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Festa della donna in Guatemala

L’assenza dei diritti è una grave e pericolosa ingiustizia sociale, perché offre la possibilità ai potenti di sfruttare e piegare al loro volere le classi deboli di cui le donne in alcune parti del mondo ne fanno ancora parte. L’impunità dei crimini perpetrati sulle donne, come i maltrattamenti, gli abusi e lo stalking è la strada che conduce a forme di violenza dalle quali non vi è ritorno. A Tacanà, non si festeggia ma si continua come ogni giorno a lottare per ottenere il riconoscimento come individui, come persone con una mente e con capacità da poter mettere a servizio di una società. La donna del popolo indigeno guatemalteco è fondamentale per dare vita alla comunità sociale importante che è la famiglia. E’ lei che genera la vita e dona la propria per la crescita dei figli, lavorando alacremente in condizioni che vanno oltre ogni immaginazione. Si caricano di tutte le responsabilità ed annullano se stesse, prodigandosi alla cura, all’educazione dei loro bambini ed assistono gli anziani. La Chiesa, in terra di missione, si impegna attraverso la pastorale della donna ad organizzare incontri di formazione per aiutarle a comprendere che non sono nate unicamente per procreare ma per essere rispettate, amate e considerate capaci di pensare e decidere per la loro vita. Ogni donna ha desideri e sogni da realizzare ed uno dei suoi compiti è quello di impegnarsi affinché questi possano essere vissuti per sentirsi persone autentiche e non burattini nelle mani dell’uomo.

Il messaggio che lascio continuamente alle donne che incontro e che mi affiancano nella missione è quello che non devono mai dimenticare che sono loro le protagoniste della propria vita e che nessuno ha il diritto di calpestarle, che non sono sole nel viaggio della vita perché Dio non abbandona nessuno. Le sprono a costruirsi degli spazi nei quali possano esprimersi con libertà e confrontarsi tra loro per risolvere insieme, alla luce della Parola, i problemi dell’essere donna nel contesto in cui vivono. Le donne di Tacanà sono povere, non hanno frequentato la scuola ma sono forti, con una forza che destabilizza, sono coraggiose,con un coraggio che spiazza, sono intelligenti, con un’intelligenza viva e fertile. La fede le spinge a prendere in mano il loro destino, a curare i loro figli denutriti, a cercare lavoro, acqua, cibo e anche amore per se stesse. Spesso si pensa che i poveri non abbiano bisogno di un abbraccio, un bacio, una carezza, che sia superfluo dire loro parole d’amore, scrivere per loro una lettera d’amore, dedicare un complimento, donare un fiore. Per i poveri si pensa solo che sia necessario dare da mangiare, da vestire, una casa, dei soldi… ma non è così.

Queste donne dimostrano più anni di quanti ne hanno perché gli stenti invecchiano, non sono curate, ben vestite, profumate, truccate, posseggono unicamente un vezzo: i lunghi capelli corvini che con un semplice pettinino di plastica, tenuto nel taschino del loro grembiule, ogni tanto fanno scivolare tra i capelli per intrecciarli o raccoglierli alla sommità del capo. Se si riuscisse ad entrare profondamente nel loro cuore si aprirebbe un mondo infinitamente bello, pieno di semplici desideri e di sogni romantici, si scoprirebbe un unico bisogno naturale, quello della “tenerezza”. Quest’8 ;Marzo lo dedicherò alle donne che soffrono, che lavorano, che studiano, che lottano affinché la loro dignità non venga calpestata, che sperano in un futuro migliore dove la donna venga considerata fonte di ricchezza, uno dei pilastri portanti di una società civile. Il Signore benedica le donne di tutto il mondo.  Un saluto dal Guatemala. di Padre Angelo Esposito

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