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Il presidente di Iustitia et pax all’Expo di Milano. Guerra alla povertà e non ai poveri

«Lottare contro la povertà e non contro i poveri; contro la fame e non contro gli affamati»: è questa la ricetta «per uno sviluppo reale» offerta stamane, sabato 12 settembre, dal cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, all’Expo di Milano.

Povertà




Il porporato è intervenuto a conclusione della due giorni di confronto organizzata dalla Caritas internationalis in collaborazione con quelle italiana e ambrosiana, sul tema generale «cibo, mondialità e conflitti dimenticati». In particolare l’ultima sessione ha preso spunto dalla consapevolezza che «nutrire il pianeta si può», anche oltre «i paradossi del cibo». In proposito il presidente di Iustitia et pax ha auspicato «una alimentazione giusta e sostenibile» per «tutti gli abitanti del pianeta», sulla scia dell’invito di Papa Francesco «ad ascoltare il grido della terra e dei poveri, alla conversione e all’azione», che «è al cuore dellaLaudato si’».
Lo spunto per la sua riflessione il cardinale Turkson lo ha preso dal luogo dell’incontro. Expo — ha commentato — «è un luogo artificiale, costruito con un duplice scopo: permettere al mondo di dare una rappresentazione di sé attraverso l’alfabeto del cibo e spingere l’umanità a porsi interrogativi sulla propria sopravvivenza e il proprio benessere». Perciò al suo interno si possono «ammirare la stupefacente abbondanza della creazione e la varietà di prodotti che ci mette a disposizione». Al contempo, però, Expo «mostra anche differenze», perché «non tutti hanno a disposizione uguali risorse». Anzi tali differenze «nel mondo reale assumono il volto della disuguaglianza o, come direbbe Francesco, dell’inequità. Una fetta cospicua dell’umanità dispone di un accesso molto limitato e insufficiente alle risorse comuni». Rilanciando con il Papa la denuncia del paradosso dell’abbondanza, per cui «c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare», il relatore si è chiesto: «Come è possibile che, in un mondo capace di ottenere tanti risultati, ancora esistano i poveri e gli affamati? Come è possibile che non abbiamo ancora eliminato la povertà, la fame e la malnutrizione? Ci siamo impegnati a sufficienza in questa lotta? E qual è il contributo che possiamo portare per cambiare la situazione?». Perché, ha commentato, «se non mette in moto queste domande, questo luogo, e noi al suo interno, diventiamo complici dell’ingiustizia planetaria». Da qui l’invito a non dimenticare «i milioni di bambini, di donne e di uomini che patiscono la fame». Sono i loro volti la realtà che sta dietro le rappresentazioni del mondo, come dimostrano «in questi mesi, i volti dei poveri» che «entrano nelle nostre case attraverso le terribili immagini del dramma dei migranti che bussano alle porte dell’Europa», scontrandosi con l’indifferenza generale o con una vera e propria ostilità. «Molti fuggono dalla guerra, altri dalla miseria: sono la prova del nostro insuccesso nella lotta alla povertà e alla fame». Insomma, ha evidenziato il cardinale Turkson, «il nostro mondo, mentre si dichiara impegnato nella lotta alla fame e alla povertà, nei fatti è in guerra contro i poveri e gli affamati» e tale guerra «è spesso un corollario persino delle politiche di sviluppo. Questo accade quando i poveri sono visti come un problema e un peso e non come soggetti capaci di mettere le proprie risorse a disposizione della ricerca di soluzioni». Esempi? Il rapporto tra produzione agricola e finanza, con la piaga dei cosiddetti “derivati” che aumenta «la volatilità dei prezzi e peggiora le condizioni dei produttori». Lo stesso dicasi per gli ogm che generano «una concentrazione della proprietà terriera con l’espulsione dei piccoli produttori» e anche per l’attuale crisi socio-ambientale frutto dell’«intreccio di due riduzionismi, di due visioni troppo ristrette, su cui si fonda il modello di sviluppo dominante: la tecnocrazia e l’immediatismo». Ecco allora, ha concluso il cardinale, che l’unica soluzione possibile per uscire da questa prigione è lo «sviluppo reale, autentico, attraverso un’ecologia integrale, che includa ambiente, economia, società, cultura, vita quotidiana, solidarietà». Il tutto basato sul metodo del dialogo onesto e trasparente, autenticamente inclusivo, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti.





Redazione Papaboys (Fonte L’Osservatore Romano, 13 settembre 2015)

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