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Padre Candido: l’uomo che ha guardato in faccia il dolore

Di Padre Candido Amantini si può dire quanto la beata Teresa Maria della Croce (1846 – 1910), fondatrice della Congregazione delle Carmelitane di Santa Teresa dice dei santi: «I santi non si fanno a pennello, ma a scalpello: sul Tabor si abbozzano e sul Calvario di perfezionano». Candido, infatti, è un uomo di Dio: amato da Dio. Egli ama e vive d’amore, in perfetta sintonia col comandamento nuovo lasciatoci da Cristo, ovvero quello di amarci come Lui ci ha amato.

Padre Candido

Questo spiega la sua vita intensa vita di fede, questo spiega, poi, la sua intensa vita di pietà e di preghiera; vita questa sostenuta dalla Celebrazione eucaristica e dal contatto diretto con la Parola. Discepolo del Crocefisso, ha incarnato la spiritualità del «Christus patiens» (Cristo sofferente). Spiritualità espressa in modo profondo nell’opera Imitazione di Cristo, che  afferma: «Oggi, di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova di pronti a portare la sua croce. Trova molti desiderosi di consolazione, pochi desiderosi della tribolazione, molti disposti a sedere a mensa, pochi disposti a digiunare. Tutti desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire per Lui. Molti seguono Gesù fino alla distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il calice della passione. Molti guardano con venerazione ai suoi miracoli, pochi seguono l’ignominia della croce. Molti amano Iddio fin tanto che non succedono avversità. Molti lo lodano e lo benedicono soltanto mentre ricevono da lui qualche consolazione; ma, se Gesù si nasconde e li abbandona per un poco, cadono in lamentazione e in grande abbattimento. Invece coloro che amano Gesù per Gesù, non già per una qualche consolazione propria, lo benedicono nella tribolazione e nella angustia del cuore, come nel maggior gaudio spirituale. E anche se Gesù non volesse mai dare loro una consolazione, ugualmente vorrebbero sempre lodarlo e ringraziarlo» (II, XI, 1).  La sequela del Crocefisso spiega la sua vita. Uditore, narratore e custode della Parola, Padre Candido si mette in ascolto e si lascia guidare dal Vangelo: Egli coglie tutte le occasioni per annunciare l’amore e la misericordia di Dio. Uomo di equilibrio e si sintesi. Equilibrio e sintesi tra le «cose del cielo» e «quelle della terra». Qui mi piace ricordare un pensiero di M. Pomilio, il quale scrive ne Il quinto evangelio che «la santità è una pianta che la cima nel cielo e le radici nel deserto». Equilibrio, dicevamo, secondo l’esortazione dell’Apostolo Paolo: «Se, dunque, siete risorti col Cristo, continuate a cercare le cose di lassù, dove Cristo è, seduto alla destra di Dio. Tenete la mente rivolta alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Custode attento delle cose di Dio e delle cose dell’uomo: amico solidale dei poveri, dei malati (nel corpo e nello spirito), dei più bisognosi ed emarginati. Sempre disponibile e discreto, spesso in punta di piedi.

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Sacerdote in profonda sintonia col Magistero: dentro la Chiesa e con la Chiesa; di lui si può dire quanto il teologo H. De Lubac dirà, negli anni del Concilio, dell’uomo di Chiesa: «La Chiesa ha rapito il suo cuore. È la sua patria spirituale. Essa è «sua madre e i suoi fratelli» . Nulla di ciò che la tocca lascia indifferente o insensibile. Egli si radica in essa, si forma a sua immagine, s’inserisce nella sua esperienza, si sente ricco delle sue ricchezze. Egli ha la coscienza di partecipare per mezzo di essa e di essa sola, alla stabilità di Dio. Dalla Chiesa impara a vivere e a morire. Non la giudica ma si lascia giudicare da Lei. Accetta con gioia di tutto sacrificare alla sua unità» (H. De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa). Padre Candido non dimentica mai di essere uomo: la sua vita quotidiana è fatta di attese e di incontro, di accoglienza e di ascolto, di compassione e di solidarietà, di condivisione e di servizio. Con umiltà e discrezione, fiducia e pazienza. Qualcuno ricorda che «anche durante le vacanze in paese si rendeva sempre disponibile ai malati, ai sofferenti. Venivano anche persone da lontano, che già lo frequentavano a Roma, per ricevere le sue benedizioni. La sua parola, anche la sua sola presenza, era di conforto. E lui si dedicava agli altri, aiutava e confortava, fino all’estremo delle forze». Svolse un’intensa attività accanto ai più bisognosi, anche quando le sue condizioni erano tutt’altro che buone.

Padre Candido ha incarnato il dolore dell’uomo anche fisicamente, come buona parte dei mistici del ‘900: Padre Alfredo Pallotta che fu suo studente e che ne seguì le orme nel ministero d’esorcista così lo ricorda: «Faceva impressione a noi giovani contemplare la sua scarna faccia, messa a confronto soprattutto con il soprannome che gli aveva appioppato il cuoco, Fratel Giovanni (era sua abitudine farlo con tutti); lo aveva bollato col titolo di “Cristo spirante”». L’Amantini non si è sottratto al dolore: lo ha accettato e accolto. È entrato nel mistero dell’uomo. Padre Candido ha «collaborato» con Dio affinché potesse crescere nell’uomo, in qualunque uomo, quell’umanità vera, autentica e matura che è il vero riflesso della luce divina nel mondo; che è poi, il luogo teologico di Dio nel mondo, luogo dove l’azione dello Spirito ci fa recuperare l’unità tra umano e spirituale, tra conoscenza di se e conoscenza di Dio. In Dio l’essere umano diventa se stesso e assume la missione di rendere umana la storia, di condividere con la creazione la libertà alla quale essa aspira, darle un senso pienamente umano.

In conclusione un pensiero del filosofo francese Mounier che annota «il dolore è così grande che tratteggiarlo con la parola diviene insopportabile. Il dolore non ha volto, non ha un nome certo, non serve a niente, e, tuttavia, voi vedrete che il dolore è più tangibile dei volti, è più sicuro degli amici, è più fecondo dei nostri lavori. […] Lasciategli aperta non soltanto la parola del ricordo, ma anche quella della presenza e della speranza. Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina ma nasca dalla carne» (E. Mounier, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza).

Vale la pena, allora, ricordarci che anche nel dolore Dio non è una parola vuota, una storia lontana, ma un racconto eterno d’amore venuto a narrarsi nel tempo – il nostro, perché ciascuno, ascoltandolo e credendo si lasci raggiungere e trasformare da Lui, in Lui.

Andrea Maniglia

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