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Francesco agli emarginati: ci aiutate a guardare ciò che guarda Dio

Gesù invita fermamente a non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca, nemmeno di fronte alle prove più gravi e ingiuste che capitano ai suoi discepoli. Egli chiede di perseverare nel bene e di porre piena fiducia in Dio, che non delude: «Nemmeno un capello del vostro capo sarà perduto» (v. 18). Dio non dimentica i suoi fedeli, la sua proprietà preziosa, che siamo noi. Lo ha ricordato Papa Francesco ai poveri presenti in Vaticano per il Giubileo delle persone emarginate durante la celebrazione eucaristica di questa domenica.

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Omelia di Papa Francesco per il Giubileo delle persone socialmente escluse, versione integrale:

«Per voi […] sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20). Le parole del profeta Malachia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura, illuminano la celebrazione di questa giornata giubilare. Si trovano all’ultima pagina dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento e sono rivolte a coloro che hanno fiducia nel Signore, che ripongono la loro speranza in lui, scegliendolo come sommo bene della vita e rifiutando di vivere solo per sé e per i propri interessi. Per costoro, poveri di sé ma ricchi di Dio, sorgerà il sole della sua giustizia: essi sono i poveri in spirito, cui Gesù promette il regno dei cieli (cfr Mt 5,3) e che Dio, per bocca del profeta Malachia, chiama «mia proprietà particolare» (Ml 3,17). Il profeta li oppone ai superbi, a coloro che hanno posto nella loro autosufficienza e nei beni del mondo la sicurezza della vita. Di fronte a questa pagina finale dell’Antico Testamento, nascono domande che interpellano il senso ultimo della vita: dove cerco la mia sicurezza? Nel Signore o in altre sicurezze che non piacciono a Dio? Dov’è diretta la mia vita, dove punta il mio cuore? Verso il Signore della vita o verso cose che passano e non saziano?

Questioni simili appaiono nell’odierno brano evangelico. Gesù si trova a Gerusalemme, per l’ultima e più importante pagina della sua vita terrena: la sua morte e risurrezione. È nei pressi del tempio, «ornato di belle pietre e di doni votivi» (Lc 21,5). La gente sta proprio parlando delle bellezze esteriori del tempio, quando Gesù dice: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra» (v. 6). Aggiunge che non mancheranno conflitti, carestie, sconvolgimenti nella terra e nel cielo. Gesù non vuole impaurire, ma dirci che tutto quel che vediamo, inesorabilmente, passa. Anche i regni più potenti, gli edifici più sacri e le realtà più stabili del mondo, non durano per sempre; prima o poi, cadono.

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Di fronte a queste affermazioni, la gente pone subito due domande al Maestro: «Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno»? (v. 7). Sempre siamo spinti dalla curiosità: si vuole sapere quando e ricevere dei segni. Ma a Gesù questa curiosità non piace. Al contrario, Egli esorta a non lasciarci ingannare dai predicatori apocalittici. Chi segue Gesù non presta ascolto ai profeti di sventura, alle vanità degli oroscopi, alle predizioni che ingenerano paure, distraendo da ciò che conta. Tra le tante voci che si sentono, il Signore invita a distinguere ciò che viene da Lui e ciò che viene dallo spirito falso. È importante: distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure.

Gesù invita fermamente a non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca, nemmeno di fronte alle prove più gravi e ingiuste che capitano ai suoi discepoli. Egli chiede di perseverare nel bene e di porre piena fiducia in Dio, che non delude: «Nemmeno un capello del vostro capo sarà perduto» (v. 18). Dio non dimentica i suoi fedeli, la sua proprietà preziosa, che siamo noi.

Ma ci interpella oggi sul senso della nostra esistenza. Con un’immagine, si potrebbe dire che queste letture si pongono come un “setaccio” in mezzo al fluire della nostra vita: ci ricordano che quasi tutto in questo mondo passa, come l’acqua che scorre via; ma ci sono realtà preziose che rimangono, come una pietra preziosa in un setaccio. Che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Questi sono i beni più grandi, da amare. Tutto il resto – il cielo, la terra, le cose più belle, anche questa Basilica – passa; ma non dobbiamo escludere dalla vita Dio e gli altri.

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Eppure proprio oggi, quando si parla di esclusione, vengono subito in mente persone concrete; non cose inutili, ma persone preziose. La persona umana, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano. E questo è inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio. Ed è grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali.

Oggi, cari fratelli e sorelle, è il vostro Giubileo, e con la vostra presenza ci aiutate a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di Dio, a guardare quello che guarda Lui: Egli non si ferma all’apparenza (cfr 1 Sam 16,7), ma rivolge lo sguardo «sull’umile e su chi ha lo spirito contrito» (Is 66,2), sui tanti poveri Lazzaro di oggi. Quanto ci fa male fingere di non accorgerci di Lazzaro che viene escluso e scartato (cfr Lc 16,19-21)! E’ voltare la faccia a Dio. È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare. Così nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, il che è un bene, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi. È una grande ingiustizia che deve preoccuparci, molto più di sapere quando e come sarà la fine del mondo. Perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta; non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti.

Oggi, nelle cattedrali e nei santuari di tutto il mondo si chiudono le Porte della Misericordia. Chiediamo la grazia di non chiudere gli occhi davanti a Dio che ci guarda e dinanzi al prossimo che ci interpella. Apriamo gli occhi a Dio, purificando la vista del cuore dalle rappresentazioni ingannevoli e paurose, dal dio della potenza e dei castighi, proiezione della superbia e del timore umani. Guardiamo con fiducia al Dio della misericordia, con la certezza che «la carità non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). Rinnoviamo la speranza della vita vera cui siamo chiamati, quella che non passerà e che ci attende in comunione con il Signore e con gli altri, in una gioia che durerà per sempre, senza fine.

E apriamo gli occhi al prossimo, soprattutto al fratello dimenticato ed escluso. Lì punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi. Ci distolga dagli orpelli che distraggono, dagli interessi e dai privilegi, dagli attaccamenti al potere e alla gloria, dalla seduzione dello spirito del mondo.

 

La nostra Madre Chiesa guarda «in particolare a quella parte dell’umanità che soffre e piange, perché sa che queste persone le appartengono per diritto evangelico» (PAOLO VI, Allocuzione all’inizio della II Sessione del Concilio Vaticano II, 29 settembre 1963). Per diritto e anche per dovere evangelico, perché è nostro compito prenderci cura della vera ricchezza che sono i poveri. Ce lo ricorda bene un’antica tradizione, riguardante il santo martire romano Lorenzo. Egli, prima di sostenere un atroce martirio per amore del Signore, distribuì i beni della comunità ai poveri, da lui qualificati come veri tesori della Chiesa. Ci conceda il Signore di guardare senza paura a ciò che conta, di dirigere il cuore verso di Lui e verso i nostri veri tesori.




+++ Il servizio video a cura del CENTRO TELEVISIVO VATICANO +++
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a cura di Francesco Rossi per la Redazione Papaboys

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