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È Delpini il nuovo arcivescovo di Milano

L’annuncio dato oggi da Curia e Vaticano. Succede al cardinale Angelo Scola, che lascia per raggiunti limiti di età.

Ecco chi è Delpini: Mario Delpini, 66 anni a fine mese, attuale vicario generale della diocesi di Milano, è il nuovo arcivescovo e succede al cardinale Angelo Scola, in carica dal 2011 alla guida della diocesi ambrosiana.

La scelta di Papa Francesco è dunque caduta sul candidato che la consultazione interna nella diocesi aveva indicato come favorito. È probabile che Scola come già aveva fatto il predecessore Dionigi Tettamanzi – le cui condizioni di salute si sono aggravate in questi giorni – si congedi da Milano l’8 settembre, e che Delpini faccia il suo ingresso ufficiale in uno dei successivi fine settimana dello stesso mese.

Il processo che ha portato alla nomina di Delpini ha subito un’accelerazione negli ultimi due mesi. È stato infatti lo stesso cardinale Scola a chiedere esplicitamente al Papa che il successore fosse annunciato entro l’inizio dell’estate, senza prolungare le attese, così da cominciare l’anno pastorale con il nuovo arcivescovo già insediato. Peraltro Delpini conosce già la diocesi, nella quale ha vissuto per tutta la sua vita, e dunque il passaggio di consegne sarà alquanto semplice.

Nato a Gallarate, è entrato in seminario nel 1967 ed è stato ordinato prete nel 1975 dal cardinale Giovanni Colombo (arcivescovo di Milano dal 1963 al 1979). Si è laureato in lettere all’Università Cattolica, ha ottenuto la licenza in teologia e poi il diploma in Scienze patristiche all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Ha insegnato greco e patrologia nei seminari milanesi. È stato rettore del liceo del seminario di Venegono, quindi è diventato rettore nel quadriennio teologico e dal 2000 al 2006 rettore maggiore. Il cardinale Dionigi Tettamanzi lo ha nominato vicario della Zona pastorale VI di Melegnano e nel 2007 lo ha consacrato vescovo ausiliare. Nell’aprile 2012 l’arcivescovo Scola lo ha scelto come vicario generale della diocesi e due anni dopo gli ha affidato anche la formazione permanente del clero.

La sua nomina rappresenta una scelta di continuità ma allo stesso tempo originale. È di continuità, perché Delpini è stato stretto collaboratore degli ultimi tre arcivescovi di Milano, da Martini, che lo volle rettore del seminario, a Tettamanzi che l’ha voluto suo ausiliare, fino a Scola che l’ha scelto come numero due della diocesi. È originale, perché non è ascrivibile a nessuna cordata e perché ha vissuto tutta la sua vita di prete e di vescovo in diocesi di Milano: l’ultima volta questo è accaduto più di mezzo secolo fa, con la nomina di Colombo, anch’egli rettore maggiore del seminario e poi vescovo ausiliare della diocesi, scelto da Paolo VI poche settimane dopo l’elezione al pontificato come suo successore sulla cattedra ambrosiana.

Chi conosce bene Delpini lo descrive come un uomo «molto spirituale, umile ma non remissivo, grande lavoratore, lontano dall’identikit del vescovo-manager, molto attento al rapporto personale con i preti». Vive alla Casa del Clero, insieme ai sacerdoti anziani e in città si muove in bicicletta, con caschetto e giubbotto catarifrangente. Nel 1998 ha pubblicato un libro intitolato “Reverendo che maniere! Piccolo Galateo Pastorale”, con appunti «affettuosi e scanzonati» nei quali invitava a liberarsi «dalle zavorre di un certo clericalismo e dell’efficientismo manageriale». Delpini predica spesso usando aneddoti, racconti, storie di vita, e ha appena ripubblicato un libro intitolato “E la farfalla volò” (Ancora Editrice), contenente 52 brevi apologhi, piccole fiabe per bambini ma capaci di parlare agli adulti.






La scelta di un arcivescovo con questo identikit, invece di puntare su altre figure di vescovi di diocesi vicine o su giovani outsider (in una diocesi che negli ultimi cent’anni di outsider importanti ne ha avuti parecchi, dal beato Alfredo Ildefonso Schuster al beato Montini fino a Martini, tutti e tre non ancora vescovi al momento della designazione al vertice della Chiesa di Milano), sta a indicare quelle che Papa Francesco considera priorità per la diocesi ambrosiana. E s’inserisce nella stessa scia che ha portato alla nomina di Angelo De Donatis a Vicario di Roma, anch’egli ausiliare e molto vicino ai sacerdoti. Non ha invece fondamento l’indiscrezione secondo la quale molti sacerdoti milanesi, durante la discussione in consiglio presbiterale, avrebbero chiesto un nuovo arcivescovo proveniente da fuori: su un centinaio di interventi in quel senso si sono espresse solo poche voci isolate. Mentre il principale elemento come identikit ha riguardato l’auspicio che si trattasse di un uomo di fede.

Alla vigilia della visita di Francesco a Milano, Delpini aveva detto al quotidiano “Repubblicaˮ: «La nostra Chiesa per quanto generosa, organizzata, intraprendente, è qualche volta segnata da ansia, tristezza, preoccupazione, dal pensiero di non farcela, di non avere abbastanza risorse per far fronte ai tanti problemi. La gioia del Vangelo è proprio uno di quei messaggi di cui abbiamo bisogno. C’è una fonte della gioia che il Papa conosce e che noi abbiamo dimenticato, la gioia non viene dal successo o dall’avere tante risorse, ma da una più profonda spiritualità, una comunione col Signore più abituale». Parole significative che indicano l’approccio peculiare di Delpini, il quale, si può azzardare sulla base del suo profilo, si preoccuperà meno sulle strutture contrastando sia il neo-clericalismo sia l’efficientismo che vede i preti trasformarsi in manager, per puntare maggiormente sul rapporto con i preti e sulla vita ordinaria delle parrocchie.

La visita pastorale che Scola ha condotto negli ultimi tempi, come pure la visita di Papa Francesco a Milano, hanno segnato il cammino della diocesi. L’arcivescovo uscente ha scritto nelle scorse settimane una lettera a conclusione di questa esperienza: «Non dobbiamo più racchiuderci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né ostinarci nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla comunione. Penso qui alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o nell’accogliere gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. Ma, con una limpida testimonianza, personale e comunitaria, con gratitudine per il dono di Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affascinante per quanti quotidianamente incontriamo». Quasi una road map per il successore.




Fonte www.lastampa.it/Andrea Tornielli

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