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Il mondiale e i casi di coscienza

OHH7CtT-360Raccontare un altro mondiale significa anche avvalersi di lenti d’ingrandimento inusuali, di zoom o primi piani che vadano a focalizzare “porzioni” di campo e spaccati di vita marginali o refrattari ad ogni forma di cattura. Stiamo parlando di casi di coscienza, che sorgono nel cuore dell’animo umano e trovano una loro manifestazione esterna e visibile sul rettangolo verde, sul campo da gioco. Diversi gli esempi captati in queste ultime ore: dai fratelli Yaya e Kolo Touré (Costa d’Avorio) agli uruguaiani Suarez e Pereira, più retroattivo il dibattito circa le scelte locatarie del camerunense Eto e su un altro livello l’insoluta quaestio time out sì/time out no.

Insomma tanto di cui parlare a partire appunto dalla coscienza. Grande sconosciuta eppure così decisiva, possiamo interpretare la coscienza come quel luogo in cui si identificano e discernono i valori e si adottano e scelgono i comportamenti. Una materia nella quale entrano in gioco intelletto e volontà e sono bene accetti aiuti ulteriori (in primis una buona dose di grazia divina) se è vero che lo stesso Card. J. H. Newman poteva affermare: “Brindo alla mia coscienza” (anche se bisogna bene intendere il senso … ). Nel primo caso accennato sopra è un triste evento quello che ha posto i fratelli Tourè di fronte a una scelta: la morte del loro fratello minore, il ventottenne Oyala Ibrahim, il cui cadavere è stato ritrovato in queste ore a Manchester. Ignote le cause del decesso, immediata e senza tentennamenti la scelta. I due calciatori hanno lasciato il ritiro, con tanto di comunicato ufficiale della Federazione ivoriana: “Siamo tutti in preghiera per lui”. Decisione matura che ha trovato approvazione e consenso sociale, perché quando entra in gioco il valore della vita, accolta o negata, c’è una quasi naturale convergenza nel ridisegnare la gerarchia dei valori. Solitamente tutti sono d’accordo nell’assegnare questo primato. Una scelta che sempre in casa Costa d’Avorio è sembrata andare in controtendenza rispetto a quanto si era erroneamente diffuso ieri circa un lutto che avrebbe colpito un altro calciatore, Die, apparso in lacrime durante il canto dell’inno nazionale. In realtà come egli stesso ha confessato ne post partita, il decesso del padre era avvenuto nel 2004. Nessun caso quindi e scelta virtuosa per la compagine africana.

Di altro tenore i casi di Suarez e Pereira. Il primo ha dovuto scegliere se rischiare oppure no un rientro forzato a poco tempo da un intervento al ginocchio, con il rischio di poter compromettere la prossima stagione. La scarpa d’oro (ex aequo con Cristiano Ronaldo quest’anno) ha optato per il sì. Troppo forte il richiamo della propria nazione, amor di patria, identità, attaccamento ai propri colori, tutte realtà valoriali scandagliate dalla coscienza prima della scelta. Doppietta decisiva la sua che mantiene a galla i sogni dell’Uruguay che adesso si dovranno imbattere su quelli italici nel match del 24/06. In occasione del secondo gol, ha accennato a togliersi la maglia, ma ha desistito, anche questa è una scelta di coscienza: perché prendere un’ammonizione? Piangeva poi in panchina per la commozione, stringendosi al “bolognese” Perez. Alla fine gioia pura, con la squadra che lo innalza al meritato trionfo. Il compagno Pereira invece, che non ha lasciato il segno nella sua parentesi interista, ci propone un altro “caso”. Colpo in testa e KO per alcuni secondi, il medico del celeste chiama la sostituzione ma il giocatore ringhioso si oppone volendo a tutti i costi rimanere in campo. Problema serio sul piano etico: una diagnosi medica dice no, il calciatore dice sì. Che fare? Ha prevalso la volontà del giocatore ma la questione rimane aperta.

Infine e in breve qualche altra storia di coscienza. Partiamo da Eto’o. Un mondiale da dimenticare per il suo Camerun, ma forse in molti ricorderanno la scelta del calciatore milionario di risiedere in un lussuoso resort da migliaia di euro al giorno. Scelta che non fa notizia visto gli 80 mila euro al mese che costava la sua reggia ai tempi della permanenza all’Anzhi in Russia. Sul piano dell’etica descrittiva diremo che è un comportamento che stride con i vissuti di povertà di molti.

Sulla stessa linea, il time out fin qui negato per le squadre partecipanti ai mondiali. Non è facile giocare alle 14 con caldo umido e asfissiante. Eppure né time out né spostamento di orario. In particolar modo su quest’ultima opzione, quali valori o disvalori ci sono dietro? Ognuno potrà rispondere secondo coscienza. di Giovanni Chifari

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