Pubblicità
HomeNewsItaliae et EcclesiaLa lettera di Luciana Ciancimino e la domanda su perché la chiesa...

La lettera di Luciana Ciancimino e la domanda su perché la chiesa non scomunica la mafia

La lettera di Luciana Ciancimino e la domanda su perché la chiesa non scomunica la mafiaC’è un film del 1982, che si chiama La scelta di Sophie. Non ricordo molto, ricordo solo la scelta. Scesa da un treno di quelli per i campi di concentramento, l’ebrea Sophie è obbligata a scegliere uno solo dei due fiigli che ha con sé: uno con lei, l’altro ai forni.

Per tutti ci sono momenti così. Non così tragici ed estremi, ma per tutti, sempre, scegliere è anche scartare. È sempre un sì che è anche un no.

Domenica 23 novembre a Palermo il cardinale ha scelto di non amministrare il sacramento della cresima al giovane figlio del boss Graviano, che l’avrebbe ricevuta poi in altro momento e in altro luogo. C’è un sì e c’è un no. C’è il sì “all’opportunità” come ha spiegato Carmelo Cutitta, vescovo ausiliare di Palermo: “Non è sembrato opportuno celebrare la cresima proprio nella stessa chiesa in cui è sepolto padre Puglisi”. C’è il sì alla volontà della chiesa di compiere gesti che allontanino ogni sospetto di collusione con la mafia. Dopo che il 21 giugno scorso, quando dalla piana di Sibari, il Papa aveva “scomunicato” la mafia, di gesti simili la chiesa ne ha compiuti altri.

Posso ricordare per esempio la proposta del vescovo di Reggio Calabria Morosini di abolire i padrini delle cresime. Posso aggiungere la vicenda delle “Madonne” che in processione dovevano smettere di “fare l’inchino” ai boss mafiosi.

C’è però un no grosso: ed è che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Lo ha ricordato, proprio lo stesso giorno, Luciana, la figlia di Vito Ciancimino: la figlia di un altro boss. Altra storia. Racconta la sua vita e si capisce che “una figlia di”, parte male. È doveroso leggerla perché la vita di quelli nati dalla parte sbagliata, è sempre molto interessante. Apre un po’ anche i nostri occhi su come si vive all’ombra dei nostri “sì” prudenti. Provo, e mi accorgo come il cognome attiva i miei respingenti morali e culturali. Scrive Luciana Ciancimino che non è stata negata, a quel ragazzo, la cresima ma la “normalità”.

La normalità è una cosa strana, si fa presto a svilirla con l’abitudinarietà, con la vita piatta, con la vita scialba. La normalità è la prima di quelle cose che ti accorgi quanto era preziosa quando l’hai persa. La normalità è l’humus da cui nasce una vita civile, umana. In più, per un adolescente, la normalità è l’assoluta necessità di stare nel gruppo, come il gruppo, insieme al gruppo, perché è nel gruppo che sente la sua unicità. Allora io mi chiedo, e non è la prima volta, non sarebbe meglio che a fare da spartiacque tra bene e male, la chiesa non decidesse che invece di “gesti”, si tramutasse in provvedimento canonico quella scomunica alla mafia gridata dal Papa in una predica, ma che è rimasta solo un’omelia? Così le colpe dei padri verrebbero espiate dai padri, e non dai figli. La chiesa, che scomunica chi abortisce, perché non scomunica chi organizza delitti efferati? Sto parlando del versante ecclesiale della questione, non di quello civile. Non sarebbe difficile. Basti pensare che fino al precedente codice di diritto canonico, i massoni erano scomunicati. Si potrebbe decidere allo stesso modo. Sono scomuniche latae sententiae che vuol dire che per comminarle non c’è bisogno di un tribunale: chi commette un certo fatto, ipso facto – cioè per quel fatto – viene scomunicato. Chi compie certi riti in una loggia diventa massone, e, quando c’era la scomunica per loro, chi li faceva era scomunicato.

Non so quanto fosse importante per un massone, ma posso assicurare che per un mafioso lo è. Vi ricordate Il Padrino con Al Pacino e Marlon Brando? La mafia strumentalizza sistematicamente la religione: e così, se sei “religioso” ma scomunicato, le cose tra te e Dio cambiano. Sarebbe semplice scomunicare i mafiosi perché non si tratta di una generica appartenenza ma dell’affiliazione in senso stretto. Non sono il fiancheggiamento, la simpatia, il parlarne bene o male, la condivisione ideale: no. Sono riti per cui prima sei fuori, poi sei dentro. Così come avviene per la massoneria. Il 21 giugno il Papa nella diocesi di Galantino disse: “La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato. Bisogna dirgli di no!”. Chiedendo la scomunica dei mafiosi sto parlando di questo. Ripeto che questa “adorazione del male”, nel caso della mafia e della ‘ndrangheta, non è un filo sottile e invisibile. È un confine che, sì attraversa il cuore, ma perché prima c’è stata la punciuta, cioè la puntura dell’indice della mano che l’iniziato userà quando sparerà. Esce del sangue e quel sangue imbratterà un’immaginetta sacra e, dinnanzi al resto della “famiglia” verrà pronunciato un giuramento solenne. Non c’è nulla d’ambiguo. È chiaro come il sole e come la tenebra. È un sì, che dice un no alla vita, all’onestà, a Dio. Perché non riusciamo ad ascoltare quello che ha detto Papa Francesco e a farlo diventare un fatto canonico?

Di Don Mauro Leonardi
l’originale di questo articolo è pubblicato sull’Huffington Post

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome