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Meriam è salva: arrivata a Roma

Meriam_TNMeriam Yahia Ibrahim Isha, la giovane madre cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia e poi liberata, è arrivata intorno alle 9.30 all’aeroporto romano di Ciampino a bordo di un volo della Presidenza del Consiglio. Con lei il marito Daniel Wani e i loro due figli, Martin, 2 anni, e Maya, 2 mesi.

Ad accoglierla il presidente del Consiglio Matteo Renzi con la moglie Agnese e il ministro degli Esteri Federica Mogherini. «Oggi è un giorno di festa» ha detto Renzi.

“Abbiamo seguito il caso sin da prima che fosse resa nota la condanna”, ha aggiunto il ministro, che ha ritardato la partenza per una missione di due giorni nei Balcani.
“Grazie al grande lavoro fatto da tanti, oggi possiamo accogliere Meriam a Roma. Ora lei ha bisogno di tranquillità con la sua famiglia”, ha concluso Mogherini.

A bordo del volo c’era il vice ministro degli Esteri, Lapo Pistelli, che ha seguito da vicino la vicenda della sudanese. «Stanno bene e sono felici di essere qui. Avranno qualche incontro importante nei prossimi giorni e poi ripartiamo per New York», ha reso noto. Alla domanda dei giornalisti se la donna incontrerà il Papa, Pistelli ha risposto: “Il Santo Padre è stato informato dal premier Renzi della cosa ed ha manifestato il suo sentimento di gratitudine verso il Paese”.

All’agenzia Ansa il direttore della Sala stampa vaticana ha precisato: «Il Papa è informato ma non c’è nessuna decisione su possibili incontri», ha detto padre Federico Lombardi.

Il caso di Meriam ha mobilitato l’opinione pubblica internazionale e ha visto in prima linea l’impegno di Avvenire e dei suoi lettori. La vicenda della 27enne sudanese, che nei mesi di prigionia ha partorito in catene la secondogenita Maya, era stata citata anche dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in occasione del suo discorso di inaugurazione del semestre europeo a Strasburgo. Parlando di Meriam e delle ragazze nigeriane sequestrate dagli islamisti di Boko-Haram, Renzi aveva sottolineato: “Se non c’è una reazione europea non possiamo sentirci degni di chiamarci Europa”.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire

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