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Noi, il popolo che scende in piazza per la famiglia

La mia amica B. sta preparando le borse da una settimana, per coprire uno spettro di temperature che vanno da zero a venti gradi, e uno spettro di figli che vanno dai due ai tredici anni. Non pare previsto che ne faccia un altro prima del 30 gennaio, quindi i preparativi dovrebbero essere a buon punto. L. e S. entrambi medici – non si conoscono ma nei miei progetti segreti dovrebbero sposarsi, non so se riuscirò a farli incontrare al Circo Massimo – hanno chiesto il turno di riposo appena la notizia della manifestazione ha cominciato a girare. S. viene da Palermo, A. da Teramo, L. e un mucchio di altra gente da Milano. F. a dire la verità ci viene apposta da Washington.

Family Day

Migliaia di facce di amici incontrati nelle mie conferenze in tutta Italia mi si affollano alla mente, e calcolo se posso ardire di chiedere a mio marito di invitarli tutti a cena (probabilmente se lo farò tra poco non sarò più sposata, il che mi rovinerebbe leggermente l’immagine di sposa sottomessa che ho usurpato). P. è molto generosa, forse anche un po’ ricca, e mi chiede di segnalarle persone che vorrebbero essere alla manifestazione a Roma ma non possono permetterselo. Il marito di V. invece ha perso il lavoro e verranno tutti e otto (ho amiche molto feconde) in pullman aprendo il salvadanaio delle emergenze, perché questa, precisamente, è un’emergenza.

ITALIA, «FELICE ECCEZIONE»

Il nostro Paese è chiamato a piantare un fronte nel cuore dell’Europa, a fermare l’ondata delle leggi a favore delle unioni civili che sembrava fino a qualche mese fa inarrestabile, e che invece in tanti Paesi dell’Est è stata fermata. Ma noi siamo l’Italia e, anche se tendiamo a deprimerci, siamo un punto di riferimento della civiltà europea e mondiale, e la partita in gioco, quella che potrebbe farci rimanere la «felice eccezione» (copyright Giovanni Paolo II), è davvero cruciale. Quindi via a rompere salvadanai, avvolgere bambini in impermeabili, prepararsi a fatiche sovrumane, pregare (migliaia e migliaia di ore di preghiera sono state dedicate alla causa, alcuni amici hanno anche aperto il sito unoradiguardia.it).

So che adesso una delle parole più vietate dell’Occidente è “contro”, ma io sono un tipo vintage, e la uso ancora. La manifestazione del 30 gennaio è esattamente contro la Legge Cirinnà, che secondo noi del Comitato promotore è da respingere in blocco, non solo nell’articolo 5, cioè quello che prevede l’adozione di un figlio da parte del convivente del suo genitore, indipendentemente dal sesso, e anche indipendentemente dalla provenienza del bimbo.

NO ALL’UTERO IN AFFITTO

Avete letto bene, provenienza del figlio. No, non è una mozzarella, eppure, come per le merci, oggi, in questo mondo occidentale così progredito – io però l’ho detto che sono vintage – succede davvero che ci siano persone, etero e omosessuali, che vanno all’estero a comprare ovuli o spermatozoi, ad affittare uteri (la parola affittare è brutta, ma è obbligata visto che questo avviene in seguito a uno scambio in denaro), a far partorire donne, a prendere loro i bambini a pochi secondi dal parto (ricorderei che la senatrice firmataria del ddl ha emesso un regolamento comunale che vieta di togliere i cuccioli di cane e gatto alla loro mamma prima dei sessanta giorni).

La legge in discussione al Senato non permetterebbe questa pratica in Italia, ma permetterebbe a chi l’ha fatta di dichiarare figlio suo un bambino tolto a un’altra donna, e a pagamento. Questo potrebbe anche avvenire se i due adulti “acquirenti” fossero dello stesso sesso, privando il bambino del suo innato diritto di rapportarsi sia con il proprio sesso che con l’altro, oltre che dell’affetto di padre e madre (abbiamo davvero bisogno di uno psicologo che ci spieghi perché sono necessari?).

Ma non solo per questo il popolo del 20 giugno 2015 e quello del 30 gennaio 2016 è contro questa legge. Il disegno complessivamente equiparerebbe le unioni civili al matrimonio in tutto tranne che nel nome (ma giusto per ragioni di realpolitik, si lasciò sfuggire Scalfarotto qualche mese fa).

LO STATO AIUTI LE FAMIGLIE

L’obiezione più comune che mi sento rivolgere, in toni non sempre garbatissimi, suona più o meno così: che cosa toglie a te il fatto che altri acquisiscano i tuoi stessi diritti? Innanzitutto, banalmente, le risorse dello Stato non sono infinite, come sappiamo bene noi famiglie, soprattutto noi famiglie numerose, che non abbiamo praticamente nessun tipo di aiuto. Anzi: come sa chi percepisce assegni familiari o ha figli all’asilo nido, le coppie conviventi sono altamente favorite rispetto a quelle sposate. Chiedete a un commercialista quante coppie si separano per finta per avere vantaggi fiscali (spero almeno che, nel caso la legge passi, i conviventi siano penalizzati come noi famiglie).

Inoltre, sempre per rispondere alla domanda «cosa mi toglie», dobbiamo ricordare che non esiste nessun Paese al mondo in cui siano riconosciute le unioni civili senza il diritto a essere genitori: se passasse la legge basterebbe fare ricorso a un tribunale ordinario (per non parlare della Corte europea) per vedersi riconosciuti tutti i diritti, anche quelli di genitori. Infine, senza entrare nelle questioni più tecniche come la pensione di reversibilità e l’eredità, a noi piacerebbe uno Stato che promuove la famiglia riconoscendone l’intrinseco valore per il bene comune, che incoraggia economicamente – e non solo – un uomo e una donna che si prendano un impegno stabile, e che si aprano alla vita.

Le famiglie hanno bisogno di qualcuno che dica loro «siamo con voi, non siete soli», ed è per questo che fanno una cosa folle come attraversare l’Italia andata e ritorno in un giorno solo, giusto per guardarsi negli occhi e sentirsi un popolo, il popolo che sostiene la vita, e che lo fa molto spesso da solo, senza aiuti, sostegni, riconoscimenti, se non quello di un’enorme rete di amicizia commovente di cui io sono testimone.

Bagnasco

Bagnasco «MANIFESTAZIONE NECESSARIA»

Un’iniziativa «condivisibile» e «dalle finalità necessarie». Così il cardinale Angelo Bagnasco ha definito il Family day, convocato da un Comitato di laici e alla cui organizzazione vescovi e diocesi non prendono parte né danno alcun sostegno ufficiale. Secondo il presidente dell’assemblea dei vescovi, «la famiglia non può essere uguagliata da nessun’altra istituzione o situazione» e «l’invocazione di sostegni reali» alla famiglia «dovrebbe essere voce unitaria di tutto il Paese».

Caserta

Il festival della vita

Dal 30 gennaio al 7 febbraio si tiene a Caserta il Festival della vita promosso dalla Società San Paolo con l’adesione delle diocesi di Aversa, Sessa Aurunca e Sulmona. Tra le iniziative in programma: il 1° febbraio lezione del professor Stefano Zamagni su: Amare la vita: l’importanza del consumo etico come valore sociale; domenica 7 febbraio diretta su Rete 4 della santa Messa presieduta da monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa e presidente del Comitato scientifico del Festival della vita.

Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/Costanza Miriano)

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