Averla dichiarata viva segna l’inizio della sua morte. Infatti, non tutto il male fa rumore, non tutto il male, si vede. I tumori sono così temibili perché non fanno rumore, sono tremendi finché non fanno male. Spesso però se si vede, si può vincere: penso ad esempio ad un tumore terribile, al melanoma. Il suo punto debole è che sia visibile. Si sa che la miglior cura dei tumori è la prevenzione. La prevenzione salva. Cioè vedere e dare un nome, salva.
Il cancro della ‘ndrangheta uccide la nostra vita perché non aveva neanche un nome che lo definiva. Era lì, potente, e oltretutto invisibile. Potente perché silenzioso.
Se non dai un nome alle cose, non le vedi e non le senti. E quando le vedi e le senti è tardi. Dobbiamo prendere le misure delle nostre vite. Dare nome a quello che abbiamo dentro e attorno a noi.
Penso al figlio che ci dice che beve e dice che era solo una festa e ha “mischiato” solamente. Se succede tutti i sabati sera non è una festa, è un alcolizzato. Duro dirselo ma è da sempre che si costruisce solo sul duro. Sulla roccia. Sulla sabbia, la sabbia che copre tutto e tutto ingoia, non si costruisce nulla. Penso ai coming out dei giovani colpiti da dipendenze. Spesso i genitori “sanno” ma non hanno un nome per dire e quindi per vivere, per condividere, per affrontare, per capire, per conoscersi, per amare.
Tutto ciò a cui non diamo un nome, verrà assorbito, si infiltrerà dentro di noi come un veleno. In guerra il nemico più temibile è quello invisibile. Se ne sta acquattato nella boscaglia. In battaglia l’arma più potente è la trappola. La buca con una bomba dentro coperta tra le foglie tradisce il marines più equipaggiato.
Se sappiamo chi siamo e cosa abbiamo nello zaino la nostra vita non sarà una passeggiata – nessuna vita è una passeggiata – ma sapremo che passo tenere, non vagabonderemo. Se so chi ho davanti, so come comportarmi.
Non è difficile, eppure siamo arrivati al 2016 per dire in Cassazione che la ‘ndrangheta esiste. Bene. Può morire solo ciò che esiste. Ora che è nata possiamo farla morire.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net