Pubblicità
HomeNewsCorpus et SalusLa domanda vera: 'Chi sono io per causare la morte?'

La domanda vera: ‘Chi sono io per causare la morte?’

imagepBELGIO, CATTOLICI DIVISI – Catherine Dopchie, oncologa, è responsabile di una unità ospedaliera di cure palliative in Belgio. Anche lei è cattolica come la collega Corinne Van Oost, autrice del libro ”Medico e cattolico, pratico l’eutanasia”. Ecco la sua posizione: ”La tentazione eutanasica esiste. A volte è intensa, violenta, oppressiva. Ma il rischio che prendiamo nel soccombervi è mortale. Non si può impunemente prendere il ruolo del creatore”.

Il fronte pro-eutanasia in Belgio si apre anche ai cattolici. Fa discutere un libro scritto da Corinne Van Oost dal titolo: “Medico e cattolico, pratico l’eutanasia”. Un libro confessione in cui la dottoressa belga – una vita passata ad alleviare il dolore dei malati terminali – spiega le ragioni che l’hanno portata a praticare l’eutanasia attiva che dal 2002 il Belgio consente. Un libro in cui il medico illustra la storia di persone in fin di vita, a partire da Albertine, la paziente affetta da sclerosi a placche, “la prima che mi ha obbligato a confrontarmi con i miei principi”. “L’eutanasia – scrive Van Oost – è sempre un fallimento e nessun medico può praticarla facilmente. Ma quando si è tentato di tutto, senza essere capaci di sollevare il dolore, che cosa si deve fare? Abbandonare l’altro al suo dolore? Non è nelle mie convinzioni di cristiana”. E ancora: “Avevo fatto tutto per alleviare le loro sofferenze ma non era chiaramente sufficiente. Chi ero io per negare loro la morte?”. Catherine Dopchie è oncologa, responsabile di una unità ospedaliera di cure palliative in Belgio. Anche lei è cattolica. E con lei analizziamo la posizione a favore dell’eutanasia assunta dalla collega Van Oost.
Si è mai fatta anche lei questa domanda: “Chi sono io per negare loro la morte”?
“Con il dottor Van Oost abbiamo iniziato a lavorare nelle cure palliative, nello stesso periodo. Abbiamo imparato insieme e con i nostri team interdisciplinari ad alleviare il dolore fisico e siamo diventate esperte. Ma la sofferenza per la mancanza di controllo sul dolore che viene indicato qui come fonte di richiesta di eutanasia, raggiunge anche la persona del medico. Ma noi non possiamo salvare l’altro nella sua globalità. Arriva un giorno in cui il sofferente, così come colui che lo aiuta, deve affrontare la sua solitudine. E a quel punto è nelle profondità del suo spirito che dovrà cercare il modo con cui attraversare quel dolore, che è unico come lui è unico. Mi confronto quotidianamente con i miei limiti e con la sofferenza umana e sono animata dal desiderio di essere professionalmente e umanamente vicina a colui che soffre. E anch’io ho dovuto combattere contro la tentazione dell’onnipotenza”.
E che risposta vi siete data?
“Mi ricordo di una donna. Malata di un cancro al seno avanzato, mi chiedeva ad ogni nostro incontro di provocarle la morte, benché ne avevamo già parlato molto e il mio rifiuto era chiaro tra noi. Ho sofferto intimamente attraverso la sua sofferenza, mi sentivo al tempo stesso impotente e unita a lei. Ho sofferto anch’io molto. La mia risposta a quel dolore è stata quella di continuare a vederla regolarmente e fedelmente fino alla sua morte naturale. L’ho ascoltata fino in fondo e rispettosamente dal momento che non c’era in me alcuna apertura all’eutanasia. L’ho aiutata? Lei mi ha detto di sì e io le credo. Abbastanza però? Nell’umiltà dei miei limiti, direi oggi sì, ma anche no, perché c’è sempre un margine per migliorare. E comunque certamente non abbastanza se la misura richiesta è la rimozione della sofferenza attraverso un atto mortale proveniente dall’esterno. Ma chi ero io per causare la sua morte? Chi ero io per misurare la conseguenza di questo atto sulla sua famiglia, sulla mia famiglia, su coloro che soffrono e sono fragili, sull’umanità?”.
Ha mai avuto la tentazione di aiutare qualcuno a morire?
“Per evitare confusioni, direi piuttosto, causare la morte di qualcuno. La tentazione eutanasica esiste. A volte è intensa, violenta, oppressiva. Ma il rischio che prendiamo nel soccombervi è mortale. Non si può impunemente prendere il ruolo del creatore che soddisfa tutte le esigenze della creatura senza che ciò non porti ad una perdita di umanità”.
L’autrice ritiene che la sedazione non è ciò che la gente vuole, perché non dà garanzie che il paziente non soffre e non fa incubi. Cosa succede al momento della morte?
“Il morire è un periodo molto attivo nella vita dell’essere umano. Durante il nostro viaggio terreno, ogni vittoria conseguita in noi dalla vita sulla morte, porta ad una ristrutturazione che viviamo come una resurrezione del nostro essere più intimo. Il tempo doloroso della morte permette a volte una unificazione delle dimensioni fisiche, psicologiche e spirituali che può significare per la persona una vera guarigione interiore. Impariamo cioè ad essere coerenti con ciò che siamo chiamati ad essere, per il quale siamo nati. Il ruolo del sogno, che sia dolce o no, non è stato trattato all’unanimità tra gli scienziati, ma non necessariamente svolge un ruolo nefasto. La perizia medica è ancora carente su questo e molti altri punti dell’accompagnamento psico-spirituale”.
C’è differenza tra un medico laico e cattolico nel suo rapporto con la morte e l’eutanasia?
“La morte è nemica dell’uomo. E’ normale che spaventa. Noi siamo fatti per la vita. Ma colui che ha la fortuna di aver ricevuto la fede e di viverla, vale a dire chi ha personalmente incontrato Dio nella sua vita, sa che la morte non ha la vittoria. Sa che né lui né il paziente è mai solo. Sa che non si abbandona e non abbandona l’altro al vuoto, al nulla, anche se è impotente nella situazione. Sa che il male può essere trasformato in un bene più grande e che ogni uomo è prezioso per Dio e che tutta la vita è sacra. Sa anche che se fa qualcosa contro la vita, egli è consapevole che questo è un atto grave. Che non esiste vero amore senza verità e che un atto cattivo non diventa mai buono, anche se motivato da buone intenzioni”. Maria Chiara Biagioni per Agensir

1 COMMENTO

  1. Se noi che abbiamo avuto la “fortuna” e la gioia di avere incontrato il Cristo di Dio, soccombiamo al potere delle tenebre nella malattia, vana è la nostra fede: “…e diede loro forza e potere su tutti i demoni e di guarire le malattie…” (LC 9,1-6).

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome