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Giustiziato per omicidio: rinuncia all’ultimo pasto per ricevere l’Eucarestia

E’ stato condannato per omicidio, nonostante l’avvocato difensore si fosse presentato più volte ubriaco al processo e nonostante il pm avesse una relazione con il giudice che in seguito sposò. Ma Ledell Lee, afroamericano di 51 anni, accusato quando ne aveva 27 di aver picchiato a morte la vicina di casa Debra Reese, non ha mai smesso di dichiararsi innocente, nonostante l’arresto immediato per via di un testimone che aveva dichiarato di averlo visto nei pressi della casa della vittima.

Infine, lo scorso 20 aprile, diventando il primo uomo giustiziato dello Stato dell’Arkansas dopo 12 anni, è morto rifiutando l’ultimo pasto a cui aveva diritto per poter ricevere l’Eucarestia.

LE PAROLE FINALI- Intervistato precedentemente dalla Bbc aveva spiegato che tutta la vicenda per lui era “come un incubo da cui non ti puoi svegliare (…) vogliono uccidere quante più persone possibili prima della scadenza delle droghe letali”. Infatti, la casa farmaceutica che le produce aveva ritirato i rifornimenti, affinché i farmaci non fossero usati per giustiziare i prigionieri. Lee aveva continuato affermando che “le mie parole finali saranno quelle che ho sempre usato: “Sono un uomo innocente”. Invece, dopo aver ricevuto i sacramenti cattolici, l’uomo ha subìto la condanna in  un silenzio forse alla fine più eloquente di tante parole.

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IL PROBLEMA DEI FARMACI – Fino ad allora, però, Lee e tutta la sua famiglia avevano combattuto. Il fratello aveva parlato più volte della grande bontà del condannato e delle preghiere incessanti a suo sostegno. Lee aveva invece dichiarando alla Bbc di voler “gestire questa tempesta ma non voglio che mia madre o il mio padre adottivo attraversino tutto quello che stanno attraversando senza avere alcuna colpa. So che li sta lacerando e vorrei poter fare qualcosa per alleviare la loro pena: ma quello che posso fare è solo continuare a fare quello che sto facendo: combattere”. Una corte d’appello aveva bloccato l’esecuzione dopo che l’azienda farmaceutica aveva lamentato che il farmaco era stato messo in commercio con scopi curativi, mentre il prodotto era stato comprato dallo Stato senza dichiarare correttamente la modalità di utilizzo. Si era inoltre dimostrato che il condannato, se non correttamente sedato, rischiava di provare dolore. Ma la Corte Suprema dell’Arkansas aveva ribaltato la sentenza.






 

“COME MAI?” – Al fianco di Lee si erano schierate diverse associazioni civili per la difesa dei diritti umani, che avevano fatto notare tutte le ingiustizie del processo penale, sottolineando che, sebbene fosse stata richiesta da Lee la prova del Dna, la corte aveva impedito ulteriori indagini. Anche perché, al fine di eseguire tutte le pene capitali prima della scadenza dei farmaci, l’Arkansas aveva deciso di giustiziare entro la fine di aprile ben otto persone. “Come mai queste otto? Perché adesso?”, si è chiesto Stephen Breyer uno dei 4 giudici su 5 che hanno votato a favore di Lee: “Apparentemente perché lo Stato deve procedere prima che scadano i termini di utilizzo delle droghe. Ma dal mio punto di vista questo fattore è casuale”.  Infatti, “lo Stato aveva pianificato l’esecuzione di questi otto già da prima”.

UNA GRANDE FORZA – Quello che impressiona della vicenda, oltre la determinazione ad uccidere un uomo nonostante i numerosi dubbi processuali, è la lucida fermezza con cui Lee ha combattuto per tanti anni. Mai ingaggiando una battaglia ipocrita contro un paese che ha assassinato legalmente 60 milioni di bambini senza che i nemici della pena di morte sollevino mezza critica. Si può ragionevolmente credere che la forza che ha permesso di non disperarsi ad un uomo, che 27enne si vide crollare davanti a sé ogni progetto sul proprio futuro, stia in quel pezzo di pane voluto da Lee ad ogni costo anche prima di morire. Nella certezza che l’ultima parola non fosse di questo mondo. Tanto da preferire ad un pasto fugace la presenza reale ed eterna del suo Salvatore.




di Benedetta Frigerio per La Nuova Bussola Quotidiana

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