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Don Mesiti e il carcere di Palmi, così si muore e si risorge

Don Mesiti e il carcere di Palmi, così si muore e si risorgeLa giunta della regione Calabria decide che le prestazioni di aiuto offerte a bambini disabili, quelli che hanno bisogno di riabilitazione psicomotoria, passeranno da 12.000 a 10.500. Si parla di Palmi, si parla dell’Associazione Presenza, si parla di anziani non autosufficienti, si parla di poveri, si parla di carcerati, si parla di tanta tanta gente sana che sta decontaminando un territorio inquinato di mafia, si parla del carcere di massima sicurezza, si parla di don Silvio Mesiti. Io, per caso, sono a Palmi per il triduo santo, con degli amici del Campus Bio-Medico. Sono a Palmi per celebrare la Pasqua. Di Palmi sapevo che c’era il super carcere famoso, quello dei tempi di Curcio e Franceschini. Ma a Palmi c’è anche la Calabria che ti aspetti, quella che conosce tante pagini tristi e violente e gode di pessima pubblicità: terra di ‘ndrangheta, malaffare e malcostume, con una natura bellissima ma violentata da un abusivismo senza vergogna.
A Palmi però c’è anche la Calabria della Risurrezione e della Pasqua quotidiana. Dove si muore e si risorge. Dove si soffre e si gioisce. Dove si fatica e ci si riposa il cuore. Dove se la regione ti toglie 1500 aiuti ai bambini, tu gli aiuti non li diminuisci perché li farai gratis, e troverai come costruire con più sudore e meno sovvenzioni. Ai tempi del sequestro Moro, don Silvio riceveva le telefonate di Paolo VI per capire, per amare, per soffrire non da solo. Don Silvio ti racconta di Franceschini picchiato perché stava cambiando e che passa in ginocchio tutto il tempo della Messa che celebra nella sua cella.
Venire a Palmi a fare il triduo santo vuol dire farsi venire voglia di cristianesimo, rinverdire vocazione e vita. Una primavera di clima e di scuola dell’ umano.
Lontano dai palazzi romani, dal centro del mondo cattolico, in questa periferia geografica e umana, si capisce cosa è il cristianesimo nell’unico modo possibile, come 2000 anni fa: vedendolo e ascoltandolo. Si capisce cos’è il cristianesimo perché si vede. Andare, vedere e rimanere incantati: sono i tre verbi di questo triduo santo.
Don Silvio ha 71 anni e da quando ne ha 27 è parroco della chiesa attuale – la concattedrale – e cappellano del super carcere. Se scherzo dico che un super carcere vuole un super cappellano, se faccio sul serio dico che è un uomo, un innamorato di Cristo, che da da solo non può nulla e lo sa. Ha ucciso la carità per delega. È innamorato di Cristo e perciò dell’ uomo, della società civile, e gli occhi gli brillano sia per i bimbi disabili che per le decine di contratti a tempo indeterminato, per gli stipendi pagati ogni mese in anticipo, per i parenti dei carcerati cui dá lavoro, per il Centro Presenza in cui i parenti delle vittime e dei carnefici dovrebbero imparare a riconciliarsi, dei dirigenti dell’associazione che lavorano gratis.
Chi sta alle periferie ha bisogno del centro, ha bisogno di chi sta fuori: don Silvio sarebbe contento che la regione pagasse i propri debiti e che non facesse i tagli prima di capire dove sono gli sprechi. Loro hanno bisogno del centro. Ma noi che stiamo al centro, che stiamo fuori, abbiamo bisogno, tantissimo bisogno, di questa comunione, se no ce la scordiamo.
Gesù oggi vive l’ultima cena che non fu una cena solitaria tra lui e Dio Padre, ma con tutti, proprio tutti, innocenti e traditori, vittime e carnefici.
I giorni della passione sono giorni in cui Gesù non ha fatto il super uomo, né il selfmademan ma ha chiesto l’aiuto di chi aveva accanto. Alcuni ce l’hanno fatta, altri no. Alcuni hanno dormito, altri no. Alcuni hanno tradito, altri no. Alcuni hanno tolto 1500 prestazioni, altri le hanno fatte gratis. C’è la folla intorno a Gesù: don Silvio non è solo ma tutta la società civile sana, sia fuori che dentro il carcere, sta con lui e rimane con lui, sveglia e fino alla fine. A Palmi si vede.
E quando vedi il cristianesimo vedi tutto l’uomo e la sua vicenda umana che chiamiamo vita. Come è simile la vita di Gesù alla vita di chi sta alle periferie.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da IlSussidiario.net


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