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I prodigi miracolosi di Santa Rosalia, che pochi conoscono

Santa Rosalia è una vergine non martire, vissuta molti secoli dopo e divenuta patrona di Palermo nel 1666 con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia. Ciò nonostante la “Santuzza”, come affettuosamente viene chiamata dai palermitani, si affermò come una delle sante più conosciute e venerate nella cristianità siciliana e in particolare in quella palermitana; ancora oggi in qualsiasi parte del mondo s’incontrino i palermitani, si scambiano il saluto “Viva Palermo e santa Rosalia!” (Famiglia Cristiana, 4 settembre).

SUL MONTE PELLEGRINO

Da lì la giovane eremita, dopo un periodo di penitenza non definito, si trasferì in una grotta sul Monte Pellegrino, stupendo promontorio palermitano. Lì visse in preghiera, solitudine e mortificazioni; molti palermitani, salivano il monte attratti dalla sua fama di santità. Morì il 4 settembre 1660.

IL SOGNO DI GIROLAMA

L’intercessione di Santa Rosalia viene spesso invocata dai palermitani e non solo. Di lei si raccontano numerosi prodigi e apparizioni miracolose.

Il 26 maggio 1624 una donna (Girolama Gatto) ridotta in fin di vita, vide in sogno una fanciulla vestita di bianco, che le prometteva la guarigione se avesse fatto voto di salire sul Monte Pellegrino per ringraziarla. La donna salì sul monte con due amiche, era di nuovo in preda alla febbre quartana, ma appena bevve l’acqua che gocciola dalla grotta, si sentì guarita, cadendo in un riposante torpore e qui le riapparve la giovane vestita di bianco, ravvisata come in santa Rosalia, che le indicò il posto dove erano sepolte le sue reliquie.

LA RICERCA DELLE RELIQUIE

Il 15 luglio 1624 a quattro metri di profondità, fu ritrovato in quel punto un masso lungo sei palmi e largo tre, a cui aderivano delle ossa. Per ordine del cardinale arcivescovo di Palermo Giannettino Doria, il masso fu trasferito in città nella sua cappella privata, dove fu esaminato con i resti trovati, da teologi e medici. Se ne occuparono due commissioni. La prima ebbe scarsi risultati.

LA PESTE E LA SANTA

Palermo fu colpita dalla peste nell’estate del 1624 mietendo migliaia di vittime (la stessa epidemia che colpì Milano e descritta dal Manzoni nei ‘Promessi sposi’). Il cardinale radunò nella cattedrale popolo e autorità e tutti insieme chiesero aiuto alla Madonna, facendo voto di difendere il privilegio dell’Immacolata Concezione di Maria, che era argomento contrastante nella Chiesa di allora e nel contempo di dichiarare santa Rosalia patrona principale di Palermo, venerando le sue reliquie, quando si sarebbero riconosciute.

“RESTI DI UNA DONNA”

L’11 febbraio 1625 la seconda commissione, stabilì che le ossa erano di una sola persona chiaramente femminile, dei tre crani, si scoprì che due erano un orciolo di terracotta e un ciottolone, mentre il terzo che sembrava molto grande, era invece ingrossato da depositi calcarei, che una volta tolti rivelarono un cranio femminile. Anche la prima commissione ne riesaminò i resti e concordò con il risultato della seconda commissione.

IL PRODIGIO A VINCENZO

A ciò, scrive ancora Famiglia Cristiana, si aggiunse un prodigio, un uomo Vincenzo Bonelli essendogli morta la moglie di peste e non avendolo denunciato, fuggì sul Monte Pellegrino e qui gli apparve la “Santuzza” predicendogli la morte per peste e ingiungendogli, se voleva la sua protezione per l’anima, di dire al cardinale che non dubitasse più dell’autenticità delle reliquie e le portasse in processione per la città, solo così la peste sarebbe finita. Tornato in città, effettivamente si ammalò di peste e prima di morire confessò ciò che gli era stato rivelato.






LA PESTE REGREDISCE

Il 9 giugno del 1625, l’urna costruita apposta per le reliquie, fu portata in processione con la partecipazione di tutta la popolazione e con grande solennità. La peste cominciò a regredire e il 15 luglio quando si fece il pellegrinaggio sul Monte Pellegrino. Nell’anniversario del ritrovamento delle reliquie, non comparve più nessun caso di appestato.

L’ALTARE

Il cardinale fece costruire nella cattedrale un magnifico altare, dove venne sistemata la fastosa urna d’argento massiccio con le reliquie della santa, il cui nome fu per tradizione interpretato come composto da ‘rosa’ e ‘lilia’, rosa e gigli, simboli di purezza e di unione mistica; per questo la ‘Santuzza’ è rappresentata con il capo cinto di rose.




Fonte it.aleteia.org/Gelsomino del Guercio

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