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Papa Francesco ai nuovi cardinali: Nessuno di noi si senta superiore e guardi gli altri dall’alto in basso

Il Papa al Concistoro per i nuovi cardinali parla degli “intrighi di palazzo” nelle curie ecclesiastiche. E spiega che la più alta onorificenza è «servire Cristo nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente»

«Nessuno di noi deve sentirsi superiore e guardare gli altri dall’alto in basso. La più alta onorificenza è servire Cristo nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente», e non farsi corrodere «all’interno da intrighi asfissianti che inaridiscono e rendono sterile il cuore e la missione». Sono chiare e impegnative le parole che Papa Francesco pronuncia nella breve omelia al Concistoro pubblico per la creazione di 14 nuovi cardinali, concludendola con una citazione sulla povertà tratta dal testamento spirituale di san Giovanni XXIII.

I neo-porporati, uno ad uno, sfilano davanti al Pontefice per ricevere dalle sue mani la berretta rossa (il colore porpora sta a indicare il giuramento di servire il Vescovo di Roma e la Chiesa usque ad sanguinis effusionem, fino allo spargimento del proprio sangue), l’anello cardinalizio e la pergamena con il “titolo” che assegna a ciascuno una chiesa parrocchiale della diocesi di Roma facendoli entrare a pieno titolo nel clero romano anche se eserciteranno il loro ministero in luoghi lontanissimi o sperduti.

I nuovi porporati sono Luis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, in Iraq; Luis Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; Angelo De Donatis, vicario di Roma; Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato; Konrad Krajewski, Elemosiniere pontificio; Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, in Pakistan; Antonio dos Santos Marto, vescovo di Leiria-Fatima; Pedro Ricardo Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo, in Perù; Désiré Tsarahazana, arcivescovo di Toamasina, in Madagascar; Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila; T homas Aquino Manyo Maeda, arcivescovo di Osaka, in Giappone. Insieme a loro ci sono tre ultraottantenni: Sergio Obeso Rivera, arcivescovo emerito messicano; Toribio Ticona Porco, prelato emerito di Corocoro, in Bolivia; padre Aquilino Bocos Merino, dei missionari clarettiani, l’unico non vescovo.

Nel suo saluto al Papa, il primo dei neoporporati, l ’iracheno Luis Sako, ha ricordato che «alcuni musulmani venuti a farmi gli auguri hanno espresso la loro ammirazione per l’apertura della Chiesa e per il vostro stare sempre vicino alla gente nelle loro preoccupazioni, paure e speranze». Sako ha citato le sofferenze dei cristiani: «La vostra chiamata paterna per noi è un incoraggiamento nelle nostre sofferenze e ci dona la speranza che la tempesta attuale passerà e sarà possibile vivere insieme armoniosamente. Credo fermamente nella fecondità dell’amore spinto fino alla fine. Questo sangue dei martiri non è per niente, Santità, vi assicuriamo il nostro sostegno e la nostra collaborazione ancora più intensa per promuovere la cultura del dialogo, del rispetto e della pace dappertutto e in particolare dove c’è più bisogno».

L’imposizione delle berrette è stata accompagnata dagli applausi dei fedeli, più consistenti quelli dei porporati italiani, con un seguito maggiore di presenti. Significativi gli abbracci del Papa con i nuovi cardinali, con i collaboratori più vicini – De Donatis, Ladaria, Becciu e Krajewski – ma lungo e sentito anche quello con altri, come l’arcivescovo di Karachi Joseph Coutts o l’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Petrocchi. U na berretta diversa da quelle d’ordinanza è stata posta sul capo del patriarca iracheno: invece del tradizionale tricorno, ha ricevuto un copricapo a forma cilindrica simile a un fez.

Francesco ha meditato il brano del Vangelo di Marco appena letto, nel quale si descrive la salita di Gesù a Gerusalemme, mentre cammina davanti ai discepoli. Cristo precede, «primerea» dice Bergoglio, i suoi, nell’ora «delle grandi determinazioni e decisioni». «Tutti sappiamo che, nella vita – aggiunge il Papa – i momenti importanti e cruciali lasciano parlare il cuore e mostrano le intenzioni e le tensioni che ci abitano. Tali incroci dell’esistenza ci interpellano e fanno emergere domande e desideri non sempre trasparenti del cuore umano». A fronte del terzo e più duro annuncio della passione, l’evangelista Marco «non teme di svelare certi segreti del cuore dei discepoli: ricerca dei primi posti, gelosie, invidie, intrighi, aggiustamenti e accordi; una logica che non solo logora e corrode da dentro i rapporti tra loro, ma che inoltre li chiude e li avvolge in discussioni inutili e di poco conto». Gesù però con forza dice loro: «Tra voi non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore».

Così facendo, spiega il Pontefice, «il Signore cerca di ricentrare lo sguardo e il cuore dei suoi discepoli, non permettendo che le discussioni sterili e autoreferenziali trovino spazio in seno alla comunità. A che serve guadagnare il mondo intero se si è corrosi all’interno? A che serve guadagnare il mondo intero se si vive tutti presi da intrighi asfissianti che inaridiscono e rendono sterile il cuore e la missione? In questa situazione – come qualcuno ha osservato – si potrebbero già intravedere gli intrighi di palazzo, anche nelle curie ecclesiastiche».

Le parole evangeliche vengono dunque calate nella situazione attuale della Chiesa. E quelle parole di Gesù, «tra voi però non è così», sono «un invito e una scommessa per recuperare il meglio che c’è nei discepoli e così non lasciarsi rovinare e imprigionare da logiche mondane che distolgono lo sguardo da ciò che è importante», invitando invece a dedicarsi alla missione. Proprio la missione «presuppone che si cessi di vedere e curare i propri interessi per guardare e curare gli interessi del Padre. La conversione dai nostri peccati, dai nostri egoismi non è e non sarà mai fine a sé stessa, ma mira principalmente a crescere in fedeltà e disponibilità per abbracciare la missione».

Così, Francesco invita a essere «ben disposti e disponibili ad accompagnare e accogliere tutti e ciascuno», e a non trasformarsi «in ottimi respingenti, o per ristrettezza di vedute o, peggio ancora, perché stiamo discutendo e pensando tra di noi chi sarà il più importante. Quando ci dimentichiamo della missione, quando perdiamo di vista il volto concreto dei fratelli, la nostra vita si rinchiude nella ricerca dei propri interessi e delle proprie sicurezze. E così cominciano a crescere il risentimento, la tristezza e il disgusto».

Nella Chiesa soffocata dalle lotte interne, dagli intrighi di palazzo, dalle cordate vecchie e nuove, «a poco a poco viene meno lo spazio per gli altri, per la comunità ecclesiale, per i poveri, per ascoltare la voce del Signore. Così si perde la gioia e il cuore finisce per inaridirsi». Invece, insegna Gesù, « chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti». È «l’invito che il Signore ci fa perché non dimentichiamo che l’autorità nella Chiesa cresce con questa capacità di promuovere la dignità dell’altro, di ungere l’altro, per guarire le sue ferite e la sua speranza tante volte offesa».

Per questo, ricorda il Papa indicando l’esempio di Gesù, «l’unica autorità credibile è quella che nasce dal mettersi ai piedi degli altri per servire Cristo. È quella che viene dal non dimenticare che Gesù, prima di chinare il capo sulla croce, non ha avuto paura di chinarsi davanti ai discepoli e lavare loro i piedi. Questa è la più alta onorificenza che possiamo ottenere, la maggiore promozione che ci possa essere conferita: servire Cristo nel popolo fedele di Dio, nell’affamato, nel dimenticato, nel carcerato, nel malato, nel tossicodipendente, nell’abbandonato, in persone concrete con le loro storie e speranze, con le loro attese e delusioni, con le loro sofferenze e ferite».
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Solo in questo modo, conclude Bergoglio, «l’autorità del pastore avrà il sapore del Vangelo e non sarà “come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita”. Nessuno di noi deve sentirsi “superiore” ad alcuno. Nessuno di noi deve guardare gli altri dall’alto in basso. Possiamo guardare così una persona solo quando la aiutiamo ad alzarsi».

Infine, Francesco ha fatto risuonare nella Basilica vaticana le parole del testamento spirituale di San Giovanni XXIII: «Nato povero, ma da onorata ed umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della Santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano — in misura assai limitata del resto — durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono, sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come Prete del S. Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici» (29 giugno 1954). Un esempio, quello del Papa Buono oggi santo, che Francesco significativamente indica a tutti, e particolarmente ai nuovi e vecchi cardinali.

Al termine della celebrazione nella Basilica vaticana, il Papa e i neo porporati si sono recati, a bordo di due pullmini, al monastero “Mater Ecclesiae” per incontrare il Papa Emerito, Benedetto XVI. Nella cappella, tutti insieme hanno recitato l’Ave Maria. Dopo un breve saluto e la benedizione di Papa Benedetto, i 14 nuovi porporati sono tornati in Aula Paolo VI e nel Palazzo apostolico per le visite di cortesia.

di Andrea Tornielli per Vatican Insider

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