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Il campione di basket che salva i migranti sui barconi: siamo uomini, prima che sportivi

«Prima di essere uno sportivo – un calciatore, un giocatore di basket – siamo uomini». È la star NBA Marc Gasol, un ragazzone alto 2 metri e 16, a dare voce al dramma dei migranti nel Mediterraneo. Lo ha fatto dalla barca della Ong Open Arms, ripartita da Barcellona dopo essere stata bloccata per una settimana e protagonista del salvataggio di Josephine al largo della Libia. Tra le braccia che hanno stretto quella donna impaurita e scioccata, rimasta 48 ore aggrappata a una tavola di legno, tra i resti del gommone su cui viaggiava insieme ad altri cento migranti, c’erano anche quelle del cestista spagnolo della squadra dei Memphis Grizzles (20 milioni di dollari d’ingaggio all’anno) (Vanity Fair, 19 luglio).

MARC GASOL

La morte del piccolo Aylan

Gasol ha poi raccontato ai media catalani:

«L’abbiamo salvata, caricata a bordo della barca e poi sulla nave, dove i medici le hanno prestato le prime cure. Era scioccata, spaventata, Le abbiamo detto che l’avremmo aiutata. Abbiamo saputo che il suo nome è Josephine, che è partita dal Camerun. Perché sono qui? La fotografia che nel 2015 ha fatto il giro del mondo, quella del piccolo Aylan Kurdi, morto in un naufragio sulle rive della Turchia, mi ha provocato un senso di rabbia. A quel punto per me era chiaro che tutte le persone devono fare la loro parte per far sì che queste cose non accadano più».






Open Arms
Un anno fa Gasol ha incontrato Òscar Camps, il fondatore di Proactiva Open Arms: è rimasto così colpito dalle cose che raccontava sui migranti nel Mediterraneo che lo ha invitato a tenere un discorso al campus estivo della sua vecchia squadra di basket, a Girona.

«Mi hanno fatto capire che è una realtà drammatica in cui vivono molti bambini in tutto il mondo. Per me è stato uno shock. Così mi sono messo a disposizione. Ammiro le persone delle Ong, che hanno messo a disposizione loro risorse economiche, logistiche, personali per aiutare i disperati. Ammiro chiunque fa qualcosa, senza aspettare che gli altri lo facciano» (Gazzetta 18 luglio).

La scelta di salire a bordo
Quest’anno, libero da impegni sportivi, è salito a bordo, senza dare pubblicità alla scelta.

Fino a martedì, quando ha pubblicato quel tweet per esprimere «frustrazione e rabbia» per il naufragio in acque libiche a cui aveva assistito. Tra le braccia che issano sulla barca l’unica sopravvissuta ci sono anche le sue (Corriere, 18 luglio).

La fondazione
Da anni, con la Gasol Foundation, insieme al fratello maggiore Pau – anche lui stella dell’NBA – finanziano progetti di solidarietà per i bambini più poveri. Questa volta Marc, il più giovane, si è imbarcato e lo avrebbe fatto «già l’anno scorso ma c’erano gli Europei e dovevo giocare con la nazionale».

Fonte it.aleteia.org

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