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Mamma Natuzza. Quella ‘morte apparente’ nel giorno della cresima

Quel brivido alla schiena e sulla camicia una croce di sangue. Questi i primi segni del cammino della mistica riportati all’attenzione dei media nazionali.

Correva l’anno 1940 e la storia di Natuzza Evolo la ragazza adolescente di Paravati, contadina e analfabeta che parlava con i defunti e con gli angeli, conosciuta anche per la sua bontà verso gli altri, era già diventata di dominio pubblico anche per quanto era accaduto il 29 giugno festa di San Pietro e Paolo. Quel giorno, Natuzza ricevendo dal vescovo della diocesi di Mileto Paolo Albera il sacramento della cresima avvertì un brivido alla schiena e subito dopo si accorse che sulla sua camicia era apparsa una croce di sangue. Uno dei primi segni di quello che sarebbe stato il suo cammino. La notizia fece ben presto il giro di tutta la comunità fino ad arrivare anche fuori dai confini regionali tant’ è che nell’ex capitale normanna incominciarono ad arrivare gli inviati di numerosi giornali. Ma il fatto che fece più rumore e che stiamo per raccontarvi nei particolari accadde nel mese successivo, in un giorno apparentemente come tanti, in cui la Madonna disse a Natuzza che il 26 avrebbe fatto “la morte apparente”.

“Morte apparente”. La ragazza di Paravati in quel momento non comprese il significato dalla parola “apparente” e disse a chi le stava vicino e, in particolare alla signora Alba che aiutava nella faccende domestiche che sarebbe morta e che, finalmente, avrebbe raggiunto il suo Gesù. Stiamo parlando della moglie dell’avvocato Silvio Colloca una donna particolarmente religiosa che a Natuzza credeva molto anche perchè era stata la testimone diretta dei suoi primi fenomeni. La casa della famiglia Colloca, dove tutt’oggi vive il figlio Raffaele, conosciuto da tutti come “don Lele”, è sita a pochi passi dalla villa comunale. Da quella casa, dove Fortunata ha vissuto alcuni anni della sua adolescenza, si coglie tutta la bellezza di Mileto con le sue chiese a partire dalla cattedrale e i suoi palazzi che odorano di antico e di vissuto.

Sonno “dogmatico”. Nel giorno preannunciato la giovanissima Natuzza cadde in un sonno profondo. Confiderà poi testualmente alle persone a lei più vicine e ai suoi padri spirituali: “Chi piangeva di qua, chi piangeva di là. Io non piangevo, ero contenta. Fu così che mi addormentai. Era di sera, era tra lume e lustro, ma per me non era tra lume e lustro, perché mi trovai in un posto bellissimo, che era come una cupola, ma largo, largo, largo e rotondo come una piazza”. Quel sonno durò sette interminabili ore. Fortunata Evolo in quello spazio di tempo, che le persone del posto più anziane ancora ricordano come se fosse oggi, era attorniata da numerosi medici che stavano lì ad aspettare la sua morte. Fuori, richiamati dal clamore della vicenda, seguivano le varie fasi, tenuti a distanza, gli inviati di alcuni importanti quotidiani nazionali, tra cui quello del “Giornale d’Italia”.

Il ricordo di Nino Varone. Il padre di chi scrive, Nino Varone, insieme al suo amico Nando Crupi e ad altri giovani del luogo, quel giorno figuravano tra ì presenti. Dai loro ricordi, raccolti qualche anno prima della loro morte davanti alla stufa a legna di casa, emerge la grande attesa che si coglieva in quei momenti così particolari e la presenza devota e incuriosita di tanta gente proveniente anche da fuori regione tra cui alcuni giornalisti con fotografi al seguito giunti appositamente dalle redazioni romane. “C’era tutt’intorno – emerge dalle confidenze di Nino e Nando – un grande baraonda. Tutti volevano vedere e capire”. Racconterà poi al suo risveglio Natuzza che “si era trovata in Paradiso al cospetto di Gesù che le chiese di “portare a lui le anime, di amare e compatire, di amare e soffrire”.

Il sogno. Disse anche che “ c’era una luce meravigliosa che faceva mille colori, bellissima” e che “ Gesù predicava e e tutti gli altri rispondevano meno di me, che non sapevo cosa rispondere, ma pregavano tutti”. Riferì altresì che “c’era tanta gente , quattro, cinque file di centinaia di persone, piccoli e grandi sollevati da terra e a cerchio” e che erano presenti “tante anime di defunti con il viso per terra e in ginocchio che pregavano e altri in una grande luce”. La mistica di Paravati quando era in vita ha sempre ricordato questo momento così particolare del 26 luglio come il giorno della promessa, “il più bello della mia vita”. Un’esperienza che segnerà per sempre la sua esistenza e l’offerta della sua vita al servizio degli altri e in particolare degli ultimi e dei sofferenti. Una pagina, che è ormai storia, tra le più belle e straordinarie della vita e della missione di Mamma Natuzza che da quel giorno ha posto costantemente al centro della sua vita umile e silenziosa il Bene e la Carità.

di VINCENZO VARONE

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