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Le parole di Silvia Salemi: ‘La mia vita è un canto alla Divina Provvidenza!’

Siamo noi a fare la differenza: chi emerge è chi decide di guardare al positivo», dice la cantautrice che in questi giorni partecipa a “Ora o mai più”. E che confida: «Se sono nata, lo devo alla fede di mia madre»

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Avere fede significa non aver paura di cambiare le carte in tavola: imboccare quella via in salita che tutti evitano accuratamente, svoltare proprio là dove il terreno sembra più instabile, certi che la stella che ci guida non mente. E di carte in tavola, Silvia Salemi ne ha cambiate parecchie. Nata in Sicilia, in un contesto familiare poco abbiente, Salemi ha ribaltato la sua situazione affermandosi come cantante a soli 20 anni al Festival di Sanremo, sulle note di A casa di Luca. Poi, proprio quando era all’apice del successo, ha deciso di prendersi una pausa per fare la mamma. Si è fermata ben 10 anni, senza pentimenti: sentiva che la sua vocazione era allevare le due figlie insieme al marito. Con lui è legata da 16 anni: un record per il mondo dello spettacolo ma anche per i benpensanti che, negli anni Novanta, avevano storto il naso di fronte alla loro unione. Quando si sono conosciuti Sivia aveva 24 anni, il suo futuro sposo 40, ma loro hanno scommesso sull’amore, su Dio e sul sacramento del Matrimonio. Così ora Salemi si prepara alla prossima rivoluzione: a un passo dai 40 anni (li compie ad aprile), ora che le figlie sono cresciute, si ripropone sulla scena musicale con lo show Ora o mai più, in onda al sabato sera su Rai Uno.

Nella puntata finale del 2 marzo presenterà il nuovo inedito Era digitale che, coraggiosamente, non cavalca le mode commerciali ma si ispira nientemeno che al messaggio lanciato da papa Francesco alla Giornata della gioventù di Panama. Un’altra rivoluzione. Un altro ribaltamento delle logiche ordinarie.

Quale passaggio del discorso papale l’ha ispirata?

«Le parole del Santo Padre sono sempre ricche di verità sulle quali riflettere: ha una capacità straordinaria di sollevare domande che, per la loro attualità, non interpellano solo i cattolici ma anche chi non crede. Avevo in mente questa canzone già da un po’ di tempo: la melodia era pronta, ma non riuscivo a centrare bene il messaggio. Le parole di Francesco sono state come una luce che rischiara la notte: in particolare mi ha colpito molto quando ha parlato dell’era digitale, ricordando ai ragazzi che essere connessi non basta per amare e sentirsi amati. Ha ragione: dobbiamo tornare a vivere di incontri, di presenze, di rapporti caldi, sinceri, umani. Ho quindi voluto mettere la mia musica al servizio di questo messaggio, per farlo riverberare».

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Altri artisti hanno deciso di mettere la propria voce al servizio della fede ma optando per testi molto più espliciti: parlano espressamente di Dio, della Madonna… Quanto è un bene essere così diretti?

«Rispetto la musica sacra e il filone christian rock/pop, ma il mio approccio è un po’ diverso. Credo che la testimonianza in musica sia come quella in casa, con i figli: non sono le parole, ma l’esempio a fare la differenza. Si può essere testimoni di fede semplicemente portando avanti un’idea di famiglia, di matrimonio, di lavoro. Tra l’altro, in questo modo si può arrivare davvero a tutti, superando le possibili reticenze di chi non condivide la stessa fede».

Lei ripete spesso che fare la mamma era la sua vocazione: un concetto sul quale si è spesso confusi. Cos’è per lei la vocazione?

«Vocazione vuol dire vocare: chiamare. Fin da piccola sognavo di avere dei figli, anche perché la famiglia è sempre stata un punto di riferimento cruciale per la mia vita. I miei genitori sono insieme da 48 anni: sono cresciuta con la consapevolezza che il mondo poteva crollare, i governi cadere e le mode cambiare, ma i miei sarebbero stati sempre lì, insieme e al mio fianco. La maternità è quindi sempre stata un desiderio viscerale ma, forse anche per la mia giovane età, non l’ho mai vissuta come un diritto da rivendicare: il figlio è prima di tutto un dono. Volevo trovare l’uomo giusto. Quando ho incontrato mio marito ho capito che era lui la persona che il mio cuore aspettava: un uomo profondo, che credeva con ancora più fervore di me nei valori della vita, tant’è vero che a 40 anni non si era ancora sposato perché era consapevole dell’importanza del sacramento e aspettava la persona giusta. Ci siamo subito innamorati e, sinceramente, ci saremmo sposati anche dopo un solo mese. Abbiamo però deciso di fare le cose per bene: ci siamo conosciuti con calma e lui è addirittura sceso in Sicilia per chiedere la mia mano a papà».

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Promettersi amore eterno davanti a Dio aiuta vi ha aiutati a mantenere fede al giuramento?

«Sì, e le dirò di più: per me è davvero “finché morte non ci separi”. Non lo dico perché temo una punizione divina: non rompiamo la promessa per timore del castigo di Dio, ma perché ci affidiamo, lasciandoci portare per mano. Non siamo bigotti ma solo felici e abbiamo scelto di affidare la nostra unione alla Chiesa perché ci consideriamo figli. Quando canto, tengo il microfono con la mano della fede perché è un legame, quello sponsale, di cui sono molto orgogliosa».

Quando si è avvicinata alla fede?

«Nella fede ci sono letteralmente nata: se sono qui è perché mia madre ha scelto di non abortire. I medici le avevano consigliato di valutare questa opzione: mia sorella era malata di leucemia e, da lì a poco, sarebbe mancata. Se mia mamma ha portato avanti la gravidanza è solo perché si è affidata a Dio. Inoltre mi ha trasmesso il valore fortissimo della Provvidenza, in cui credo profondamente: la Provvidenza mi ha continuamente lanciato delle liane, alle quali potermi aggrappare, e la matassa dei problemi finiva sempre per sbrogliarsi…».

La sua non è stata un’infanzia facile: la morte della sorella l’ha resa a lungo afona. Quando il dolore non diventa l’ultima parola sulla propria vita?

«Quando hai fame. La mia infanzia è stata difficile e sono anche cresciuta in un contesto familiare poco abbiente: all’epoca la sanità non sosteneva le famiglie e, per curare mia sorella, i miei avevano contratto dei debiti. Avevo però fame di vita e questo mi ha dato il giusto slancio per desiderare di ribaltare la situazione. Questo è quello che auguro ai giovani: non di esser folli, come diceva Steve Jobs, ma di essere affamati di vita».

E se la sua fame di vita fosse figlia del suo tempo? L’attuale congiuntura economica e sociale può spegnere gli appetiti…

«Ognuno è figlio del proprio tempo ma le difficoltà per i giovani sono le medesime. All’epoca non era facile sradicare lo status quo, i vecchi non lasciavano posto ai giovani e, come se non bastasse, musicalmente ho dovuto affrontare il passaggio dall’analogico al digitale… In ogni cosa c’è del buono e c’è del marcio. Blaise Pascal (matematico e filosofo francese, ndr), seguendo sant’Agostino, diceva: “C’è abbastanza luce per chi vuol vedere e abbastanza buio per chi non vuole vedere”. Siamo noi a fare la differenza: chi emerge è chi decide di guardare al positivo e provare a dire la sua. La Provvidenza, poi, ci guarda le spalle».

di Francesca D’Angelo per Credere

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