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Non si ferma la scia di sangue. 439 civili uccisi in battaglia a Mosul

Sono 439 i civili finora morti nella battaglia cominciata il mese scorso che vede le forze lealiste irachene impegnate in un’offensiva per strappare all’Isis la parte ovest di Mosul. Lo afferma l’ong Osservatorio iracheno per i diritti umani. Secondo la stessa fonte 299 dei civili sono stati uccisi dai bombardamenti della Coalizione internazionale a guida americana.

 

 

Mentre infuria davvero la battaglia di Mosul ovest, arrivata alle soglie della Città Vecchia – avete letto sabato, mi auguro, il primo bellissimo reportage di Daniele Raineri – vorrei richiamare ancora un’attenzione laterale sullo scontro fra curdi in corso nella regione yazida di Shingal-Sinjar, a ovest di Mosul. Ricapitolo le tortuose premesse. Shingal venne occupata dai miliziani dell’Isis nell’agosto del 2014, quasi due mesi dopo la caduta di Mosul, e restò nelle grinfie del sedicente Califfato fino al novembre dell’anno successivo. Vi si compì il massacro genocida di uomini yazidi, il sequestro e la schiavizzazione di donne e bambine, la caccia feroce ai fuggiaschi. I peshmerga del partito egemone nella parte del Governo Regionale Curdo di Erbil e Dohuk, il Pdk, non seppero far fronte all’avanzata dell’Isis. Al contrario, le truppe del Pkk, il Partito dei Lavoratori curdo-turco in esilio nel territorio curdo-iracheno, intervennero valorosamente nella difesa degli yazidi.

 

Il Pkk è il partito di Ocalan, già rigidamente marxista-leninista, poi passato attraverso una revisione che, almeno in teoria, lo ha fatto rinunciare alla rivendicazione statalista a vantaggio di un programma confederale e valorizzare una concezione femminista ed ecologista. Per il governo di Erdogan, e sulla sua scia per gli Stati Uniti, la Nato e i governi europei, il Pkk resta un’organizzazione terrorista. Dopo un paio di anni di tregua e di apparenti negoziati la guerra fra regime turco e Pkk si è riaccesa violentemente nel 2015. Poiché il Pkk ha tenuto da sempre una propria fondamentale base nell’esilio curdo-iracheno dei monti Qandil, la repressione turca nei suoi confronti si svolge, oltre che nel vasto territorio del sud-est turco popolato dai curdi, nel territorio del governo regionale curdo, dove i bombardamenti dell’aviazione turca sono costanti. La partita si è fatta enormemente più impegnativa e intricata con la guerra civile siriana – che compie il suo sesto anno – perché il Pyd, l’organizzazione politica e militare egemone nel Rojava, Kurdistan occidentale siriano, è affiliata al Pkk. Ma qui si è guadagnata, dalla difesa di Kobane in poi, il ruolo di alleata principale sul terreno della coalizione anti-Isis guidata dagli Usa. Ed è, oggi ancora, la forza su cui fanno leva gli americani per la riconquista di Raqqa, capitale siriana dell’Isis, in contrasto con la Turchia, che è disposta a tutto pur di impedire l’autonomia di una zona curda al proprio confine, per giunta egemonizzata dal Pkk, il suo nemico giurato.

 

Torniamo ora alla regione di Shingal. Questa fu liberata nel novembre del 2015 con la partecipazione dei combattenti del Krg, il governo regionale curdo, e del Pkk. Il governo di Erbil, riconoscendo il ruolo giocato dalle forze del Pkk nella difesa di Shingal, hanno dopo di allora chiesto che si ritirassero dalla zona. Il Pkk ha oscillato fra la promessa di ritiro e la rivendicazione di uno statuto “autonomo” della regione di Shingal (e di Ninive), una sua “cantonalizzazione”, che avrebbe dato loro spazio. Questione complicata a sua volta dal fatto che il sostegno portato agli yazidi in un momento così tragico ha procurato al Pkk un seguito consistente fra i giovani sfollati yazidi, decidi a battersi per vendicare la persecuzione e riconquistare le proprie case. Dunque quando oggi il governo di Erbil chiede al Pkk di ritirarsi da Shingal deve fare i conti con una sua composizione che comprende giovani donne e uomini yazidi che ci sono nati e che là vogliono battersi e vivere. Gli yazidi sono anch’essi divisi: una parte si è organizzata anche militarmente in alleanza con i peshmerga del Krg, un’altra col Pkk. Dall’inizio di marzo i nodi, di cui avete capito quanto siano intricati, vengono al pettine.






Il governo di Erbil ha formato una forza armata costituita di curdi siriani del Rojava avversari del Pyd curdo-siriano e riparati perciò nel Kurdistan iracheno. E ha fatto avanzare questa forza armata, i “Peshmerga del Rojava”, verso la zona di Shingal presidiata da forze legate al Pkk. Ne sono nati giorni fa scontri a fuoco che hanno fatto numerosi morti (9, ne ha dichiarati nelle proprie file il Pkk) e feriti. Il teatro dello scontro è la città yazida di Khanasoor. La zona è strategicamente importante, oltre che per la formazione geologica, per la prossimità estrema dei confini siriano, iracheno, turco. La tensione non si è allentata nei giorni successivi, e ieri una manifestazione di yazidi patrocinata dal Pkk contro il Pdk e i “Peshmerga del Rojava” è finita con la morte di una manifestante yazida, colpita da armi da fuoco, e altri feriti. Una tensione analoga è segnalata a Makhmour, a sud-est di Mosul, altro centro cruciale già conquistato dall’Isis e poi espugnato dal Pkk, che vuole tenervi le proprie forze in previsione di uno scontro armato finale coi peshmerga del Krg. Questa la situazione di un ennesimo fronte del puzzle siriano-iracheno (e turco-iraniano, eccetera). Se siete arrivati fin qua, sarete anche disposti a ricordare che il governo regionale curdo è essenzialmente spartito fra due zone maggiori e due partiti maggiori – il Pdk di Erbil e Dohuk, e il Puk di Suleimanyah e Kirkuk – che collaborano nel governo, ma sono legati alle maggiori potenze confinanti, la Turchia per il Pdk e l’Iran per il Pkk. Alleanze opposte che comportano anche atteggiamenti opposti nei confronti del Pkk, frontalmente inviso al Pdk e più benevolmente considerato dal Puk.




Fonte www.ansa.it/www.ilfoglio.it

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