Pubblicità
HomeNewsFamilia et MensPrimo: accogliere le famiglie ferite e senza giudicare

Primo: accogliere le famiglie ferite e senza giudicare

ImagoMundi_72954pSINODO, BUONE PRATICHE – Don Sandro Dalle Fratte, responsabile della pastorale familiare della diocesi di Treviso ci tiene a sfatare due miti: che la questione dell’accesso all’Eucaristia sia ”il problema” principale per i divorziati risposati e la convinzione diffusa che i figli dei separati o divorziati non vivano una condizione diversa rispetto a quella dei loro coetanei che hanno alle spalle famiglie stabili. 

Il 90% delle coppie separate sono “ricomponibili”, cioè avrebbero tutti gli estremi per tornare insieme. A patto, però, di riuscire a trovare una comunità accogliente in grado di ascoltarle e proporre loro un processo personalizzato di “guarigione”. Che metta in fuga il timore di essere giudicati a priori, e dunque emarginati senza appello. Perché chi di noi, separato o no, non ha mai sperimentato la condizione di persona “ferita” dalla vita? Don Sandro Dalle Fratte, responsabile della pastorale familiare della diocesi di Treviso, alla vigilia del Sinodo riassume così il senso della sua militanza più che decennale a fianco delle famiglie che hanno visto spezzarsi il vincolo del matrimonio, per le ragioni più diverse. È per queste famiglie ferite, per le loro cicatrici che nascondono sempre un dramma, che la diocesi veneta – 900mila abitanti, e una “task force” di 160 famiglie che si sono guadagnate, negli anni, le stellette sul campo grazie ai Master di formazione organizzati dalla Cei e poi messi a frutto accanto alle famiglie nel territorio diocesano – ha progettato e attuato itinerari specifici, ma differenziati: uno per le persone separate che scelgono di rimanere fedeli al vincolo del matrimonio cristiano e l’altro per i divorziati risposati, spesso in preda ai dubbi su come vivere la loro nuova condizione all’interno della comunità ecclesiale.
Le ferite parlano. La Chiesa “in uscita” è una Chiesa che impara anche dalle persone che incrocia sulla sua strada. Don Sandro – ci rivela – dalle sue famiglie ha imparato che “le ferite parlano”, perché “le nozze con Gesù si celebrano sulla Croce. Ed è lì che ritrovo il mio essere prete, la forza di fuggire la tentazione di andare lontano dal Vangelo”. Don Sandro ci tiene a sfatare due miti: che la questione dell’accesso all’Eucaristia sia “il problema” principale per i divorziati risposati e la convinzione diffusa che i figli dei separati o divorziati non vivano una condizione diversa rispetto a quella dei loro coetanei che hanno alle spalle famiglie stabili. “In tutti questi anni, non ho visto un figlio ‘normale’”, racconta il sacerdote, che enumera un campionario di ragazzi e ragazze alle prese con problemi che vanno dalle difficoltà ad avere rapporti affettivi duraturi agli insuccessi scolastici, fino ad arrivare alle varie forme di dipendenza, come quella dalla droga o dall’alcol, e ai casi più o meno gravi di depressione.
Mai giudicare. L’atteggiamento di don Sandro, tuttavia, è interiormente libero e scevro da ogni giudizio e pregiudizio. Chi sta accanto a questo tipo di famiglie, come lui, sa bene che “la prima cosa che chiedono è essere accolte così come sono”. Non c’è una storia di famiglia uguale ad un’altra. Dopo, ma solo dopo, viene la questione dell’accesso ai sacramenti. Facile a dirsi, ma non a farsi, testimonia don Sandro pensando a quando, per la prima volta, ha proposto in diocesi la “Veglia per le famiglie ferite”. Tutte le famiglie, senza distinzioni. Chiamando a raccolta anche quelle “normali”, o presunte tali, quelle che di solito frequentano i nostri recinti. E in qualche caso ha trovato la strada sbarrata. Solo per il primo anno, però: ora queste Veglie sono diventate una consuetudine a Treviso e nel Trevigiano, si celebrano regolarmente tre volte all’anno, nei momenti forti dell’anno liturgico. “Tutto cresce con gradualità”. Così come gradualmente sono iniziati i due percorsi di pastorale familiare: undici anni fa quello rivolto ai separati “che non escludono la fedeltà”, due anni fa quello per i divorziati risposati. Ogni anno, il primo corso – il percorso è ciclico, 11 incontri annuali, e si può cominciare quando si vuole – è frequentato da circa 40 coppie. Una ventina le coppie l’anno, per ora, frequentano il secondo itinerario, quello per i separati o divorziati che hanno formato una nuova unione. “La Chiesa non ci accoglie, ci sentiamo rifiutati, allontanati”, una delle lamentele più frequenti registrate da don Sandro. Per questo non bastano i corsi: “Bisogna che tutta la comunità sappia annunciare e testimoniare la bellezza del matrimonio. Ci vuole un cambiamento del cuore”. “Chi siamo noi? Cosa possiamo fare”, si chiedono queste famiglie, che “vogliono essere dentro la Chiesa, capire cosa stanno vivendo”. Per dare una risposta, “bisogna sospendere ogni giudizio”.
Cambia lo sguardo. C’è chi è timido e insicuro. C’è chi si ribella e dà sfogo a tutta la rabbia che ha dentro. C’è chi vive da separato in casa. C’è chi utilizza i corsi solo per stringere nuove amicizie. Alla fine del percorso, però, “si vede che tutti ritrovano lo sguardo, una dignità, un volto”, testimonia don Sandro: “Glielo dicono anche i loro ex, ‘sei cambiato, sei cambiata, ti trovo meglio…’”. Eppure succede di tutto, qualcuno dopo cinque-sei incontri sparisce, qualcun altro fa fatica ad entrare ma poi resta. Chi sceglie di rimanere fedele al suo matrimonio spesso deve fare lo slalom tra i parenti e gli amici che lo pressano a “rifarsi una vita”. Come se bastasse passare un cancellino su una lavagna per eliminare ogni traccia di gesso. In alcuni casi, “rifarsi una vita” vuol dire scegliere di nuovo la propria moglie o il proprio marito. Non saranno numeri da percentuali stratosferiche, ma don Sandro proprio questa estate è stato invitato ad una cena da “ritorno di fiamma”. M.Michela Nicolais per Agensir

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome