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Gesù ha improvvisamente amato il mio cuore. Suor Chiara Luce: Ho scelto la clausura per pura passione

Il velo, il libro della Regola e il crocifisso. Sognava di diventare un’artista e girare il mondo. Aveva studiato per questo all’Accademia di Belle Arti di Massa-Carrara e, ancora prima, scultura e decorazione plastica all’istituto d’arte a Padova. «Pura passione», dice oggi questa ragazza di 29 anni che un giorno è “inciampata” in Dio e ha cambiato vita.

Dal 23 aprile 2017 si chiama suor Chiara Luce e vive nel monastero di clausura delle Clarisse a Colleluna, a pochi chilometri da Terni. L’“inciampo” con il Signore avvenne qualche anno prima davanti al crocefisso di San Damiano durante un campo scuola ad Assisi. Ricorda suor Chiara: «Per la prima volta mi ero sentita guardata, abbracciata, amata. Mai prima di allora ero riuscita a guardare il crocifisso. Per me era uno scandalo. Ma quel giorno a noi ragazzi era stata posta una domanda: è possibile lasciare tutto per seguire il Signore Gesù come hanno fatto Francesco e Chiara?». Rimugina la domanda dentro di sé per sei anni, quando torna di nuovo ad Assisi per un corso vocazionale. La svolta è un cammino di fede più intenso, a colloquio con altri frati ad Assisi, finché conosce la comunità della Clarisse di Colleluna.
CON LA LUCE NEL CUORE
Ma non tutto fila liscio, perché quella vita in monastero non era nei suoi calcoli, anzi un po’ la rifiutava, perché considerava inutile chiudersi a pregare tra quattro mura. Eppure, confida suor Chiara, «il Signore mi stava dicendo qualcosa». Così l’“inciampo” cambia la sua vita, comincia a frequentare la comunità delle suore e capisce che c’è un desiderio profondo che deve emergere. Il 10 agosto 2013 entra nel monastero, alla sera, primi vespri della solennità della madre santa Chiara. E il 23 aprile di quest’anno emette la professione religiosa temporanea, la prima di quelle previste dalle Clarisse. Sceglie di chiamarsi suor Chiara Luce, perché, come sul Tabor la luce rivela la bellezza di Gesù, così la luce entrata nel suo cuore le ha svelato e fatto capire il cammino cui era chiamata.
È nata a Monselice, nei Colli Euganei del Veneto cattolico. Una vita normale: casa, famiglia, scuola e parrocchia, prima al catechismo e poi, più grande, animatrice di Azione Cattolica. La passione per l’arte, il disegno, ma anche la bicicletta, gli amici, la campagna e la natura. Sorride: «L’arte, la natura e le persone mi hanno portato un po’ alla volta a guardare sempre di più all’Artista sopra ogni altro artista: il Creatore. Perché non c’è arte che supera la meraviglia, la bellezza dell’opera di Dio e che con noi, se ci trova disponibili, può continuare l’opera».
L’Azione Cattolica la modella: i campi, i Grest d’estate, i giovanissimi, poi l’impegno a livello diocesano, gli anni da educatrice dei più giovani, il Movimento studenti, perché il Vangelo va incarnato nella storia e la scuola ne è una parte importante. Spiega: «L’Azione Cattolica è stata per me un punto fermo, saldo soprattutto durante l’adolescenza, tempo forte e lungo di crisi, perché io alla fede ci credevo sempre di meno e volevo lasciare tutto. Devo tutto agli educatori dell’Azione Cattolica, che hanno tenuto duro e continuavano a parlarmi della bellezza del Vangelo e di una vita che valeva la pena di vivere con la fede».
Poi tutto “precipita” nel Signore. Comincia lungo la strada del Cammino di Santiago de Compostela, chilometri e chilometri a piedi da sola l’anno della maturità, con una voce che la tormentava dentro e le diceva di tornare ad Assisi dove era stata anni prima con la parrocchia.
La vita prosegue come al solito, ma dentro ogni cosa cambia. E adesso il suo nome è suor Chiara Luce, perché ha risposto alle domande del Signore, quell’Artista da cui ha capito che non poteva stare alla larga.
Osserva: «La scelta della clausura è impegnativa». Ma subito rilancia: «Quale scelta di vita è semplice?». E ricorda gli amici che le chiedevano stupiti: «Qualcuno aveva capito, altri non ne volevano sapere. Per me non c’era bisogno di tante spiegazioni. Con la famiglia sono stata molto diretta: “Il 10 agosto entro in monastero”. Punto e basta. Ricordo mio padre che scherzava e diceva: “Non vorrai mica farti suora!”. Insomma, qualche idea se l’erano fatta, ma la clausura proprio no…».
In monastero si prega e si lavora. Suor Chiara ha imparato anche a suonare la cetra durante la liturgia e poi i lavori manuali, decorazioni di ceri pasquali soprattutto. La passione dell’artista s’intreccia alla preghiera. E poi ci sono i giovani, quelli come lei, quelli che vengono al monastero e fanno domande, quelli per cui le suore organizzano incontri durante l’anno.






ASCOLTARE, NON GIUDICARE
Suor Chiara è un po’ preoccupata. Ha letto il documento preparatorio del Sinodo dei giovani ed è consapevole che i grandi cambiamenti in atto nel mondo giovanile rischiano di mettere Dio fuori dalla porta.
Cita qualche riga del documento e riflette: «Per i giovani, soprattutto in quest’epoca digitale c’è un grande bisogno, io direi urgenza, di figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste, oltre che di luoghi e occasioni in cui mettere alla prova la capacità di relazioni con gli altri e affrontare le dinamiche affettive, in un clima di ascolto e senza far pesare il giudizio. Il mio timore è vedere sempre più giovani che stanno imparando a vivere senza Dio, senza Vangelo, senza la Chiesa». E aggiunge: «La sfida più difficile è porsi davanti a una scelta definitiva di vita, perché spesso sono scombussolati dalla precarietà e da una cultura del provvisorio sempre più diffusa. Tuttavia qualcosa si può fare, a patto che noi ascoltiamo i giovani e non li giudichiamo. Se non vengono è perché si sentono spesso scartati, perché non c’è nulla che li attiri. Dobbiamo smetterla di stare fermi, ancorati al passato».
«Il Sinodo serve per interrogarsi anche sulla creatività del Vangelo per i giovani», continua, «un Vangelo che porta gioia, la bellezza dell’essere cristiani, che interpella la loro libertà e una Chiesa che sia credibile e attuale, come dice papa Francesco. Vale anche per i sacramenti. Parlo da giovane. I sacramenti vanno riscoperti, bisogna capirne il senso, altrimenti appaiono come un rituale vuoto. Invece è lì che scaturisce la grazia di Dio che tocca la nostra vita».




Fonte www.credere.it/di Chiara Santomiero

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