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L’America è in piazza per contestare Trump. Moltissimi i giovani

Non sono bastati gli appelli all’unità del presidente Barack Obama e nemmeno le parole di Hillary Clinton: «Dobbiamo accettare questo risultato…Donald Trump sarà il nostro presidente. Gli dobbiamo una mentalità aperta ad una chance».

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L’America, quella che non accetta la vittoria di Trump, è scesa in piazza per contestare la vittoria del tycoon, e non sempre si è trattato di una protesta pacifica. Tra le migliaia di manifestanti che per ore hanno «assediato» la Trump Tower sulla Fifth Avenue di Manhattan alcuni hanno anche bruciato maschere ed effigi che rappresentavano il volto del nuovo presidente degli Stati Uniti, presente con la famiglia nei suoi appartamenti agli ultimi piani del famoso grattacielo. Tutta l’area dove si trova la residenza del nuovo presidente, uno dei cuori pulsanti dello shopping e del turismo a Manhattan, è blindatisssima. I voli sopra la zona sono stati vietati. L’isolato della Trump Tower è circondato da camion `anti-bomba´ pieni di sabbia e da decine di agenti alcuni in tenuta antisommossa. Questi ultimi presidiano anche l’ingresso della residenza della famiglia Trump. Tra gli slogan cantati dalla folla di manifestanti `Not my President´ e «Hey Hey Ho Ho Donald Trump has to go». 

In alcune città come Portland e Oakland sono state anche appiccate le fiamme a copertoni e cassonetti in strada con l’intervento della polizia. E proprio a Manhattan, nonostante la pioggia, in migliaia si sono radunati a Union Square e hannno poi sfilato verso Midtown fino alla blindatissima Trump Tower. Una trentina di persone sono state arrestate. 

Ma, in linea di massima, si è trattato di manifestazioni pacifiche. Nelle città più grandi come New York, Chicago, San Francisco e Los Angeles ai cortei hanno partecipato alcune migliaia di persone. Contro «il razzismo, la misoginia, le xenofobia, l’islamofobia…», recitavano cartelli sventolati dai manifestanti. «Sono molto preoccupata per quello che succederà nei prossimi quattro anni», ha dichiarato una donna fasciata in una bandiera messicana, davanti alla Trump Tower di Chicago. «Non posso credere di essere qui a manifestare per i diritti civili», ha osservato una studentessa di colore a Berkeley, in California. «Lui è stato eletto ma la lotta non è finita – ha spiegato – i miei antenati non hanno mai smesso di lottare e io non mi fermerò». Simili slogan s Seattle, Okland, Filadelfia e Washington Dc: «Non siamo l’America di Trump» o «no es mi presidente», con un chiaro riferimento alle preannunciate politiche anti-immigrati. 

U.S. Republican presidential candidate businessman Donald Trump speaks at a veteran's rally in Des Moines, Iowa January 28, 2016. REUTERS/Rick Wilking  - RTX24HM9



Centinaia di manifestanti si sono riuniti vicino a City Hall di Filadelfia, nonostante freddo e pioggia. A Boston migliaia di manifestanti anti-Trump hanno sfilato in centro cantando «Trump un razzista» e portando cartelli con le scritte «Impeach Trump» e «Abolire Collegio Elettorale». I manifestanti si sono riuniti a Boston Common prima di marciare verso il Massachusetts State House. I manifestanti hanno bloccato le strade del centro e viaggiato a ovest sulla University Avenue dove gridavano improperi in merito a Trump in inglese e spagnolo. Marce di protesta anche nel Midwest a Omaha, Nebraska, e Kansas City, Missouri. 

A Des Moines, Iowa, centinaia di studenti sono usciti di zona scuole superiori alle 10:30 per protestare contro la vittoria di Trump. Davanti alla Casa Bianca, a Washington, molti hanno acceso candele e cantato canzoni pacifiste. In Oregon decine di persone hanno bloccato il traffico nel centro di Portland, bruciato bandiere americane e bloccato i treni su due linee di metropolitana leggera. A San Francisco, in centinaia hanno marciato lungo Market Avenue, uno dei viali principali della città, di partecipare a una veglia nel distretto di Castro, un quartiere prevalentemente gay. A Los Angeles, i manifestanti sui gradini del Municipio hanno bruciato un gigante di cartapesta con le forme di Trump. 




Redazione Papaboys (Fonte www.lastampa.it/Stefano Pezzini)

 

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