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Il nunzio a Baghdad: togliere le armi ai jihadisti

toglierearmiOccorre non abbandonare la popolazione irachena, gli aiuti umanitari sono indispensabili ma sarebbe stato meglio prevenire questa ondata di violenza”. Questo in sintesi nelle parole del nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons Giorgio Lingua, intervistato da Gabriella Ceraso della Radio Vaticana:
R. – Mi ha impressionato, da quello che ho potuto vedere, il dramma soprattutto dei bambini sfiniti per aver percorso tanti chilometri di strada in condizioni difficili: li ho visti buttati per terra, qualcuno dormiva su delle pietre. È impressionante. Penso anche ai tanti anziani che hanno dovuto lasciare tutto. E’ un vero e proprio esodo che fa impressione.

D. – Ieri abbiamo avuto la notizia che il Santo Padre sta pensando anche di incontrare proprio i nunzi di tutta la regione…
R. – Sì. Non è una cosa che si può fare subito, ma il Santo Padre già mi aveva detto – quando l’ho incontrato 15 giorni fa – che stava pensando di convocare i nunzi della regione per vedere come affrontare soprattutto il problema della fuga dei cristiani – non soltanto dell’Iraq, ovviamente, ma anche della Siria e di altri Paesi – che lasciano le terre delle loro origini, dove vivono da duemila anni.

D. – Lei si è fatto un’idea di quale sia una soluzione possibile?
R. – Le cose non sono facili. Il problema principale è quello delle armi. Mi domando come fanno ad avere certe armi così sofisticate; questi gruppi considerati terroristici. Non sono produttori di armi, quindi da qualche parte devono pur arrivare. Credo che, innanzitutto, sia un fallimento dell’intelligence – questo è il punto principale – bisogna fermare, o controllare meglio questo aspetto, altrimenti non si finirà mai.

D. – A più voci si è lamentato in questi giorni un vuoto istituzionale in Iraq. Oggi gli Stati Uniti lo hanno ribadito: “Noi ci impegniamo ma serve un governo solido a Baghdad”…
R. – Certo, senza dubbio: ci vuole un governo che sia inclusivo altrimenti lo Stato diventa sempre più debole. È chiaro che la democrazia ha i suoi tempi, non si può pretendere di instaurarla subito. La democrazia non è la dittatura della maggioranza: deve tenere conto anche delle minoranze, di quei gruppi più deboli, o che la pensano in modo diverso. Questo è un cammino che va fatto con il tempo ma che bisogna cominciare, altrimenti non si uscirà da questa empasse.

D. – Ora c’è stata una scelta precisa: gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire, raid mirati ed aiuti umanitari… Che pensa di questo?
R. – Purtroppo si interviene per riparare ad una situazione che forse si poteva prevenire, ma è bene quando si riesce a togliere almeno le armi dalle mani di questa gente che non ha scrupoli.

D. – Il Papa ha deciso di inviare in Iraq il card. Filoni per valutare qual è la situazione e agire. Sarà un viaggio molto delicato…
R. – Credo che sia un gesto molto apprezzato dalla popolazione che è importante non si senta abbandonata. È chiaro che forse questo, materialmente, non potrà risolvere tutti i problemi, ma se non altro sensibilizza l’opinione pubblica e fa sentire alla gente che c’è qualcuno a cui stanno a cuore, perché spesso è proprio questo sentirsi abbandonati che fa perdere la speranza.

D. – Quale è il suo pensiero in questo momento per la popolazione irachena e per tutto il Paese?
R. – Ciò che chiedo è che non perdano la speranza. Prego perché questa gente sia cosciente che, anche nella tempesta, Gesù è vicino a tutti e mi sembra che già stiano dando questa testimonianza perché sono dei confessori della fede. Prego perché la fede non venga meno.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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