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Gli altri: Educazione alla mondialità

20110113Giovani-e-InterculturaL’educazione alla mondialità è una disciplina dai concetti articolati: pace, ambiente, diritti umani, sviluppo, interculturalità, globalizzazione…

Approfitto del raro raggio di sole di questo strano maggio, in questo nord d’Italia e spendo la mia pausa pranzo, seduta su una panchina, a leggere qualche pagina. Ogni tanto mi distraggo, ascoltando il chiacchiericcio di Giorgia e Ludovica, due bimbette che giocano lì vicino, sotto la sorveglianza del nonno. Ad un tratto, tra le bimbe nasce una piccola scaramuccia. Il nonno interviene e, sgridando Ludovica, usa la frase “non fare agli altri…”.

Non sento finire la frase (che naturalmente già conosco bene, come voi), perché l’ultima delle parole udite comincia a risuonarmi, a battermi in testa: “gli altri… gli altri…”. Chissà questo nonno in che senso sta intendendo “gli altri”. Sicuramente “l’altra” è Giorgia, l’amichetta del cuore. Ma istintivamente il mio pensiero vola ai bimbi di Shashemene, in Etiopia, alla partita di calcio con la palla fatta di stracci, ai loro piedi nudi con le unghie mangiate dalla polvere, ai loro denti imbruniti e corrosi dal fluoro dell’acqua, ai loro occhi pieni di mosche e di tracoma. Risento con la mente la loro tiritera “mother dead, father dead” nel tentativo di ottenere qualche moneta.

Oggi è mercoledì? Sì… beh, allora oggi, dalle suore di Shashemene vengono i lebbrosi a fare gli impacchi medicati, e per questo si interrompe, solo di mercoledì, il programma per i bambini denutriti. Ma il nonno di Ludovica non credo che lo sappia. E non lo può raccontare alla sua nipotina. Ma se lo sapesse, mi piace credere che il suo “altri” arriverebbe fin là, in Etiopia.

E sono sicura che, per educare Ludovica, userebbe l’espressione “non fare agli altri…” anche al supermercato, di fronte all’esasperato consumismo; oppure in casa, di fronte agli sprechi, nella vita di tutti i giorni, di fronte a tutte quelle comodità per noi acquisite che non ci rendiamo conto quali squilibri provochino nel mondo.
Soprattutto povertà. Inquinamento e povertà. Violazione di diritti e povertà. Sottosviluppo e povertà. Guerra e povertà.

Ludovica imparerebbe che lei e Giorgia possono essere la differenza anche per quei bimbi lontani, per i loro genitori, per il mondo. Imparerebbero che “non fare agli altri…” significa anche che dalle loro scelte di tutti i giorni dipende – magari in misura piccola, ma comunque dipende – l’equilibrio o il disequilibrio del mondo. E la sorte di persone sconosciute che vivono in luoghi lontani: “gli altri”, appunto.

Oggi tutto questo viene chiamato “educazione alla mondialità”. Ed è una disciplina dai concetti articolati: pace, ambiente, diritti umani, sviluppo, interculturalità, globalizzazione. Sono temi complessi che, pur seguendo io da anni, continuano a stupirmi per le loro interrelazioni, spesso per niente palesi e difficili da comprendere. Certo, non ho la pretesa che a Ludovica e Giorgia il nonno spieghi tutto ciò. Ma è importante che comprendano che “gli altri” sono il mondo, sono gli amici e i fratelli che avrebbero avuto, se la sorte le avesse fatte nascere in un altro luogo. Ad esempio a Shashemene, in Etiopia. E poi si può iniziare a educare anche in modo semplice, magari con l’esempio affascinante del battito d’ali della farfalla. Sì, quella che provoca l’uragano dall’altra parte del mondo. La farfalla siamo noi, e possiamo scegliere se e in quale direzione sbattere le nostre ali. Ma per fare questo con consapevolezza, dobbiamo conoscere gli effetti del nostro battito, comprenderne la forza e le conseguenze. Questo è, a parer mio, il valore dell’educazione alla mondialità: conoscere un po’ di più il mondo, provare a comprenderne alcune dinamiche complesse, diventare maggiormente consapevoli delle conseguenze che i nostri comportamenti quotidiani hanno anche molto distante da noi.

Tutto questo perché oggi il concetto de “gli altri” non può più avere confini: gli altri sono molti di più e molto più in là di Giorgia e Ludovica. Perché le nostre azioni sono globalizzate e dobbiamo assumercene la responsabilità.
Agli educatori va il difficile ruolo di rendere il tutto semplice e accattivante. E di risvegliare le coscienze delle prossime generazioni. di Debora Busso

Link utili:
www.elledicieducare.it

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