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Mons. Solmi: Sinodo apre prospettive fedeli a dottrina e pastorale

Mons. Solmi: Sinodo apre prospettive fedeli a dottrina e pastoraleSulle battute conclusive del Sinodo dei vescovi si sofferma, al microfono di Paolo Ondarza della Radio Vaticana, mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma e presidente della Commissione per la Vita e la Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana:

R. – E’ stato un lavoro fatto bene, organizzato molto bene, soprattutto come attuazione di quelle parole del Papa che chiedeva un ascolto umile ed un parlare schietto, con parresìa. Allora, è stata un’esperienza di Chiesa molto significativa, molto importante e credo che i pastori siano stati supportati, oltre che dalle famiglie presenti nell’Aula sinodale, dalla loro preghiera e abbiano tenuto debitamente conto della loro situazione.

D. – Sarà deluso chi attendeva delle risposte su tematiche particolari, che tanto spazio hanno avuto sui giornali e nell’opinione pubblica negli ultimi giorni?
R. – Il Sinodo non è un referendum: questa era stata un’idea estremamente chiara del Santo Padre; e non è un referendum su questioni che hanno un grande impatto mediatico. Il Sinodo ha voluto ribadire il ruolo della famiglia, centrale nella Chiesa ed anche nella società: su questi temi sono state offerte indicazioni importanti, sottolineate strade che si stanno percorrendo e aperte prospettive fedeli alla dottrina e alla pastorale, che poi sono un tutt’uno, alla carità e alla misericordia. Quindi, diciamo che il Sinodo si conclude anche su queste questioni – mi pare di dire – “in levare”.

D. – Faceva riferimento alla fedeltà al magistero, alla Chiesa: di fatto sono state ribadite anche la centralità dei vari pronunciamenti dalla “Gaudium et Spes” alla “Humanae Vitae”, dalla “Familiaris Consortio” alla “Deus caritas est”, fino alla “Lumen Fidei”: quindi, una continuità che va comunque in un senso di continua apertura e ascolto …
R. – Assolutamente: la Chiesa si trova in continuità con il suo magistero che, come dicono i Padri, è in crescita mantenendo la propria identità – come dice un Padre – come un bambino che cresce e matura la dottrina della Chiesa, anche sollecitata dai segni che lo Spirito Santo mette avanti e anche da problemi nuovi che nascono. Non dimentichiamo che abbiamo una ricca produzione magisteriale. A questa hanno partecipato tante volte le famiglie: quindi, ci troviamo in questo tutt’uno che è fatto, da un lato, dalla fedeltà al magistero, e allo stesso tempo e sullo stesso lato, mi sento di dire, anche dalla vitalità delle suggestioni e delle domande che vengono poste.

D. – E’ stata evidenziata l’importanza di un accompagnamento delle coppie, prima e dopo il matrimonio, per una vera educazione all’affettività. Questo essere vicini è stato sottolineato anche per quanto riguarda la cura pastorale che si deve per quelle persone in situazione di divorzio, separazione, o irregolarità: quindi, cammini di accompagnamento nelle singole situazioni, chinarsi sulle singole persone …
R. – Certamente. La parola “accompagnamento” è stata una delle parole centrali del Sinodo: un particolare sviluppo necessita il tempo del fidanzamento, fino alle situazioni difficili, le situazioni delle famiglie ferite. Questo indica una Chiesa che “cammina con”, una dinamica sinodale sempre presente. Ma a questo punto ci si pone anche delle domande: come accompagnare, chi deve accompagnare, quali possibilità ha concretamente una Chiesa locale per fare questo? Allora la parola “accompagnamento”, di per sé così calorosa e bella, diventa anche una sfida molto importante e rischia di essere, per noi pastori, per noi vescovi, un autentico autogol se non riusciamo a porre modalità concrete e dinamiche amabili attraverso le quali questo avvenga.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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