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Papa Francesco: “I giovani devono sapere come cominciano i populismi: seminando odio”

Papa Francesco dialoga con ragazzi e anziani alla presentazione del libro “La saggezza del tempo” e ricorda come nacque il nazismo chiedendo di non dimenticare oggi la lezione del passato

«Sappiano come cominciano i populismi: seminando odio». Francesco dialoga con giovani e anziani alla presentazione del libro “La saggezza del tempo”(Marsilio) e ricorda come nacque il nazismo chiedendo di non dimenticare oggi la lezione del passato. Il volume, curato da padre Antonio Spadaro, con la raccolta di 250 interviste ad anziani in più di 30 Paesi, grazie all’aiuto di organizzazioni no-profit come Unbound e Jesuit Refugee Service, è stato presentato il pomeriggio del 23 ottobre 2018 presso l’Istituto Patristico Augustinianum. L’ultima domanda di questo dialogo intergenerazionale è stata posta a Francesco da un anziano speciale, il regista americano Martin Scorsese. Ecco quello che si sono detti.

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Federica Ancona (Italia, 26 anni) 

Papa Francesco, oggi noi giovani siamo sempre esposti a modelli di vita che esprimono una visione “usa e getta”, quella che lei chiama “cultura dello scarto”. Mi sembra che la società oggi ci spinge a vivere una forma di individualismo che poi finisce nella competizione. Non mi chiedono di dare il meglio di me, ma di essere sempre migliore degli altri. Ma ho l’impressione che chi cade in questo meccanismo alla fine finisce per sentirsi un fallito. Qual è invece la strada per la felicità? Come faccio a vivere una vita felice? Come possiamo noi giovani guardarci dentro e capire che cosa è davvero importante? Come possiamo noi giovani creare rapporti veri e autentici quando tutto attorno a noi sembra finto, di plastica?

Francesco: «Finto è di plastica, è la cultura del trucco, quello che conta sono le apparenze, il successo personale, anche al prezzo di calpestare la testa altrui, andare avanti in questa competizione. Come essere felice in questo mercato della competizione, delle apparenze? Tu non hai detto la parola: in questo mercato dell’ipocrisia. Lo dico non in senso morale, ma psicologico e umano. Apparire, ma dentro c’è il vuoto o l’affanno per arrivare. Su questo mi viene di dirti un gesto, un gesto per spiegare ciò che voglio dire: la mano tesa e aperta. La mano della competizione è chiusa e prende, sempre prende, raccoglie, tante volte a prezzi costosi, a prezzo del disprezzo altrui. Questa è la competizione. Aprire la mano è l’anti-competizione, è aprirsi in cammino. La competizione è generalmente ferma, fa i calcoli, non si mette in gioco, fa dei calcoli. Invece la maturazione nella personalità va sempre in cammino, si mette in gioco, si sporca le mani, ha la mano tesa, per salutare e abbracciare. Questo mi fa pensare a ciò che dicono i santi e anche Gesù: c’è più amore nel dare che nel ricevere. Contro questa cultura che annienta i sentimenti: il servizio. E tu vedrai che i giovani più maturi sono coloro che vanno avanti in cammino col servizio. L’altra parola è che rischiano. Se tu nella vita non rischi, mai mai sarai matura, mai dirai una profezia. Soltanto l’illusione del raccogliere per essere sicuro, avere tutte le rassicurazioni possibili per essere a posto. Mi viene in mente la parabola di Gesù dell’uomo ricco che faceva grandi magazzini per il suo grano e Gesù dice che questa parola: stolto questa sera morirai! La cultura della competizione mai guarda la fine. Guarda il fine che si è proposto nel suo cuore per arrivare arrampicandosi, calpestando teste. Invece la cultura del convivere, della fraternità è una cultura di servizio che si apre e si sporca le mani. Questo gesto, della mano aperta, è essenziale. Tu vuoi salvarti da questa cultura che ti fa sentire una fallita, la cultura dello scarto e della competizione: apri la mano tesa, il sorriso, in cammino, mai seduta, sporcati le mani e sarai felice».

Tony and Grace Naudi (Malta, 71 e 65 anni) 

Mia moglie Grace ed io abbiamo cresciuto una famiglia di quattro figli, un figlio e tre figlie, e abbiamo cinque nipoti. Come molte famiglie, abbiamo dato ai nostri figli un’educazione cattolica, e abbiamo fatto di tutto per aiutarli a vivere la parola di Dio nella loro vita quotidiana. Eppure, nonostante i nostri sforzi come genitori di trasmettere la fede, i figli qualche volta sono molto critici, ci contestano, sembrano respingere la loro educazione cattolica. Che cosa dobbiamo dire loro? Per noi la fede è importante. È doloroso per noi vedere i nostri figli e i nostri nipoti lontani dalla fede o molto presi dalle cose più mondane o superficiali. Ci dia una parola d’incoraggiamento e di aiuto. Che cosa possiamo fare come genitori e nonni per condividere la fede con i nostri figli e i nostri nipoti?

Francesco: «La fede va trasmessa in dialetto familiare, sempre. Pensate alla mamma di quei sette ragazzi che è nel libro dei Maccabei, per tre volte dice che li incoraggiava in dialetto, nella lingua materna. La fede si trasmette a casa, sempre. Sono precisamente i nonni nei momenti più difficili della storia quelli che hanno trasmesso la fede. Pensiamo alle dittature del secolo scorso. Erano i nonni che di nascosto insegnavano a pregare e che di nascosto portavano i nipoti a battezzare. Perché non i genitori? Perché questi ultimi erano coinvolti nella filosofia del partito e se si fosse saputo che facevano battezzare i figli, avrebbero perso il lavoro diventando vittime di persecuzioni. Raccontava una maestra di uno di questi Paesi che il lunedì dopo Pasqua dovevano domandare ai bambini: che cosa avete mangiato ieri a casa. Di quelli che dicevano “uova”, bisognava passare l’informazione perché i genitori fossero puniti. In questi momenti i nonni hanno avuto una grande responsabilità. La fede si trasmette in dialetto, il dialetto di casa, dell’amicizia, della vicinanza. La fede non sono soltanto i contenuti del Catechismo, ma è il modo di gioire, di rattristarsi, di vivere. C’è una vita da tramettere. Non ci si può domandare se abbiamo fallito. Noi cerchiamo di trasmettere la fede poi il mondo fa delle proposte e tanti giovani si allontanano dalla fede, talvolta facendo scelte in modo incosciente. Primo: non spaventarsi, non perdere la pace, sempre parlando col Signore. Mai cercare di convincere, perché la fede non cresce per proselitismo ma per attrazione, cioè per testimonianza, come dice Benedetto XVI. Accompagnarli in silenzio. Mi viene in mente un aneddoto di un dirigente sindacalista che a 21 anni era caduto nella dipendenza dall’alcol e viveva solo con la mamma. Lui si ubriacava e al mattino quando la mamma usciva per lavorare come lavandaia, lui faceva finta di essere addormentato. Osservava come la mamma guardava a lui con tenerezza. Questo lo ha distrutto. Quel silenzio, quella tenerezza della mamma, ha distrutto tutte le resistenze e lui poi si è fatto una buona famiglia, una buona carriera. Il silenzio che accompagna è una delle virtù dei nonni. Tante volte soltanto il silenzio buono può aiutare. Poi se uno si domanda quali sono le cause di questo allontanamento dei giovani, c’è una sola parola: le testimonianze brutte. Non sempre in famiglia, tante volte le senti in Chiesa: preti nevrotici, gente che dice di essere cattolica e fa una doppia vita, incoerenza… Sempre sono le brutte testimonianze che allontanano. E poi questa gente che soffre questo, accusa: io ho perso la fede perché ho visto questo e questo… Solo una contro-testimonianza con la mitezza e la pazienza, quella di Gesù che soffriva, può toccare il cuore. Ai genitori e nonni consiglio molta comprensione, tenerezza, testimonianza, pazienza e preghiera: pensate a santa Monica (la madre di sant’Agostino, ndr), lei ha vinto con le lacrime. Mai discutere, mai. È un tranello: i figli vogliono far venire i genitori alla discussione».

papa francesco giovani e anziani

Rosemary Lane (Stati Uniti, 30 anni) 

Santo Padre, ho avuto il privilegio di trascorrere un anno raccogliendo la saggezza dagli anziani di tutto il mondo per il libro La saggezza del tempo. Mi è accaduto di chiedere ad alcuni anziani come affrontano le loro fragilità, le loro incertezze per il futuro. Una donna saggia, Conny Caruso, mi ha detto che io non devo mai darmi per vinta. Devo darmi da fare, lottare, avere fiducia nella vita. Ma oggi la fiducia non la si può dare per scontata. Anche da lei io avverto personalmente questo messaggio di fiducia. Mi fa riflettere che la fiducia mi venga da persone che hanno vissuto già a lungo. Noi giovani viviamo una vita difficile, viviamo in un mondo instabile e pieno di sfide. Che cosa direbbe lei, da nonno, a giovani che vogliono avere fiducia nella vita, che desiderano costruirsi un futuro all’altezza dei loro sogni?

Francesco: «Bel lavoro hai fatto tu con queste interviste! Io ti prendo l’ultima parola: all’altezza dei loro sogni. La risposta è incomincia a sognare. Sogna tutto. Mi viene in mente quella bella canzone: sognare nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù. Sognare è la parola. E difendere i sogni come si difendono i figli. Questo è difficile da capire ma facile da sentire. Quando tu hai un sogno e lo custodisci e lo difendi perché l’abitudine quotidiana non te lo tolga. Aprirsi a nuovi orizzonti per superare le chiusure. Bisogna sognare e prendere i sogni dagli anziani. Portare gli anziani e i loro sogni. Portare addosso questi anziani e i loro sogni. Il sogno che riceviamo da un anziano è un peso, è una responsabilità, dobbiamo portarli avanti. C’è un’icona che si chiama la santa comunione: un monaco giovane che porta avanti i sogni di un anziano. E non è facile, fa fatica, ma in questa immaginetta tanto bella si vede un giovane che è stato capace di prendere su di sé i sogni degli anziani e li porta avanti per farli fruttificare. Questo forse sarà di ispirazione. Portali avanti, ti farà bene. Non solo scriverli, ma prenderli e portarli avanti e questo ti cambia il cuore, ti fa crescere, ti fa maturare. Loro nei sogni ti diranno anche che cosa hanno fatto nella vita, gli sbagli, i fallimenti, i successi. Prendi tutto questo e va avanti, questo è il punto di partenza».

Fiorella Bacherini (Italia, 83 anni) 

Papa Francesco, sono preoccupata. Ho tre figli. Uno è gesuita come lei. Hanno scelto la loro vita e vanno avanti per la loro strada. Ma guardo anche attorno a me, guardo al mio Paese, al mondo. Vedo crescere le divisioni e la violenza. Ad esempio, sono rimasta molto colpita dalla durezza e dalla crudeltà di cui siamo stati testimoni nel trattamento dei rifugiati. Non voglio discutere di politica, parlo dell’umanità. Com’è facile far crescere l’odio tra la gente! E mi vengono in mente i momenti e i ricordi di guerra che ho vissuto da bambina. Con quali sentimenti lei sta affrontando questo momento difficile della storia del mondo?

Francesco: «Mi è piaciuto: non parlo di politica ma di umanità. Questo è saggio! I giovani non hanno l’esperienza delle due guerre. Io ho imparato da mio nonno che ha fatto la Prima Guerra mondiale sul Piave, e ho imparato tante cose dai suoi racconti. Anche le canzoni molto ironiche contro il re e la regina. I dolori della guerra. Poi cosa lascia la guerra: i milioni di morti della grande strage. Poi è venuta la Seconda Guerra mondiale, l’ho conosciuta a Buenos Aires con i tanti migranti che sono arrivati, tanti. Italiani, polacchi, tedeschi. Ascoltando loro capivamo che cos’è una guerra che da noi non si conosceva. È importante che i giovani conoscano il risultato delle due guerre del secolo scorso. È un tesoro negativo, ma un tesoro da trasmettere per creare delle coscienze. Un tesoro che ha fatto crescere l’arte italiana, il cinema del Dopoguerra è una scuola di umanesimo. Che i giovani conoscano questo perché non cadano nello stesso errore. Capire come cresce un populismo, ad esempio quello di Hitler nel 1922 e 1923. Che sappiano come cominciano i populismi: seminando odio. Non si può vivere seminando odio. Noi nell’esperienza religiosa – pensiamo alla Riforma – abbiamo seminato odio, da tutte e due le parti, protestanti e cattolici. Oggi stiamo cercando seminare gesti di amicizia. Seminare odio è facile e non solo nella scena internazionale, ma anche nel quartiere. Uno va sparla del vicino o della vicina e semina odio. Seminare odio con i commenti e con le chiacchiere – dalla guerra scendo alle chiacchiere, ma sono della stessa specie – è uccidere. Uccidere la fama altrui, la pace, la concordia in famiglia, nel quartiere, nel lavoro. Far crescere le gelosie. Che cosa faccio io quando vedo che il Mediterraneo è un cimitero? Dico la verità: soffro, prego e parlo. Non dobbiamo accettare questa sofferenza, non dobbiamo dire: si soffre dappertutto… Oggi c’è la terza guerra mondiale a pezzetti. Guardate i posti di conflitto: mancanza di umanità, aggressione, odio, fra culture, fra tribù… anche la religione deformata per poter odiare meglio. La terza guerra mondiale è in corso, credo di non esagerare in questo. Mi viene in mente questa profezia di Einstein: la quarta guerra mondiale sarà fatta con le pietre e i bastoni perché la terza distruggerà tutto. Seminare odio è un cammino di distruzione, di suicidio. Questo si può coprire con tanti motivi, quel ragazzo del secolo scorso nel 1922 (Hitler, ndr) lo copriva con la purezza della razza… Accogliere il migrante è un mandato biblico, perché tu Gesù sei stato migrante in Egitto. L’Europa è stata fatta dai migranti, tante correnti migratorie hanno fatto l’Europa di oggi. Poi l’Europa ha coscienza che nei momenti brutti, altri Paesi come l’America hanno ricevuto i propri migranti europei e sanno che cos significa questo. Dobbiamo prima di dare un giudizio sulle migrazioni, riprendere la nostra storia europea. Io sono figlio di migranti che sono andati in Argentina. In America tanti che hanno cognome italiano, migranti ricevuti col cuore e la porta aperta. La chiusura è l’inizio del suicidio. È vero che si devono accogliere e accompagnare i migranti, ma soprattutto si devono integrare. Se noi accogliamo così, senza integrazione, non facciamo un buon servizio. Serve l’integrazione. La Svezia è stato un esempio di questo. Quanti nostri argentini e uruguayani al tempo delle dittature erano rifugiati in Svezia e subito sono stati integrati con scuola, lavoro… In Svezia c’era a salutarmi una ministra figlia di una svedese e di un migrante dell’Africa. Invece la tragedia di Zaventem (gli attentati in Belgio, ndr), non era stata fatta da stranieri, ma da giovani belgi che erano ghettizzati in un quartiere, erano stati ricevuti ma non integrati. Un governo deve avere il cuore aperto per ricevere, le strutture buone per fare il cammino dell’integrazione e anche la prudenza di dire: fino a qui posso, di più non posso. Bisogna che tutta l’Europa si metta d’accordo, non che il peso sia portato tutto da tre-quattro Paesi… Il nuovo cimitero europeo, si chiama Mediterraneo, si chiama Egeo».

Yennifer Tatiana Valencia Morales (Colombia, 20 anni) 

Papa Francesco, raccogliendo le storie di questo libro io sono rimasta profondamente colpita dalla vita degli anziani. Lei di storie ne avrà già ascoltate tante nella sua vita. Che cosa l’ha spinta ad accettare questo progetto e ad ascoltare le storie di vita delle persone anziane presenti in questo libro? In questo libro molte storie sono di anziani che vivono situazioni di grande povertà, gente non rilevante agli occhi del mondo, della società. Nessuno starebbe ad ascoltarle. Dopo aver ascoltato storie di vita lei si sente toccato, cambiato? Le piace ascoltare le storie di vita? La aiuta nel suo mestiere di Papa?

Francesco: «Sì, mi piace, quando sono nelle udienze del mercoledì e comincio a salutare la gente, mi fermo dove ci sono bambini e anziani. Tante esperienze, ne dirò una. C’era una coppia che faceva il 60° di matrimonio, si erano sposati giovani. Ho fatto loro la domanda: valeva la pena questa strada? E loro si sono guardati tra di loro e sono tornati a guardarmi. Avevano gli occhi bagnati e hanno detto: “Siamo innamorati!” Mai avrei pensato a una risposta così moderna da una coppia che faceva 60 anni di matrimonio. Sempre tu incontri cose nuove che ti aiutano ad andare avanti. Con queste esperienze ho capito la capacità di sognare che hanno gli anziani: sempre c’è un consiglio, aperto, non imperativo, con tenerezza. Questi consigli mi davano un po’ il senso della storia e dell’appartenenza. La nostra propria identità non è nella carta d’identità che abbiamo, ma ha delle radici. Ascoltando gli anziani noi troviamo le nostre radici. Se tagli le radici, l’albero non crescerà, non darà frutti. Non significa chiudersi, ma fare come il tartufo: nasce vicino alla radice, prende tutto e poi guarda che gioiello! Prendere il succo dalla radice, le storie, e questo ti dà l’appartenenza a un popolo. E poi questa appartenenza ti dà l’identità. Perché oggi ci sono tanti giovani liquidi? Non è colpa loro, è colpa di questo staccarsi dalle radici, da questa storia. Un’altra esperienza che ho avuto è quello che fanno i giovani quando vanno a fare vita a una casa di riposo a Buenos Aires: prima parola, è noioso. Più vanno con la chitarra e gli anziani cominciano a svelarsi e sono i giovani che non vogliono andare più via e continuano a suonare perché si dà questa connessione. Quando Mari e Giuseppe portano Gesù Bambino al tempio sono due anziani a riceverli. Quel saggio che inventa una liturgia di lode a Dio e quell’anziana che fa la chiacchierona e sa trasmettere quello che ha scoperto nell’incontro con Gesù. La Bibbia dice quattro volte che sono spinti dallo Spirito»

Martin Scorsese (Stati Uniti, 75 anni) 

Santo Padre, oggi le persone fanno tanta fatica a cambiare, a credere nel futuro. Non si crede più nel bene. Ci guardiano attorno, leggiamo i giornali e sembra che ormai la vita del mondo sia segnata dal male, persino dal terrore e dall’umiliazione. Anche la Chiesa viene colpita da questi problemi. In che modo oggi un essere umano può vivere una vita buona e giusta in una società dove ciò che spinge ad agire sono avidità e vanità, dove il potere si esprime con violenza?
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Francesco: «In che modo la fede di una giovane donna e un giovane uomo può sopravvivere? Come aiutare la Chiesa in questo sforzo? Oggi si vede più chiaramente come si agisce con la crudeltà, dappertutto, fredda nei calcoli per rovinare l’altro. E una delle forme di crudeltà che mi toccavano nel mondo dei diritti umani è la tortura, in questo mondo la tortura è il pane nostro di ogni giorno. E la tortura è la distruzione della dignità umana. Una volta consigliavo a giovani genitori: come correggere i bambini e delle volte bisogna usare la filosofia pratica dello schiaffo, uno schiaffetto, ma mai in faccia perché questo toglie la dignità! Voi sapete dove darlo… La tortura è giocare con la dignità delle persone, la violenza per sopravvivere, la violenza in certi quartieri che se tu non rubi non mangi. Questa cultura non possiamo negarla. Come agire con la grande crudeltà? Come insegnare e trasmettere ai giovani che la crudeltà è una strada sbagliata che uccide la persona, l’umanità, la comunità? Qui c’è una parola che dobbiamo dire: la saggezza del piangere, il dono del piangere. Davanti a queste crudeltà, il pianto è umano e cristiano, perché ammorbidisce il cuore ed è fonte di ispirazione. Gesù nei momenti più difficili della sua vita, ha pianto. Piangere, non abbiate paura di piangere su queste cose. Siamo umani. Poi condividere l’esperienza, e torno a parlare dell’empatia. Non condannare i giovani (come i giovani non devono condannare gli anziani). E questa è l’empatia della trasmissione dei valori. Poi la vicinanza, che fa dei miracoli. La non violenza ma la mitezza, la tenerezza, queste virtù umane che sembrano piccole ma sono capaci di superare i conflitti più brutti. Vicinanza con coloro che soffrono vicinanza con i problemi, vicinanza tra giovani e anziani. Sono poche cose e così si trasmette un’esperienza e si fa maturare: i giovani, noi stessi e tutta l’umanità».

di Andrea Tornielli per Vatican Insider

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