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La Chiesa al fianco dei più poveri – La verità su padre Viroche: battaglia di giustizia

Il messaggio è arrivato via Whatsapp. Quasi tutti gli abitanti di La Florida e Delfín Gallo l’hanno ricevuto. In primo piano, compare il volto di Luis Córdoba, immortalato con il microfono in mano. Sta ricordando padre Juan Viroche durante la marcia organizzata a Tucumán, il 5 dicembre, a due mesi dalla misteriosa morte del sacerdote. Un suicidio, continuano a ripetere le autorità. Un barbaro assassinio rispondono, con la medesima forza, parrocchiani, amici e conoscenti. Come il sacerdote riojano David Scalzo.

La verità su padre Viroche: battaglia di giustizia

«Abbiamo studiato insieme, gli ho parlato poco prima della scomparsa e mi aveva detto di essere stanco di vedere giovani cadere nella trappola della droga. Era determinato a non stare a guardare in un angolo. Per questo l’hanno ammazzato», afferma padre Scalzo. «Padre Viroche è stato impiccato nella sua chiesa da quanti volevano tappargli la bocca e impedirgli di continuare a denunciare il giro di droga e tratta diffuso nella comuna (frazione)», stava dicendo Luis Córdoba quando anonimi l’hanno ritratto. Sulla foto, inviata a pioggia, le stesse persone hanno aggiunto un messaggio minatorio. «Questo è l’autore del profilo ‘Rauul Toscano’ che ha accusato il padre Juan di aspettare un figlio. Padre Juan non può difendersi, fallo tu!». I n pratica, spiega ad Avvenire Ernesto Bruna, amico storico di padre Viroche, «vogliono far credere che sia stato Luis Córdoba l’artefice della campagna diffamatoria precedente all’omicidio.

Questo Rauul Toscano aveva riempito le reti sociali di accuse contro Juan. Diceva che era un donnaiolo, che attendeva un figlio dalla fidanzata, ecc… L’obiettivo era minarne la credibilità. Perché le sue accuse stavano colpendo nel segno. Ora vogliono scaricare la colpa su Luis in modo che la gente lo isoli e gli dia contro. Una ‘punizione’ per il suo impegno nel chiedere verità e giustizia per padre Viroche». «Cercano di intimidirmi. Sappiamo tutti che non sono stato certo io a diffamare padre Juan. Lo stimavo. E, nel mio programma su Radio Delfín Gallo, cercavo di dar voce al suo lavoro contro i narcos», spiega ad Avvenire, Luis Córdoba e si dice determinato ad andare avanti.

Per proteggerlo, Bruna ha già presentato formale denuncia alle autorità federali. Queste ultime, infatti, si incaricano dei delitti informatici. «Il che, fortunatamente, ci consente di bypassare la giustizia locale. Sospettiamo che essa sia collusa con i ‘poteri forti’ di Tucumán. Gli stessi che Juan aveva infastidito. E dire che sono stato io a organizzargli la fatidica riunione alla Commissione per i diritti umani».

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Lo scorso 2 giugno, Viroche si era presentato di fronte all’organismo per rivelare una scomoda verità. Ovvero l’emergenza narcotraffico che dilaniava – e tuttora dilania – La Florida e il resto dell’Argentina. Il Paese non è più solo luogo di passaggio della droga dal Sud al Nord America.

I narcos si infiltrano nelle periferie urbane, dove è più facile ‘mimetizzare’ i laboratori di produzione della cocaina e delle pasticche. Invece di buttare gli scarti della lavorazione – il cosiddetto ‘paco’ – , i trafficanti li vendono per pochi spiccioli all’interno dei quartieri emarginati. In modo da assicurarsi un esercito di ‘schiavi’ a buon mercato. Il fenomeno è in atto da tempo. La Chiesa argentina – in particolare i preti impegnati nelle baraccopoli, i ‘curas villeros’ – lo denunciano fin dal 2009, nell’indifferenza delle autorità. Solo il 12 dicembre, il governo del presidente Mauricio Macri s’è deciso a proclamare la droga come ‘emergenza nazionale’. Peccato che l’allarme non sia stato accompagnato da congrui mezzi finanziari per affrontarlo. «L’emergenza durerà fino alla fine del 2018. Per riuscire a risolverla in due anni, si deve lavorare moltissimo e disporre di volontà politica e risorse economiche. Il decreto non parla, però, di risorse», ha commentato su Tierras de América, padre Carlos ‘Charly’ Olivero, uno dei più conosciuti ‘curas villeros’, la cui storia è ricostruita nel libro ‘Preti dalla fine del mondo’ (Emi). E ha aggiunto: «Finora l’unica cosa fatta è stato un evento pubblico e la firma di un decreto. È invece il momento di mettere in azione le parole».

Nell’inerzia ufficiale, invece, o, peggio, nella connivenza, il cancro del narcotraffico dilaga. Uccidendo intere zone del Paese. Come La Florida. In cui al fiorente business di stupefacenti, si aggiungeva la tratta delle prostitute bambine. Piccole di 8 anni, drogate e offerte ai camionisti di passaggio in cambio di denaro. Non tanto: il guadagno era dato dall’ampiezza dell’offerta. Dopo l’incontro, Juan si era fermato a parlare con i giornalisti. E là, di fronte alle telecamere, aveva tirato in ballo gli ‘arbitri politici’ della ‘comuna’: l’attuale amministratrice della circoscrizione, Inés Gramajo, e il marito e predecessore Arturo ‘Chicho’ Soria. Da quel momento, si era scatenata la feroce offensiva contro il sacerdote. Mediatica in primo luogo. Poi erano arrivate le minacce. Tanto da indurre padre Juan a confidarsi con il proprio vescovo, monsignor Alfredo Zecca. Quest’ultimo aveva deciso di trasferire il parroco, per motivi di sicurezza. Non ha fatto in tempo. Dopo la morte di Viroche, ora, la campagna d’accuse è ripresa con violenza. Con tanto di testimonianze di presunte amanti. «Se Juan avesse avuto una relazione, i primi a saperlo sarebbero stati gli abitanti di La Florida. Per esempio, la dirimpettaia che, tra l’altro, faceva anche le pulizie in parrocchia – conclude Bruna –. E, invece, tutti sono pronti a giurare che il sacerdote non aveva alcuna doppia vita».

Tra le persone pronte a scommettere sull’integrità di padre Juan ci sono quanti avevano maggiori contatti con il prete. Ovvero i giovani dell’Azione Cattolica parrocchiale. Nel giorno del primo anniversario, questi hanno scritto una toccante ricordo del sacerdote. «Quando sei arrivato fra noi eri così diverso… Uscivi dallo stereotipo del sacerdote con stola e tonaca. Ti sei presentato in moto, con un giubbotto di pelle. Presto ci siamo resi conto che la tua rivoluzione andava ben oltre l’abito. Ci hai messi in movimento, ci hai riunito e unito, ci hai dato forza, opportunità, spazio, fiducia», scrivono i ragazzi, che hanno costituito la Multisectorial Viroche. È quest’ultima a organizzare le marce per reclamare la verità su ciò che definiscono ‘un omicidio’. «Sei stato il nostro samaritano – prosegue il testo –. Ci hai pulito, lavato, curato, ci hai portato nella locanda per rifocillarci. Quella locanda che per noi era diventata la parrocchia, dove ci incontravamo, cantavamo, ridevamo, piangevamo, però soprattutto imparavamo a vivere e a donare amore». La missiva si conclude con una promessa: «Questa è la verità su padre Juan, l’esempio più vicino a Cristo che abbiamo conosciuto, l’uomo che ha rivoluzionato la vita di ogni bimbo, giovane, adulto con cui è entrato in contatto. Non sei morto prete! Sei più vivo che mai nei nostri cuori, non ti hanno zittito, siamo la tua voce».

La lettera è stata letta durante la Messa di trigesimo di padre Juan. «Ha avuto grande impatto sulle persone presenti», racconta Ruth Ramasco, docente di filosofia al seminario di Tucumán e, dunque, un tempo, insegnante di padre Viroche. È lei a coordinare le attività della Multisectorial. «L’idea mi è venuta durante la veglia funebre. Gran parte dei partecipanti, inclusa la vittima, erano stati miei studenti. Li ho visti piangere. E ho pensato di dover fare qualcosa», racconta ad Avvenire con il tono limpido delle professoresse. Non è, però, facile. Tanti a Tucumán hanno interesse a far cadere il caso nell’oblio. Le scorse settimane, Gustavo Vera, fondatore dell’associazione anti-tratta Alameda, ha presentato una dettagliata denuncia nella speranza che la morte venga indagata dalla giustizia federale, più neutra. Finora, però, non c’è stata risposta. Nel frattempo, proprio grazie alla presenza di Vera a La Florida, i giovani della Multisectorial hanno ricevuto un dono inatteso. La loro lettera è arrivata nelle mani di papa Francesco. «Il Pontefice l’ha letta e ha anche mandato una risposta verbale, tramite chi gliel’ha consegnata – dice, emozionata, Ruth –. Ha detto: ‘Il vostro testo mi ha fatto molto bene, perché si vede che viene dal cuore’. Queste parole sono una straordinaria fonte di consolazione per quanti qui combattono per la verità. Consapevoli dei rischi».





Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it/Lucia Capuzzi -Nello Scavo)

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