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HomeSpecialiSan Ioannes Paulus PP. IIKarol Woityla: dalle parole alla Parola

Karol Woityla: dalle parole alla Parola

La decisiva mediazione paterna. La vicenda biografica di Karol Wojtyla, fin da subito, è fortemente segnata dall’esperienza della sofferenza. La madre morirà quando il piccolo “Lolek”, così affettuosamente chiamato in famiglia, aveva appena nove anni, il fratello medico, tre anni dopo, contraendo un’infezione da un suo paziente, mentre la sorella prima che lui nascesse. Questi drammatici eventi trovano un percorso di rielaborazione feconda nell’umile, silenziosa e discreta testimonianza del padre, ex ufficiale dell’esercito asburgico e poi polacco, uomo di fede e di disciplina, che di fronte alla devastazione del dolore, risponde con la mitezza della preghiera. Il Papa stesso ricorderà di aver sempre conservato nella sua memoria l’immagine del padre inginocchiato in preghiera, sia in parrocchia, che in casa, anche nelle ore della notte, “iniziandolo” in un certo senso ad una lettura mistico-teologica della realtà: «Il suo esempio fu per me in qualche modo il primo seminario, una sorta di seminario domestico».

Dalle “parole” alla “Parola”. Dopo la maturità liceale, si apre il tempo della ricerca e il tempo della formazione umana e culturale. La strada individuata dal giovane Karol intende assecondare quelle spiccate attitudini umanistiche e letterarie, nonché la passione per la letteratura drammatica e per il teatro, già evidenti in svariati saggi e scritti giovanili. Così nel maggio del 1938 Karol si iscrive alla facoltà di lingue e filologia polacca, trasferendosi insieme al padre a Cracovia. L’approccio a questi studi sarà ben presto caratterizzato per una propensione verso l’approfondimento della lingua stessa, evento che con sguardo retrospettivo potrà cogliere come introduzione al “mistero stesso della parola”. Percorso avvincente che tuttavia sarà brutalmente interrotto dalla ferocia indescrivibile della guerra, che dal 1 settembre del 1939, scatenerà il suo vortice omicida proprio verso sua amata patria. Riuscirà a frequentare solo il primo anno, perché la strategia dei dominatori sceglierà di accanirsi anche verso il mondo universitario, ritenendo che la deportazione dei docenti universitari, possa assestare un duro colpo alla cultura del popolo polacco e alla speranza di opposizione e resistenza intellettuale. Una croce uncinata, sarà innalzata sulla Cattedrale di Wawel, ma un’altra croce, quella di Cristo, proprio a partire dalla sofferenza dei popoli martoriati, non smetterà di attirare tutti a sé, seminando frutti di speranza e di pace.

Così di fronte al comprensibile sgomento e al  terrore dilagante, mentre diversi colleghi abbracciano l’ipotesi della resistenza e dell’azione militare, Karol troverà rifugio in quella “parola viva” del teatro clandestino, che insieme alla poesia e alla musica, renderà meno oscuri, quei difficili momenti, consentendogli di decantare la memoria e l’identità del popolo polacco. In quel tempo comprende che «la parola, prima di essere pronunciata sul palcoscenico, vive nella storia dell’uomo come dimensione fondamentale della sua esperienza spirituale» (DM, 12). Tuttavia egli comprende che non era questa la sua vocazione. Nel tempo dell’orrore, si sente chiamato all’amore. Si sente amato da Dio. Questa consapevolezza troverà decisive mediazioni, docili alla Divina Provvidenza, in diverse persone e famiglie che avranno un ruolo fondamentale nelle sue future scelte. Interventi provvidenziali che gli consentiranno di sperimentare frutti di bene e di luce in quella profonda «eruzione di male», segno, come dirà, della «presenza vittoriosa della croce di Cristo». Una di queste è riconducibile all’incontro con un uomo di profonda spiritualità, Jan Tyranowski, sarto di mestiere, uomo di profonda spiritualità che si occupa della pastorale giovanile nella Parrocchia salesiana, e che nel 1940 lo introduce alla conoscenza della spiritualità mistica di Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce, letture decisive e cruciali, che illuminano e orientano ciò che egli sente, già da un po’ di tempo, nel suo cuore. Tuttavia ci sono altre decisive mediazioni.  Dai salesiani ai carmelitani scalzi, dalla preghiera alla riflessione sulla figura di un religioso cappuccino, Frate Alberto. Quest’ultimo, artista e pittore, incontrato il Cristo, lascia tutto, diviene religioso, e dona se stesso al servizio dei poveri e dei diseredati. L’esperienza del religioso francescano, gli mostrerà una via significativa per il suo futuro “allontanarsi” dall’arte e dal teatro per aprirsi al sacerdozio. Sempre in questo periodo, a Cracovia, frequenta i luoghi dov’era stata la mistica suor Faustina Kowalska (1905-1938), la cui vicenda in un certo modo s’intreccerà con quella di quel giovane.

La fatica del “lavoro” e la dipartita del padre. Tuttavia il tempo della scelta deve attraversare quello dell’attesa. Per evitare la deportazione dal 1 novembre del 1940, Karol dovrà lavorare nella cava di pietra di Zakrzówek, vicino Cracovia. Esperienza ardua e faticosa, che ispirerà poesie e drammatiche riflessioni, che lo porteranno sia a conoscere il valore della fatica fisica che a comprendere come «tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo». Una di quelle sere, dopo la quotidiana fatica lavorativa, e i chilometri supplementari per tornare a casa, trova il padre morto. È il giorno 18 febbraio del 1941. Nei misteriosi disegni divini, il padre ha esaurito il suo compito di mediazione e di accompagnamento. Karol a vent’anni è dunque solo. A sostenerlo però rimane la fede, insieme alla carità concreta di diverse persone e amici che gli stanno vicino. È per lui il tempo di rielaborare la testimonianza di fede del padre, e abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio. La fede infatti, è sempre un fiducioso abbandono.  Dentro il suo cuore, non troverà il buio dell’abbattimento e della sfiducia, ma la consolazione (2 Cor 1,4) di quell’amore di Cristo che andava intagliando il suo profilo interiore, chiamandolo ad una sequela che diviene segno di speranza e di futuro. Questo spiega la sua risposta: ad un abisso di odio si oppone solamente un abisso d’amore.

Il seminarista-operaio e il sacerdozio. Intanto si profila una nuova posizione lavorativa. Circa un anno dopo infatti, sarà trasferito alla fabbrica chimica di Solvay. Ma ormai la scelta è matura, così nell’ottobre del 1942, dopo un itinerario che possiamo definire come un tempo di preghiera, contemplazione e di “scoperte” nello Spirito che gli donano di immergersi nelle “profondità di Dio” (cf. 1 Cor 2,9), ecco l’ingresso nel seminario clandestino e gli studi teologici. Il binomio studio-lavoro, che si protrarrà fino all’agosto del 1944, sarà in seguito ribattezzato come esperienza del “seminarista –operaio”, in analogia con il fenomeno dei preti operai che egli conoscerà qualche anno dopo (1947). Questo tempo di discernimento, gli consentirà di ricercare la presenza di Dio nella sua esistenza, la docile guida dello Spirito, esperienza che ancora una volta approda all’amore e alla benevolenza divina. Egli si sente amato da Dio e sostenuto dalla Provvidenza Divina, la cui “mano” gli aveva risparmiato molto di quell’”orrendo teatro”, facendogli sperimentare la bontà anche tra le asprezze della guerra. Il giovane Karol ritiene, infatti, che il sacrificio e la sofferenza di tante persone avessero svolto un ruolo decisivo nella realizzazione della sua vocazione sacerdotale, per questo si sente in debito con molti. Il chinarsi di Dio su di lui, è accolto e ricambiato con la lode e gratitudine, che scaturiscono da un assenso convinto all’opera di Dio su di lui, in una volontà che trova orientamento e disciplina da un esperienza di fiducioso abbandono esteso anche alla ragionevolezza della propria vita. In questo tempo, la stessa devozione mariana, presente fin dal sodalizio Mariano degli anni liceali, vive un’ulteriore salto di qualità, recependo un surplus di grazia nella lettura del libro sulla Madre di Dio di  san Luigi Maria Grignion de Monfort, dal quale deriverà quel Totus tuus ego sum et omnia mea Tua sunt, che tutti conosciamo. Karol comprende che Maria porta a Cristo, ma anche Cristo conduce alla Madre sua. Dopo la “liberazione” ad opera delle forze sovietiche (17 gennaio 1945), continua gli studi e il seminario per poi essere ordinato sacerdote nella festa di tutti i santi il 1 nov. del 1946. Poche settimane dopo è mandato a Roma, all’Angelicum per completare la licenza in Teologia (1947) e il Dottorato di ricerca (19 giugno 1948). Nella città santa può “respirare” la comunione universale della Chiesa ed anche quel “profumo” eloquente del martirio, che vede sintetizzato nella visita alle catacombe romane. di Giovanni Chifari

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