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Obama: non siamo in guerra contro l’Islam ma contro il terrorismo

“L’Iraq ha un ruolo importante nella guerra contro il sedicente Stato islamico”. “Deve combattere e deve farlo in modo non settario”. E’ quanto ha dichiarato, in un’intervista alla Cbs, il presidente statunitense Barack Obama aggiungendo che gli Stati Uniti hanno pianificato con i loro alleati “una campagna che ha chance di successo”. Il servizio di Amedeo Lomonaco per la Radio Vaticana:

Non una guerra contro l’Islam ma una campagna per combattere il “cancro” del sedicente Stato islamico. Il presidente americano Barack Obama parla di chance di successo dell’operazione militare ma ammette anche che gli Stati Uniti hanno “sottostimato” i progressi dell’autoproclamato Stato islamico in Siria e sopravvalutato la capacità dell’esercito iracheno di combattere gli estremisti. Intanto le forze della coalizione, guidate dagli Stati Uniti, hanno bombardato ieri sera il principale impianto di gas in Siria per sottrarre la struttura, che fornisce elettricità a sei province, al controllo dei miliziani jihadisti del sedicente Stato islamico. E mentre il premier britannico David Cameron preme per estendere i raid aerei dell’aviazione britannica dall’Iraq alla Siria, affermando che sarebbero “legali e appropriati”, arrivano infine nuove minacce da Al Qaeda: i bombardamenti della coalizione – ha detto il capo del fronte “Al Nusra”, ramo siriano di Al Qaeda – porteranno la guerra in Occidente.

ISIS

Sull’operazione militare della coalizione internazionale si sofferma, al microfono di Marco Guerra per la Radio Vaticana, il nunzio apostolico in Siria, mons Mario Zenari:
R. – La sola forza militare non è la soluzione. Bisogna sanare il terreno da questo “humus” che produce questi estremismi, questo terrorismo: se non si tira via da sotto la brace, il fuoco continuerà ancora a bruciare. Quindi, in questi Paesi bisogna mettere mano a riforme serie di democrazia, di pluralismo che coinvolgano tutti i gruppi presenti nel Paese: parlo della Siria, in questo momento, e dell’Iraq, ma soprattutto della Siria. Purtroppo, il conflitto può produrre ancora questi estremismi e la questione della Siria è molto, molto delicata, direi, rispetto a quella dell’Iraq. Per l’Iraq si può intravedere una via di uscita, presto o tardi, ma per la Siria è ancora troppo complicata la situazione… Quindi, l’uso della forza non è “la” soluzione.

D. – La situazione umanitaria resta drammatica: cosa può dirmi dell’emergenza in Siria?
R. – Soprattutto in questi ultimi tempi, quello che si vede è il panico che si sta diffondendo. Molta gente ha paura, è terrorizzata da quello che può capitare, è terrorizzata dall’avanzata di questi estremisti e quindi cerca di scappare… E’ un panico che si diffonde un po’ a tutti gli strati che provoca questi esodi massicci versi i Paesi vicini. I cristiani sono anche loro in questa situazione e bisogna anche ricordare che durante tutto questo conflitto le minoranze sono l’anello più debole della catena, poiché questo Is ha posto l’alternativa: o convertirsi all’islam, oppure pagare un tributo e non ostentare segni religiosi come croci, suono di campane… Chi può, cerca di vendere qualche proprietà e pensa di fuggire all’estero. Tutti, compresi i cristiani.

D. – Lei ha evidenziato il forte sentimento religioso dei musulmani e ha parlato di valori sui quali convergere…
R. – Io direi che un modo di tagliare l’erba sotto ai piedi di questi fondamentalisti è quello di ricuperare, soprattutto in Europa, i valori religiosi che sono molto, molto forti, molto sentiti in questi Paesi musulmani. Loro ci accusano spesso di essere atei e ci accusano di immoralità, è giusto quindi far vedere che l’Europa crede nei valori religiosi e, conseguentemente, crede anche alla pratica di questi valori religiosi. Altrimenti, anche questo sarà un humus per la crescita e lo sviluppo di questi fondamentalismi.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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