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Don Raffaele, una vita nelle carceri nel nome di Francesco

Per 23 anni è stato cappellano del carcere Secondigliano, a Napoli. Da tantissimo tempo poi segue progetti umanitari in Burundi, nel cuore dell’Africa.

Esperienze lontane, da un punto di visto “geografico”, ma con un unico e preciso obiettivo: occuparsi degli ultimi. Oggi don Raffaele Grimaldi, 61 anni, è l’Ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane.

Dal 2017 coordina i circa 250 sacerdoti (a cui si aggiungono diaconi, suore, volontari…) che seguono giorno dopo giorno la pastorale carceraria, ovvero la presenza della Chiesa nei penitenziari, e che incontreranno il Papa sabato 14 settembre in udienza nazionale, nell’Aula Paolo VI.

Di papa Francesco don Raffaele è un “super fan”. Trova che il messaggio del Pontefice abbia un ruolo determinante nel suo lavoro quotidiano: «Con il Giubileo della Misericordia, il Santo Padre ha lanciato un messaggio molto forte per la società, che troppo spesso è ostaggio di pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato. La Chiesa invece non vuole giudicare, ma offrire misericordia, aiutare l’altro a prendere coscienza di ciò che ha fatto, del male che ha commesso… Del resto, come dice Francesco, “solo quello che si abbraccia può essere trasformato”. La Chiesa deve fare proprio questo, è il suo atto d’amore».

Che cosa fa il cappellano di un carcere?

«Nonostante l’epoca di crisi di fede che stiamo attraversando, resta un punto di riferimento. E non solo per i detenuti: per tutti. Il cappellano “accoglie” anche la polizia penitenziaria, il personale amministrativo, tutti gli altri operatori…».

Quali sono le sue difficoltà principali?

«Molto spesso facciamo fatica a svolgere con serenità il nostro ministero in carcere. Manca il personale, manca la sicurezza… Il cappellano è un po’ un eroe dei nostri tempi: dà, senza aspettarsi una ricompensa. Siamo annunciatori della Parola del Signore che proponiamo a tutti, senza mai imporla».

Il Papa ha definito la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia… I cappellani sono idealmente i suoi primi medici e infermieri?

«Sì. Siamo lì per offrire speranze e certezze per il futuro, per far risollevare dalle cadute, per curare le ferite dei detenuti. Siamo missionari della Misericordia. E quando i detenuti escono e non sanno dove andare, ci adoperiamo per accoglierli o farli accogliere nelle strutture giuste».

Costruite ponti, non muri…

«Sì, è proprio come dice il Papa! Vogliamo favorire il reinserimento nella società dei detenuti che hanno scontato la pena aiutandoli nel percorso di fede che hanno cominciato o riabbracciato in prigione».

IL DONO DI UNA GIORNATA DI PREGHIERA PER I DETENUTI

Un’iniziativa dell’Ispettorato a cui don Grimaldi tiene molto è la Giornata regionale della Misericordia degli istituti penitenziari. Spiega: «Cade nel sabato che precede la domenica della Misericordia (la domenica successiva alla Pasqua: nel 2020 sarà il 18 aprile). Grazie alla collaborazione con magistrati e direttori, i detenuti sono autorizzati a uscire dal carcere per  ritrovarsi coi familiari in una giornata di preghiera e testimonianza… È il nostro modo per consentire loro di tornare a confrontarsi con le persone e la vita reale. Al progetto hanno aderito Campania, Calabria, Puglia, Basilicata, Sicilia e Lazio: vorremmo che diventasse una giornata nazionale».

Di Valentino Maimone per Ilmiopapa.it

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