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I bambini dei profughi ridono ancora. E gli adulti tornano a sperare

I bambini dei profughi ridono ancora. E gli adulti tornano a sperareBastano pochi link da aprire per scoprire quanti sono i minori sbarcati in Italia, i minori accompagnati, i minori non accompagnati, i minori che scompaiono dai centri di accoglienza. Bastano pochi filmati tirati fuori da Youtube o da qualche trasmissione di approfondimento per vedere i bambini in braccio ai padri, per mano alla madre, o accanto ad un volontario, o in braccio ad un medico, o su un barcone, o dietro il filo spinato di qualche confine europeo.

Di solito sono quelli con il viso oscurato, nascosto da un escamotage elettronico per proteggerne la privacy: non riusciamo a proteggerli dalle nostre guerre ma se li fotografiamo gli proteggiamo la privacy. Poi ci sono invece filmati come questopresentato da un quotidiano on line. È una di quelle notizie che trovi nella colonna di destra dello schermo. Non è cronaca nera perché non c’è il sangue. Non è cronaca rosa perché non c’è gossip romantico. Non è cronaca politica perché non c’è nessun partito.

Forse non ha categoria perché è un filmato dove ci sono bambini che ridono lì dove c’è solo da piangere. Salutano da un pullman che non li porta in gita, ma in un centro di prima accoglienza. Colorano di giallo splendente unicorni galoppanti, lì dove l’unico colore che ti viene in mente è il nero cupo. Il più grande fa le smorfie al più piccolo ma il grande è un bambino pure lui. Vanno sull’altalena un po’ spaventati, non dalla guerra, ma dal su e giù, su e giù, su e giù, come se vivessero in una situazione normale.

Mentre i grandi dormono a terra, anzi crollano a terra, una bimba tira in aria un orsacchiotto. In marcia verso l’Europa i grandi portano fagotti pieni di tutto quel poco che rimane, e loro un palloncino rosa. Mentre i padri fanno la fila e spingono contro i nostri confini per arrivare primi e prima, loro spingono i piedi a terra su moto e bici troppo piccole per l’età ma non per la voglia di giocare. E anche se la loro stanza è un deposito di generi di prima necessità o solo pochi metri di asfalto tra la gente accasciata, non fa niente, spingono una carrozzina per giocare alla mamma.

E anche se nemmeno hanno vestiti per l’inverno, la maschera di carnevale già è messa ben allacciata sulla testa. E poi bolle di sapone e schizzi dalla fontana come quando si andava al parco, ai giardinetti, con mamma e papà, quando tutto andava bene cioè quando tutto andava normale. Alla fine papà fa fare “vola vola” alla sua bambina. È un papà siriano con la barba lunga e intorno altri uomini, altri profughi, guardano e ridono.

I bambini ridono ancora e i loro genitori sperano ancora. A me viene in mente l’immagine tipica della speranza: un uomo e un bambino che si danno la mano, fotografati di spalle, che guardano un orizzonte lontano. E capisco che è il bambino che tiene il grande. Che sono i piccoli a reggere i grandi. Che se tieni per mano un bambino vedi anche quello che ancora non c’è, cioè speri.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost


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