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Mi chiamo Asserid e credo che quest’estate morirò. Mentre tu mangi i pomodori che io ho raccolto

Mi chiamo Asserid e credo che quest’estate morirò. Mentre tu mangi i pomodori che io ho raccoltoA Milano manca la luce perché troppa gente accende i condizionatori.
Poverino, pensa Asserid:”Tu cerchi di regolare il fresco, io cerco di asciugarmi gli occhi perché ci devo vedere per lavorare. E ho i crampi in tutto il corpo per la schiena piegata, per il braccio che raccoglie e raccoglie e asciuga e asciuga, pomodori e fronte, pomodori e viso, pomodori e mani”.
Pomodori, sempre pomodori. Anche da mangiare perché Giovanni, il caporale, promette ma non paga. E la carne da mangiare è finita, e l’acqua dentro il pozzo è inquinata. Il ministro della salute ha attivato il numero 1500 “estate sicura per vincere il caldo”. Se lo chiamo mi risponde? Agli schiavi che sono sbarcati a Lampedusa si risponde?
Dicono che siamo 22.000 o forse di più. Non lo so. Io non li ho contati quelli che erano con me stamattina. Era ancora troppo buio per vederci bene. Ero ancora troppo stanco per tenere gli occhi aperti, non lo so. Anche ora che è giorno e il sole picchia, non lo so quanti siamo. Ce ne sono tanti accanto a me. Lo stesso filare. Molti in mezzo ai campi. Quante schiene siamo? Non lo so. E poi il sudore dalla testa mi scende negli occhi e mi acceca. Ecco perché gli altri usano la maglietta per turbante: per non far colare il sudore.
Dicono che siamo un esercito. Non lo so, perché non abbiamo divise. Prima c’era il colore della pelle, ora ci sono anche i bianchi, i rumeni. Siamo tanti, sì un po’ come un esercito. Intruppati nei campi a fare gli stessi movimenti per mettere pomodori nei cassoni. Come un esercito. Dormiamo in tuguri tutti insieme. Come caserme. Ci sono i caporali. Come un esercito. A volte della nostra stessa razza. E hanno tolto anche la mia amica. L’hanno presa, non l’ho più vista.

Boh, non so, secondo me non è un esercito. Forse sembra ma non lo è. Nessuna patria comune, in comune solo la fame. Nessun ideale comune, solo sopravvivere e mantenere la famiglia. Nessuna arma a difenderci. Solo la dignità che rimane dopo dodici ore di lavoro sotto il sole a pochi euro. Non è un esercito, ma è vero che siamo tanti. Dicono che siamo invisibili ma non è vero. Siamo ciechi ma non siamo invisibili. Chi vuole, ci può vedere: basta guardare. Però devi abbassare il vetro chiuso della tua macchina fresca e vedere che io ci sono: non sono invisibile.
Tu sei chiuso in ufficio, in casa, ti lamenti del caldo, fai saltare la luce, ma io ci sono, mangi i miei pomodori. Non siamo invisibili. Siamo in Puglia, al sud. Ma non nel mare dove nuoti tu, un po’ più dentro: si chiama entroterra. Tu hai l’oro delle spiagge più belle d’ Italia, io ho l’oro dei pomodori più buoni. Siamo vicini ma non siamo invisibili: se vuoi mi vedi.
In Italia dicono che c’è un caldo record, africano, da morire, ma per me è un caldo normale. Non perché sono africano. Per il morire, intendo. Cioè che qui, lasciarci la pelle, è normale. Dicono che sarà un gran caldo. Ancora più caldo. Ma, cosa ti devo dire, a me non fa paura. Mi sa che non ci sarò.
Quando crepo, secondo te, diventerò una notizia per i vostri giornali? secondo me no. Gli spazi saranno per l’anticiclone africano. Che non sono io, però. Lui si chiama Flegetonte. Io mi chiamo Asserid. Anzi, mi chiamavo.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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