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Papa Francesco con i suoi gesti di immensa carità fa magistero!

Parole, parole, parole… soltanto parole? Grazie a Dio no, almeno non nella Chiesa cattolica. L’amore di Dio non ce lo rivelano solo le parole di Gesù, ma anche le sue azioni: pranzare con i peccatori, lavare i piedi, lasciarsi toccare. Come proprio motto, papa Francesco ha scelto non una parola, ma un gesto di Gesù: «Fissatolo, lo amò». Mimmo Muolo, giornalista di Avvenire, ha deciso di andare a fondo della questione con il suo ultimo libro L’enciclica dei gesti di papa Francesco (Paoline).

Il magistero di un Papa non si esprime soprattutto con le parole?
«Faccio il vaticanista dal 1991 e in 26 anni mi avevano insegnato a pensare che il magistero di un Papa vive soprattutto di documenti, cioè di parole. Il gesto era accessorio, si iscriveva nella simpatia personale. Oggi però, con Francesco, il gesto ha un peso diverso. Con i suoi gesti, fa magistero, scrive un’enciclica pratica, per usare un’intuizione di suor Maria Antonia Chinello, che nel libro ho voluto approfondire».
Già Paolo VI intuì che servivano più testimoni che maestri…
«Credo che papa Francesco abbia portato a compimento un particolare percorso, che ha coinvolto Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e papa Albino Luciani. Fino a Giovanni Paolo II, che in ventisei anni di pontificato ci ha abituato ai gesti. E che, nei suoi ultimi giorni, batteva il pugno sul leggio se faticava a parlare. Qual è la differenza rispetto a Francesco? Lo ha osservato padre Antonio Spadaro: se in Giovanni Paolo II dalla parola fioriva il gesto, in Francesco abbiamo la dinamica contraria. Dal gesto nascono le parole».
Francesco è un Papa “social”?
«Sì, è il primo vero Papa dell’era social. Quando si trova con le grandi masse, cerca sempre l’incontro personale… raramente “guarda” tutta la folla, il movimento della sua testa è verso il singolo che individua e saluta. È un Papa “a tu per tu”».
Anche con i giornalisti sui voli papali Francesco usa il “tu”?
«Sì, lo fa con tutti i giornalisti che incontra. E quando risponde alle domande, lo fa guardandoti. Quando gli ho fatto la domanda sull’autenticità delle apparizioni di Medjugorje, mi ha dato una risposta di oltre 10-15 minuti, guardandomi per tutto il tempo. Non parla genericamente: dialoga con te».
In questo è diverso rispetto agli altri Papi?
«Nei primi viaggi Giovanni Paolo II passava posto per posto. Gli facevi la domanda, dava la risposta, e poi noi giornalisti le condividevamo. Con l’avanzare degli anni, si decise che i giornalisti avrebbero fatto le domande dal posto, un po’ come ora. Benedetto XVI si faceva mandare le domande, che venivano raggruppate in quattro-cinque quesiti. Padre Lombardi li leggeva e Benedetto gli rispondeva. Francesco ha fuso queste prassi. Nel volo di andata passa poltrona per poltrona a salutare i vari giornalisti: si scambiano doni, firme e parole amichevoli. Sul volo di ritorno, c’è un’intervista collettiva con “domande senza rete”».






«Dobbiamo essere normali», ha detto durante un volo. Desacralizzazione del papato o sacralizzazione del quotidiano?
«La seconda ipotesi, anche se parlerei di “valorizzazione” del quotidiano. Francesco pare vivere in un edificio a vetri, non perché le giornate degli altri Papi fossero diverse, ma perché ha abbattuto quei filtri che ci facevano immaginare chissà cosa. L’esplosione dei mass media ha portato nella società altri tipi di esigenze, e lui lo ha capito. Così ci fa rivalutare il quotidiano: alla fine, è lì che si diventa santi».
A proposito di gesti quotidiani, c’è il suo rapporto con i poveri, che raccomanda di «toccare».
«Il suo è un rapporto preferenziale con tutti i poveri, non solo materiali, ma anche in senso spirituale. Francesco però non lo fa in chiave sociologica… non è un Che Guevara della Chiesa cattolica! No, lo fa perché teologicamente i poveri sono la carne di Cristo. Ce lo ha ricordato fin dai primi giorni del suo pontificato. Ecco perché dico che i suoi gesti tracciano un’enciclica. Pensiamo alle lavande dei piedi il Giovedì Santo, quando esce da San Pietro e si spoglia di se stesso. In ogni ultimo che tocca, Francesco mette in atto la pagina del Vangelo sul giudizio universale: “Signore, quando ti abbiamo visto povero, nudo, affamato, in carcere?”».
Quale, tra i suoi gesti, l’ha toccata di più?
«23 aprile 2016, Giubileo dei ragazzi: i sacerdoti stanno confessando i giovani in Piazza San Pietro e a sorpresa si presenta anche il Papa, con una stola viola ordinaria, e si siede su un’ordinaria sedia di plastica. Espressione della misericordia. Alla stregua di tutti gli altri. Ci sono due sorrisi, quello del Papa e quello del ragazzo: la gioia del Vangelo e del perdono ritrovato. Chi ha sorriso all’altro per primo? Chissà! È come vedere Coppi e Bartali che si passano la borraccia. Ed è un gesto inserito nell’indizione di un Giubileo straordinario della misericordia che, di simili gesti, ne ha contenuti infiniti altri».
IL LIBRO. 4 TIPI DI GESTI
Nel volume L’ enciclica dei gesti di papa Francesco (Paoline, 20 euro) Muolo divide i gesti di Francesco in quattro categorie:
– della quotidianità, che ci fanno capire che il Papa è uno di noi;
– della carità e misericordia, per esempio le visite in luoghi di sofferenza;
– i gesti pastorali classici come l’apertura dell’Anno della misericordia;
– della comunicazione: le numerose interviste, il linguaggio creativo, i selfie con i giovani, l’uso dei social.




Fonte credere.it/Paolo Pegoraro

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