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P. Neuhaus: cattolici di lingua ebraica, ponte di riconciliazione

P. NeuhausA 60 anni dalla fondazione dell’Opera di San Giacomo per i cattolici di lingua ebraica in terra israeliana, il responsabile, padre David Neuhaus, ha pubblicato una lettera pastorale in cui ribadisce l’importanza di aver fatto rinascere la comunità ebraico-cristiana nello Stato di Israele, costituita da migliaia di cristiani immigrati dopo il 1948, da ebrei “che avevano incontro Cristo e lo avevano riconosciuto come Messia e Signore”, e anche da cristiani membri di famiglie ebraiche. Ascoltiamo padre Neuhaus al microfono di Francesca SabatinelliR. – Ci sono tantissimi cattolici che vivono nella società ebraica come ebrei e vogliono continuare a pregare nella Chiesa cattolica, ma certamente la lingua comune adesso, la lingua per quasi tutti questi migranti è l’ebraico, quindi questa è stata la sfida di trovare il modo di pregare, pensare, parlare, come cattolici che usano per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica la lingua ebraica. Adesso facciamo un lavoro di Chiesa in un ambiente dove gli ebrei sono la maggioranza e noi come piccolissima minoranza cattolica, ma con il dialogo nel cuore di provare a trovare il cammino di riconciliazione con gli ebrei. Abbiamo la libertà di fare questo lavoro, abbiamo la libertà nello Stato di Israele, abbiamo il sostegno della Chiesa locale e universale, è una cosa per la quale dobbiamo ringraziare Dio, il Concilio, dono del Santo Papa Giovanni XXIII, il Beato Paolo VI, le visite dei Papi che sono venuti qui, per tutto questo vogliamo dire grazie a Dio e a tutti.

D. – Lei ha descritto nella lettera pastorale la vostra vocazione ad essere ponte in un contesto molto difficile, lacerato dal conflitto…

R. – Io spero che noi troviamo il modo di essere ponte, ma ponte fra gli ebrei e i cristiani, che hanno un passato durissimo, ma anche con i nostri fratelli qui, che sono i palestinesi arabo-cristiani, che sono adesso arabofoni e sono nostri fratelli: qui ci sono muri a causa della situazione politica e storica nel Paese, dove c’è una ferita molto profonda di animosità fra arabofoni e quelli di lingua ebraica, noi dobbiamo trovare il modo di dire che siamo un corpo di Cristo con i nostri fratelli arabofoni. Noi siamo chiamati ad essere una Chiesa unita, una, abbiamo la vocazione di parlare forte sulla pace, sulla giustizia, sulla riconciliazione fra il mondo arabo e questo mondo israeliano. Non è facile, perché ci sono tantissimi che vogliono la violenza, la guerra, e non pensano alla riconciliazione, noi che parliamo ebraico dobbiamo dare questa testimonianza al cuore della società ebraica: essere con gli ebrei, per gli ebrei, ma anche discepoli di Cristo che annunciano chiaramente pace, giustizia, riconciliazione, non c’è un altro cammino. Facciamo questo in comunione profonda con i nostri confratelli cristiani arabofoni che dicono la stessa cosa nella società palestinese e nel mondo arabo.

D. – Uno dei punti della sua lettera riguarda l’importanza della trasmissione della fede alle nuove generazioni, questa è quella che lei sottolinea essere una delle sfide più importanti e che si trova a confrontarsi con un pericoloso fenomeno in atto che riguarda, che tocca, i giovani cattolici…

R. – Loro si convertono all’ebraismo non per essere ebrei religiosi, ma per fare parte della maggioranza. Quindi il problema maggiore non è un passaggio da un cristianesimo praticato ad un ebraismo ortodosso, è più la questione di un ragazzo che è cristiano, che è nato in una famiglia dove la fede c’è, e che entra profondamente, per mezzo della scuola, dell’esercito, della vita sociale, nella società ebraica laica. Per essere parte piena di questa società lui passa per una conversione, e questo succede molto spesso nell’esercito. La maggioranza dei nostri giovani vengono da famiglie di origine russofona, della Polonia, delle Filippine, e sono qui tentati di diventare ebrei perché è più facile, ma ci sono questioni molto più importanti di questa discriminazione: per esempio con chi si sposeranno i nostri giovani? C’è sempre la grande questione aperta dei matrimoni misti. La società israeliana un po’ più liberale, aperta, laica, e sottolineo laica, è una società che ha le sue linee rosse, e una di queste linee è che qualcuno che intende far parte piena di questa società deve diventare in qualsiasi modo ebreo come noi siamo ebrei.

D. – Gli ordinari cattolici della Terra Santa hanno denunciato un rabbino estremista che qualche giorno fa ha spinto in pubblico a bruciare chiese e moschee. Questo è un gravissimo segno di intolleranza nei  confronti delle minoranze religiose del Paese…

R. – Credo che sia importante che lo Stato prenda misure contro una persona che parla apertamente così. Sono stati fatti più di 40 attacchi gravi a chiese e moschee. Noi, come ordinari della Terra Santa, speriamo che ci sia un vero cambiamento nell’istruzione specialmente nelle scuole religiose ebraiche. Devono cambiare l’insegnamento su chi è un cristiano, chi è un musulmano, dire che fanno parte integrante della società, e che sono cittadini con eguali diritti. 

Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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