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Papa Francesco: Apriamo i cuori alla consolazione di Dio!

Nell’omelia della Messa allo stadio “Meskhi”, in presenza di una delegazione ortodossa, Francesco ricorda che bisogna “diventare come bambini” e non rincorrere il “successo mondano”.

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“Ricevere e portare la consolazione di Dio: questa missione della Chiesa è urgente”. L’appello urbi et orbi di Papa Francesco, che sintetizza la linea del suo pontificato, giunge dallo stadio “Mikheil Meskhi” di Tbilisi.

Nel corso dell’attesa Messa della sua visita in Georgia, a cui partecipa anche una delegazione della Chiesa Ortodossa, il Pontefice pronuncia un’omelia in cui esalta la gioia semplice dei bambini, quella a cui il Signore ci chiede di aderire. Spiega che occorre “la piccolezza del cuore” per “accogliere l’amore di Dio”. E lo sottolinea proprio nel giorno in cui si fa memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, la cui testimonianza trabocca di tenerezza.

Il rapporto tra una madre e un figlio piccolo, del resto, è metafora del legame esistente tra l’uomo e Dio, il quale “ama farsi carico dei nostri peccati e delle nostre inquietudini” così come una madre “prende su di sé i pesi e le fatiche dei suoi figli”.

Francesco ricorda che l’impegno di Dio è “asciugare le nostre lacrime”, giacché “al di là del male di cui siamo capaci, siamo sempre i suoi figli” e “desidera prenderci in braccio, proteggerci, liberarci dai pericoli e dal male”.

L’invito del Papa è allora ad accogliere le parole della lettura odierna: “Come una madre, io vi consolerò”. Ad accoglierle facendo posto al Signore nella nostra vita. In che modo? Leggendo il Vangelo ogni giorno e portandolo sempre con noi, pregando in modo silenzioso ed adorante, accostandoci al sacramento della Confessione e dell’Eucarestia. “Attraverso queste porte il Signore entra e dà un sapore nuovo alle cose”, chiosa il Santo Padre.

Che rileva altresì che chiudere “queste porte” conduce al pessimismo, alla tristezza, all’angoscia. “Ma Dio – prosegue il Papa – non ci consola solo nel cuore; tramite il profeta Isaia infatti aggiunge: ‘a Gerusalemme sarete consolati’”.

Gerusalemme corrisponde alla comunità. Di qui l’appello del Papa a rimanere uniti alla Chiesa, perché è qui che “Dio desidera consolare”. Il Vescovo di Roma ricorda che “tanti soffrono, sperimentano prove e ingiustizie, vivono nell’inquietudine”. Per questo aggiunge: “Ricevere e portare la consolazione di Dio: questa missione della Chiesa è urgente”.

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Il Papa argentino chiede allora ai fedeli di “non fossilizzarci in ciò che non va attorno a noi o a rattristarci per qualche disarmonia che vediamo tra di noi”. Questo atteggiamento crea “un microclima ecclesiale chiuso”, a cui dobbiamo contrapporre gli “orizzonti ampi e aperti di speranza, vivendo il coraggio umile di aprire le porte e uscire da noi stessi”.

La condizione necessaria per svolgere questa missione – rimarca il Santo Padre – è “diventare piccoli come bambini”. Perché “solo da piccoli si può essere tenuti in braccio dalla mamma”.

Per spiegare il concetto, Bergoglio fa un esempio molto concreto: “Dio non si conosce con pensieri alti e tanto studio, ma con la piccolezza di un cuore umile e fiducioso. Per essere grandi davanti all’Altissimo non bisogna accumulare onori e prestigio, beni e successi terreni, ma svuotarsi di sé”.

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Considerando che il bambino “è fragile” e “dipende dal papà e dalla mamma”, “chi si fa piccolo come un bimbo diventa povero di sé, ma ricco di Dio”. Tale ricchezza i piccoli la esprimono insegnandoci che il Signore “compie grandi cose con chi non gli fa resistenza, con chi è semplice e sincero, privo di doppiezze”.

“Grandi cose” che si compiono nei confronti di chi “ama le sorprese”, consapevole di essere “non padrone della vita, ma figlio del Padre”. Sospira quindi il Papa: “Beate le comunità cristiane che vivono questa genuina semplicità evangelica! Povere di mezzi, sono ricche di Dio. Beati i Pastori che non cavalcano la logica del successo mondano, ma seguono la legge dell’amore: l’accoglienza, l’ascolto, il servizio. Beata la Chiesa che non si affida ai criteri del funzionalismo e dell’efficienza organizzativa e non bada al ritorno di immagine”.

Il pensiero del Pontefice, alla fine dell’omelia, torna allora a Santa Teresa di Gesù Bambino. E cita la sua “piccola via” verso Dio, che è “l’abbandono del piccolo bambino, che si addormenta senza timore tra le braccia di suo padre”, perché – come scrive la carmelitana di Lisieux nei suoi Scritti autobiografici – “Gesù non domanda grandi gesti, ma solo l’abbandono e la riconoscenza”.

Di qui la sua invocazione finale: “Chiediamo oggi, tutti insieme, la grazia di un cuore semplice, che crede e vive nella forza mite dell’amore; chiediamo di vivere con la serena e totale fiducia nella misericordia di Dio”.

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Redazione Papaboys (Fonte it.zenit.org/Federico Cenci)

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