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Mine antipersona: un terzo delle vittime sono bambini

Le mine anti-uomo causano migliaia di morti e di feriti: ogni anno tre vittime su quattro sono civili e, secondo l’Unicef, i bambini rappresentano più di un terzo delle vittime civili a causa della loro innata curiosità che li induce a capire cosa hanno davanti, anche nel caso di un ordigno.  Dove c’è una mina c’è ancora guerra. I conflitti nascono e finiscono: una volta esauriti l’attenzione dell’opinione pubblica si sposta altrove, eppure, anche ad anni di distanza, la gente continua a morire a causa delle mine antiuomo.
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Quali sono i Paesi dove sono ancora presenti le mine antiuomo?
Stando a quanto riportato dal Landmine Monitor 2015, il rapporto annuale della International Campaign to ban landmines (ICBL), le mine antipersona sono state usate dai gruppi armati non statali in più paesi rispetto agli ultimi 9 anni.

I dati più recenti che si riferiscono al periodo compreso tra ottobre 2014 e ottobre 2015 mostrano che i gruppo armati non statali hanno usato mine antipersona, o ordigni esplosivi improvvisati (IED) in grado di funzionare come delle mine, in ben 10 Paesi: Afghanistan, Colombia, Libia, Myanmar, Pakistan, Siria e Yemen, così come in Iraq, Tunisia e Ucraina. L’uso da parte dei governi rimane basso, anche se sono stati confermati nuovi usi tra il 2014 ed il 2015 da parte delle forze governative in Myanmar, Korea del Nord e Siria.


Quante sono le vittime delle mine antiuomo?

La media registrata di vittime nel 2014 è stata di 10 persone al giorno, e come per i precedenti report la maggior parte degli incidenti riguarda i civili che rappresentano l’80% delle persone coinvolte. Di questi il 39% sono bambini ed il 12% è rappresentato da donne e ragazze.

Riguardo alla bonifica, a settembre 2015, il Mozambico ha dichiarato di aver terminato le operazioni di sminamento divenendo così il 28 paese libero dalle mine dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa che vieta la produzione e l’uso di mine antiuomo. Attualmente risultano ancora contaminati 57 paesi, di cui 33 Stati che hanno aderito al Trattato, e 4 altre aree (Kosovo, Nagorno-Karabakh, Somaliland e Sahara Occidentale).

Nel 2014 sono stati bonificati circa 200 chilometri quadrati di aree minate rispetto ai 185 kmq del 2013, distruggendo oltre 230mila mine antipersona.

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Che significato ha la giornata mondiale antimine?
Il 4 aprile nella Giornata mondiale per la promozione e l’assistenza all’azione contro le mine – indetta dall’Assemblea generale dell’Onu l’8 dicembre 2005 con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sul problema della presenza di mine e di altri ordigni inesplosi – viene presentato in anteprima il documentario sulla vita di Vito Alfieri Fontana che da fabbricante di morte è diventato cacciatore di mine.

L’iniziativa è promossa dalla Città metropolitana di Milano con IPSIA Acli, le Acli milanesi, Agesci Lombardia ed Emergency in collaborazione con Comune di Cernusco sul Naviglio, Comune di Magenta e Università degli studi di Milano Bicocca.

Nel docufilm è lo stesso Alfieri Fontana a raccontare di come ha cambiato vita, diventando sminatore: la sua azienda, l’italiana Tecnovar, poteva produrre un milione e mezzo di mine all’anno, tra quelle antiuomo e quelle anticarro: «Erano richieste per la loro persistenza, anche dopo 10 – 20 anni garantivano il corretto funzionamento».
Come racconta Famiglia Cristiana, nel 1993 poco prima che don Tonino Bello morisse, Alfieri Fontana ricevette da Pax Christi, di cui Tonino Bello era presidente, un invito a partecipare a un convegno sul commercio delle armi. Rimase un po’ sorpreso. A lui, produttore di quel tipo di “merce”, venne chiesto un confronto con quelli che ne chiedevano da sempre il bando. Quell’incontro segnò la sua svolta esistenziale: la fine della vita da fabbricante di armi e l’inizio del viaggio in Bosnia Erzegovina dove avrà la possibilità di affrontare i fantasmi del suo passato.

Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Ilaria Solaini)

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