[13] Ibidem.

[14] Amici di Dio, n. 35.

[15] 2 Tm 1, 12.

[16] Via Crucis, VII, n. 3.

[17] Rm 8, 28.

[18] San Josemaría, Appunti di un incontro, 29-VI-1974 (AGP, biblioteca, P04, p. 45).

Fonte: Opusdei.it

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