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La violenza dell’Isis non è così estranea alla nostra storia italiana

La violenza dell'Isis non è così estranea alla nostra storia italianaIn personalità instabili, aggressive, la motivazione “eroica” fa emergere – “slatentizza” si dice tecnicamente – quello che già c’era: inclinazioni aggressive tenute a bada da normali freni inibitori. Che però saltano con l’innesco ideologico-sociale adatto: e quello dell’Isis ha queste caratteristiche.

È noto che tra le fila degli “arditi” della prima guerra mondiale – sto parlando di noi, di noi italiani, dei soldati che durante la grande guerra uccidevano nel corpo al corpo coi pugnali e con le bombe a mano – non pochi provenivano dalle patrie galere, gente con reati di guerra che si pulivano così la fedina penale (Cfr Milan Matteo, “L’essenza del fascismo”: la parabola dello squadrismo tra terrorismo e normalizzazione (1919-1932, Università di Padova, tesi di dottorato). E che dire di corpi speciali come la legione straniera che, un tempo, reclutava tutti, anche gente impresentabile?

Il kamikaze che ad Ansbach si è fatto esplodere aveva tentato due volte il suicidio ed era stato ricoverato in ospedale psichiatrico. Ali Sonboly, il killer di Monaco, era stato in una struttura sanitaria per problemi di sociopatia e difficoltà relazionali: era ossessionato dalla figura di Anders Breivik, l’attentatore di Utoya, al punto che il giorno dell’attentato era esattamente il quinto anno dell’anniversario della strage norvegese. In Mohamed Lahouaiej Bouhlel, l’assassino di Nizza, soggetto depresso e instabile, la crociata jihadista aveva scatenato la follia che lo aveva spinto alla corsa del terrore.

I tre che ho nominato sono i protagonisti degli attentati degli ultimi giorni e delle ultime ore e forse sono più vicini alla nostra storia di quanto siamo soliti pensare. Hanno l’ideologia del “condottiero”, quella personalità disturbata in cui l’avversario è sempre un nemico da annientare e distruggere. Per costoro il conflitto è l’innesco di fantasie violente dove immaginano di condurre un’esistenza romantica da guerrieri. Fantasie dove però i morti – purtroppo – non sono “di fantasia” ma realissimi. L’ideologia di Breivik era più vicina all’Isis o alla violenza intesa come valore e mezzo fine a se stesso?

È noto che il fascismo si nutrì dello squadrismo e questi di quegli “arditi”, reduci della prima guerra mondiale, che avevano visto scomparire i teatri delle loro gesta eroiche.

Se guardiamo non al contenuto ideologico-religioso dell’Isis ma alla violenza “eroica” che lo caratterizza, scopriremo che la nostra storia ha visto fenomeni e momenti vicini a quanto ci sembra così assurdo e distante.

Di Don Mauro Leonardi


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