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Per colpa dei tagli alla sanità i disabili rimangono a casa. Dov’è la tragedia.

Per colpa dei tagli alla sanità i disabili rimangono a casa. Dov’è la tragedia.In Campania, dal primo febbraio, 1530 disabili mentali perdono il diritto di frequentare un semiconvitto – cioè un centro di riabilitazione dove ti danno anche il pranzo – per effetto del piano sanitario che, tagliando l’assistenza, su di loro risparmia 42 milioni. E, poco per volta, questa musica lugubresuonerà per tutto il paese. Raccontata così può sembrare una cosa da poco, forse anche buona. In fin dei conti la regione risparmia dei soldi e ritardati mentali, autistici, psicotici, Down, perdono, è vero, il semiconvitto ma mica vanno in mezzo a una strada: rimangono a casa, dov’è la tragedia?

La tragedia sta in parole che non riescono a raccontare. Perché se io dico che perdi “il tempo strutturato, l’organizzazione della giornata, il progetto”, uso parole che senti anche in azienda; se dico che smarrisci “la stabilità emotiva”, t’immagini un po’ d’ansia e due lacrimucce. Per capire questa notizia non ci sono le parole. Dovresti usare quelle delle catastrofi, qualcosa come tsunami, maremoto, solo che non puoi perché lì c’è il grido, il fragore dell’umanità che si schianta, qui invece c’è un tarlo, una carie che sfalda i malati, le loro famiglie e il tessuto sociale che le circonda. L’unica possibilità è guardare i video fatti da giornalisti d’eccezione: le madri e i padri.Giornalisti da barricata, da prima linea, che non mollano la notizia. Perché la notizia sono i loro figli che si chiamino Francesca o Nicholas o qualsiasi altro nome. Uno ha la sindrome di Down e l’altra “ha qualche problemino” come dice la sua mamma. Non sono una categoria, dice la signora, ma sono esseri umani.

“Andare al centro gli dà sicurezza, è un punto di riferimento, è farlo sentire persona”. Sul frigo ha la “foto del terapista che per lui è un santo”. La mamma di Francesca dice che la figlia non sa vivere senza sapere cosa farà minuto per minuto, senza sapere dove sarà dopo e dopo e dopo. Quando c’era il centro, il semiconvitto, la mattina c’era il pulmino, poi il laboratorio con quell’operatore, dove si fa uncinetto, pelletteria, bomboniere. Con la carta riciclata si fanno delle bellissime partecipazioni per le nozze: i ragazzi producono oggetti che valgono davvero. Ci rendiamo conto di cosa significa? Nicholas insieme a tanti altri è inserito in un ciclo bello, dove può dire: “mamma guarda cosa ho fatto”. Poi va al refettorio dove ha il suo posto – “sa” che è il suo posto ed è fondamentale -, e alla fine arriva il pulmino che lo riporta a casa. Sono passate sei ore e, oltretutto, le famiglie hanno tirato il fiato. Ora, senza semiconvitto, che succederà?

Un papà in un video parla di terrorismo. Un terrorismo senza mitra e, forse non lo sa, ma cita Papa Francesco che di ritorno dalle Filippine aveva detto che respingere i poveri, i malati, i disabili, è terrorismo di stato. Un disabile mentale a casa guarda la televisione, nessuno lo chiama la sera ad uscire, e regredisce. Una china salita millimetro a millimetro – in decenni -, viene scesa in pochissimo tempo. Sì, perché i disabili mentali non sono solo giovani. Ci sono anche gli adulti. Che senza il loro percorso possono farsi anche fisicamente del male. E un autistico di quarant’anni ha un genitore anziano che ha portato tutta la vita la croce accanto al figlio, e ora si disfa tutto, cade tutto, crolla tutto. E, oltretutto, lui è vecchio, anziano. E vede arrivare la morte con doppio strazio. Dite a un genitore di settant’anni che il proprio figlio rimarrà a casa. Che tutto quello che con tanto sforzo è stato acquisito in autonomia, dignità personale, capacità cognitive, crescita affettiva e relazionale, tutto, tutto, verrà spento davanti ad una televisione accesa tutto il giorno. E che è così perché non è possibile offrire altro ad un figlio disabile se lo si ha in casa senza aiuto domiciliare. Perché ormai è cancellato dai bilanci regionali, ed è senza il pulmino del centro con i suoi orari stabiliti, con il suo tragitto stabilito, che lo riporta a casa nel tempo stabilito.

La mamma di Francesca parla del futuro di Francesca, e non di manovre politiche, e dice che “i soldi li devono trovare”. I soldi. Sono loro, i soldi, l’altro protagonista di questo tsunami silenzioso. I soldi che non ci sono. E la mia testa e il mio cuore vanno a una notizia di poco tempo fa. Una notizia diversa perché non era fatta di nomi ma solo di sigle: F 35. Aerei da caccia da 20 miliardi di euro in tutto. Notizie dove volano cifre che ci devi pensare quanti zeri ci vogliono per scriverle. Come cittadino posso dire che non sapevo l’Italia fosse in guerra e dichiaro di poter fare a meno di 131 cacciabombardieri F-35 Joint Strike Fighter del costo globale di circa 20 miliardi di euro (15 per il solo acquisto e altri 5, in parte già spesi, per lo sviluppo e le strutture di assemblaggio). 46 milioni contro 20 miliardi. Chi pesa di più? chi vince? La risposta sembrerebbe facile eppure non è così. Sono andato di qua e di là su Google per cercare di capire perché stiamo spendendo tanti soldi, tantissimi soldi, per armarci con sofisticatissime armi, ma non ci sono riuscito. Chissà, forse perché non c’è molto da capire. Invece, se guardo i video delle mamme, c’è molto da capire. Proprio tanto tanto.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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