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Il cardinale Parolin celebra la prima memoria liturgica di Montini. Come cinquant’anni fa

Se la Chiesa «ha coscienza di ciò che il Signore vuole che Ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione, con la chiara avvertenza di una missione che la trascende, d’un annuncio da diffondere»

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Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, cita la Ecclesiam suam, la prima enciclica di Paolo vi, nell’omelia della celebrazione della prima memoria liturgica di Papa Montini, beatificato il 19 ottobre 2014. La messa viene celebrata dal cardinale Parolin nel pomeriggio del 28 settembre, al suo ritorno dal viaggio papale a Cuba e negli Stati Uniti, all’altare della Cattedra nella basilica vaticana.

Al termine è prevista una breve visita nelle Grotte Vaticane per rendere omaggio alle spoglie mortali di Paolo vi. Il 26 ottobre anche la diocesi di Brescia ricorderà Montini con una celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Luciano Monari presso il santuario della Madonna delle Grazie.

«Diverse circostanze rendono particolarmente significativa questa celebrazione», ha detto Parolin. «Anzitutto il luogo, in cui il beato Pontefice venne ordinato vescovo il 1° novembre 1954 e ricevette la berretta cardinalizia da san Giovanni xxiii. Qui partecipò, quale arcivescovo di Milano, alle prime sessioni del concilio Vaticano ii e in seguito, come successore di Pietro, le presiedette, facendo sentire il suo autorevole magistero. Ricordiamo, poi, i cinquant’anni della conclusione del concilio. E ancora, la delicata attenzione di Papa Montini per le periferie esistenziali in ogni latitudine del pianeta, il gesto della rinuncia e dell’offerta della tiara, conservata nella cripta del Santuario nazionale dell’Immacolata concezione a Washington, dove il Santo Padre Francesco ha celebrato la settimana scorsa; la sua capacità di dar voce agli ultimi e ai lontani e il richiamo nel suo testamento spirituale a una Chiesa povera, cioè libera; la sua attenzione per la famiglia e la paternità e maternità responsabili». Un messaggio prezioso, rivolto «all’umanità impoverita del nostro tempo, così bisognosa di senso»: la Chiesa è per sua natura missionaria, in un certo senso non può non esserlo.

Accanto alle tematiche più strettamente ecclesiali ispirate dal Vangelo di Cristo, in quegli anni contrassegnati dalla contrapposizione est-ovest, Papa Montini si prodigò attivamente per la salvaguardia della pace. A titolo di esempio, Parolin cita la proposta di arbitrato nel sanguinoso conflitto del Vietnam nel 1966 «che, se fosse stata accolta avrebbe risparmiato tante sofferenze, alla partecipazione della Santa Sede al processo e all’accordo di Helsinki del 1975 sulla sicurezza e cooperazione in Europa, come pure ad altre innumerevoli iniziative».

Di ritorno dal viaggio apostolico di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti e dalla visita all’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, il cardinale segretario di Stato torna a rileggere il discorso pronunciato da Paolo vi al Palazzo di Vetro il 4 ottobre 1965. In quell’occasione, Papa Montini fece risuonare il celebre grido «Non più la guerra, non più la guerra!» e fece proprie le parole pronunciate da John F. Kennedy al momento di assumere l’incarico di presidente: «L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità».

Concludendo il suo discorso alle Nazioni Unite e nella sua Enciclica Populorum progressio, Montini diceva all’intera umanità che «dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo; in maniera nuova la convivenza dell’umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo secondo le parole di san Paolo: rivestire l’uomo nuovo creato a immagine di Dio nella giustizia e santità della verità (…). Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo».

Le preoccupazioni del beato Paolo vi, chiosa con amarezza il cardinale Parolin, restano purtroppo attuali anche nello scenario odierno, caratterizzato da crudeli conflitti armati — la terza guerra mondiale combattuta a pezzi, come l’ha definita Papa Francesco — e dove i diritti umani, in primo luogo quello alla vita e alla libertà religiosa, vengono sistematicamente minacciati e calpestati.

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Papa Montini, conclude il segretario di Stato, ebbe sempre nel cuore due grandi amori: quello per la Chiesa e quello per l’umanità. È questa la sua eredità. Amò la Chiesa, nella sua realtà divino-umana, sapendola voluta da Cristo quale grembo di salvezza per l’intera umanità. «Come non ricordare gli accenti personalissimi e toccanti con cui ne parla nel suo Pensiero alla morte? “Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono, d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che l’assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi”».

Papa Montini — continua il cardinale Parolin — ci richiama a questa coscienza del mistero della Chiesa, «fatto di fede matura e vissuta», una fede che produce nelle anime quel «senso di Chiesa» che pervade il cristiano cresciuto alla scuola della divina Parola, alimentato dalla grazia dei Sacramenti e dalle ineffabili ispirazioni del Paraclito e afferrato alla pratica delle virtú evangeliche (cfr. Ecclesiam suam n. 38).

Papa Francesco, nella continuità di ciò che Paolo vi auspicava, ci chiede di abbandonare una spiritualità mondana e di essere testimoni gioiosi di una «Chiesa in uscita», per offrire a tutti Gesù Cristo, nel rispetto delle varie culture che fanno della Chiesa un popolo dai molti volti, che, nella loro diversità, non minacciano ma ne arricchiscono l’unità (cfr. Evangelii gaudium, nn. 46, 115-116).

«Alla vigilia del Sinodo dei vescovi sulla famiglia — conclude il cardinale Parolin — mi sembra di dover cogliere nel magistero del beato Paolo vi un’attenzione profetica per l’umanità, con particolare attenzione alla famiglia, al matrimonio e ai coniugi stessi, uomo e donna, nella luce dell’amore e dell’apertura alla vita, in un’indissolubilità che proviene dalla sacralità stessa della persona e da un atto libero e responsabile degli sposi. La Chiesa attende una sapienziale e pastorale riflessione per offrire ai coniugi e alle famiglie una parola di concreta speranza nella verità e nell’attenzione evangelica, che sappia essere segno dell’amore di Colui che è l’autore dell’amore sponsale. Amore che è condivisione, reciproca attenzione, apertura alla vita, dignità donata e ricevuta».





L’Osservatore Romano, 29 settembre 2015

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