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“Chi profana Dio nelle sue creature rischia l’inferno”

La Messa di Francesco per la canonizzazione dei due veggenti, i primi santi bambini non martiri: «Il cielo mette in moto una vera e propria mobilitazione generale contro l’indifferenza che ci raggela il cuore». Il saluto ai malati: «Non vergognatevi di essere un prezioso tesoro per la Chiesa»

La Madonna, «presagendo e avvertendoci sul rischio dell’inferno a cui conduce una vita senza Dio e che profana Dio nelle sue creature, è venuta a ricordarci la luce di Dio che dimora in noi». Papa Francesco, così come hanno fatto i suoi predecessori, commemora l’anniversario delle apparizioni celebrando messa sul sagrato del santuario di Fatima. Di fronte a lui c’è più di mezzo milione di fedeli. Pellegrini venuti dal Portogallo ma anche da tante altre parti d’Europa e del mondo. In tanti hanno vegliato tutta la notte rimanendo nella spianata dove la sera precedente si era svolta la processione delle candele. Tra di loro anche una famiglia di profughi palestinesi che ha trovato rifugio proprio a Fatima. È una enorme manifestazione di popolo, dove l’unica vera protagonista è Maria.

Dopo aver incontrato il premier del Portogallo, Antonio da Costa, Francesco ha fatto una visita privata alle tombe di Francesco e Giacinta Marto, i due fratellini veggenti che mezz’ora dopo ha proclamato santi. Accanto alla tomba di Giacinta c’è quella di suor Lucia dos Santos, la cugina dei due nuovi santi bambini, i primi a essere canonizzati senza aver subito il martirio. È stato un momento toccante, anche alla luce di quanto Francesco stava per dire nell’omelia, ricordando quando la piccola Giacinta aveva pregato e sofferto per il Papa. Sulle tombe di Francesco e Giacinta, all’interno del santuario, erano state poste due rose bianche.

Dopo la proclamazione della santità dei due pastorelli di Fatima, nell’omelia, Papa Bergoglio ha ricordato la «Donna vestita di sole» dell’Apocalisse. «Abbiamo una Madre! Una “Signora tanto bella”, commentavano tra di loro i veggenti di Fatima sulla strada di casa, in quel benedetto giorno 13 maggio di cento anni fa. E, alla sera, Giacinta non riuscì a trattenersi e svelò il segreto alla mamma: “Oggi ho visto la Madonna”. Essi avevano visto la Madre del cielo. Nella scia che seguivano i loro occhi, si sono protesi gli occhi di molti, ma… questi non l’hanno vista».

 

La Vergine ha continuato Francesco, «non è venuta qui perché noi la vedessimo: per questo avremo tutta l’eternità, beninteso se andremo in cielo. Ma Ella, presagendo e avvertendoci sul rischio dell’inferno a cui conduce una vita – spesso proposta e imposta – senza Dio e che profana Dio nelle sue creature, è venuta a ricordarci la Luce di Dio che dimora in noi e ci copre». Secondo «il credere e il sentire di molti pellegrini, se non proprio di tutti – ha aggiunto – Fatima è soprattutto questo manto di luce» visto dai veggenti, «che ci copre, qui come in qualsiasi altro luogo della Terra quando ci rifugiamo sotto la protezione della Vergine Madre per chiederle, come insegna la Salve Regina, “mostraci Gesù”».
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Francesco ha invitato i pellegrini a rimanere «aggrappati» alla Madonna «come dei figli», «come un’àncora, fissiamo la nostra speranza in quella umanità collocata nel cielo alla destra del Padre». Il Papa ha quindi citato i due pastorelli appena proclamati santi: «La presenza divina divenne costante nella loro vita, come chiaramente si manifesta nell’insistente preghiera per i peccatori e nel desiderio permanente di restare presso “Gesù Nascosto” nel Tabernacolo».

 

Quindi Bergoglio ha evocato una visione di Giacinta, riferita dalla cugina Lucia nella terza delle sue Memorie: «Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di persone che piangono per la fame e non hanno niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, in preghiera? E tanta gente in preghiera con lui?». «Grazie, fratelli e sorelle, di avermi accompagnato! – ha detto il Papa – Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarle i suoi figli e figlie. Sotto il suo manto non si perdono; dalle sue braccia verrà la speranza e la pace di cui hanno bisogno e che io supplico per tutti i miei fratelli nel Battesimo e in umanità, in particolare per i malati e i disabili, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati».

Francesco ha ricordato che «il cielo mette in moto qui una vera e propria mobilitazione generale contro questa indifferenza che ci raggela il cuore e aggrava la nostra miopia. Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”: lo ha detto e lo ha fatto il Signore, che sempre ci precede. Quando passiamo attraverso una croce, Egli vi è già passato prima. Così non saliamo alla croce per trovare Gesù; ma è stato Lui che si è umiliato ed è sceso fino alla croce per trovare noi e, in noi, vincere le tenebre del male e riportarci verso la Luce».

 




Al termine della messa, prima di andare a pranzo con i vescovi del Portogallo, il Papa ha rivolto un saluto ai malati presenti. «Gesù sa cosa significa il dolore, ci capisce, ci consola e ci dà la forza, come ha fatto a san Francesco Marto e santa Giacinta, ai santi di tutti i tempi e luoghi. Penso all’apostolo Pietro, incatenato nella prigione di Gerusalemme, mentre tutta la Chiesa pregava per lui. E il Signore ha consolato Pietro. Ecco il mistero della Chiesa: la Chiesa chiede al Signore di consolare gli afflitti come voi ed Egli vi consola, anche di nascosto ; vi consola nell’intimità del cuore e vi consola con la fortezza».

 

Il Papa ha detto che «sull’altare, noi adoriamo la Carne di Gesù; in questi fratelli, noi troviamo le piaghe di Gesù. Il cristiano adora Gesù, il cristiano cerca Gesù, il cristiano sa riconoscere le piaghe di Gesù». E ha ricordato come l’apparizione del 1917 chiese ai pastorelli di offrirsi a Dio. «Cari malati, vivete la vostra vita come un dono e dite alla Madonna, come i pastorelli, che vi volete offrire a Dio con tutto il cuore. Non ritenetevi soltanto destinatari di solidarietà caritativa, ma sentitevi partecipi a pieno titolo della vita e della missione della Chiesa. La vostra presenza silenziosa ma più eloquente di molte parole, la vostra preghiera, l’offerta quotidiana delle vostre sofferenze in unione con quelle di Gesù crocifisso per la salvezza del mondo, l’accettazione paziente e persino gioiosa della vostra condizione sono una risorsa spirituale, un patrimonio per ogni comunità cristiana. N on vi vergognate di essere un prezioso tesoro della Chiesa».

di Andrea Tornielli per Vatican Insider

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