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«Noi, divorziati risposati, da respinti a figli amati (e che amano)»

«Quel dito puntato ci provocava dolore ma anche il bisogno di chiedere aiuto». I Gruppi Acor della diocesi di Milano per separati e divorziati festeggiano dieci anni di attività. Abbiamo raccolto le loro testimonianze di dolore, fatica e speranza.

Catia e Arcangelo sono una coppia di nuova unione di Sulbiate, «segno tangibile della presenza della Chiesa». Sposati dal 2001 e genitori adottivi di una bimba, Catia viene da una separazione prima e poi il divorzio. Arcangelo dal canto suo è uscito dalla Chiesa «quando mi è stato chiesto di accontentarmi di un progetto fraterno verso la donna che amavo. Sentivamo il peso di essere sbagliati, ci sentivamo fuori luogo nella comunità cristiana. Tuttavia restava forte la voglia di mantenere il legame col Signore e sederci sulle panche più lontane dall’altare ci faceva sentire meno colpevoli, quando il sacerdote dall’altare ci faceva sentire sbagliati. Quel dito puntato provocava fastidio, dolore, voglia di fuggire, ma anche bisogno di aiuto. Provavamo rabbia e smarrimento. “Com’era possibile” ci chiedevamo “che quel pastore non venisse a cercarci?”. Affidarsi a un Dio d’amore è stata l’unica scelta possibile. Testardi e bisognosi di conforto abbiamo avuto fame di Dio. Così diversi anni dopo, cercando informazioni per il battesimo di nostra figlia, abbiamo scoperto che a Desio c’erano altri fedeli che condividevano il nostro cammino: il gruppo Acor. Ci è sembrata una fiammella in fondo al tunnel. Lì abbiamo incontrato belle persone, coppie regolari, ovvero non perfette ma persone disposte a camminare al nostra fianco con uno spontaneo atteggiamento fraterno. Ci siamo sentiti accolti, mai condannati o colpevolizzati. Con loro abbiamo condiviso rabbia e dolore. Con il tempo i sentimenti negativi si sono sopiti e, a nostra volta, abbiamo deciso di accogliere. Questa esperienza è stata una sorta di unguento, ci siamo trasformati fino ad arrivare ad animare alcune serate perché ci sembra doveroso restituire quanto avevamo ricevuto. E ogni mese aspettiamo l’appuntamento come persone fedeli e amici di Gesù. Oggi Catia fa la catechista e lo scorso 28 maggio quando la bimba ha fatto la prima Comunione lei ha letto la preghiera dei fedeli. Un’emozione che è ulteriore motivo di ringraziamento al Signore».

Luca all’esperienza del gruppo si è avvicinato grazie a un’amica della madre. «Il gruppo inizialmente lo sentivo corpo estraneo che voleva entrare nelle parti più delicate della mia vita. Tornarci ogni volta era è stato doloroso e la tentazione di andarsene era grande. Mi sentivo combattuto. La fortuna è stata che tra i partecipanti ci fossero persone che conoscevo sin da bambino il che mi ha fatto sentire meno colpevole. Oggi lo consiglierei a tutti. La condivisione di gioie e sofferenze mi ha aiutato a vedere quel germoglio che può trasformare il deserto in un prato, germoglio che se non curiamo e innaffiamo con l’acqua del perdono, non può crescere e muore».

Alessandra, 41 anni, da otto è divorziata. Da sei vive con un compagno e una figlia di sedici anni. Ancora oggi quando racconta di sé un nodo le stringe la gola e la commozione rompe la voce. «Mi sentivo inadeguata e non riuscivo ad andare in Chiesa. Un giorno ho bussato alla porta del parroco e mi ha suggerito i gruppi Acor. La prima sera ero disorientata, ma da subito mi sono sentita accolta e ascoltata ed è diventato un appuntamento a cui non volevo mancare. Grazie agli incontri sono riuscita ad alleggerire il peso del mio fallimento matrimoniale. Dopo tre anni è arrivata la proposta di guidare un gruppo e ho accettato per dire agli latri che non siamo soli e abbandonati, ma che siamo un dono, come dice papa Francesco, e come tale siamo accolti e amati dalla Chiesa. Da quattro anni col parroco portiamo avanti il gruppo di Acor. Vivere la fede personalmente non è sempre facile, soprattutto rinunciare all’Eucarestia imparando a vivere la comunione spirituale. Durante la Comunione ricevo al Benedizione del parroco e nel momento penitenziale si incontrano il mio dolore e il suo che per obbedienza alla Chiesa non può darmi la Comunione (si commuove). Ma questo dolore reciproco lo trasformiamo in amore ottenendo il perdono per un’altra strada».

Flavio e Astrid, sposati dal 2011 con due figli, dopo che Flavio era già stato sposato e poi divorziato divorziato con tre bambine dalla precedente unione, prima utenti di Acor, dopo la scuola di formazione diocesana da 4 anni guidano il gruppo di Tradate. «Il cuore del gruppo Acor è ascoltare le persone. Bisogna far uscire il dolore e la fatica, il senso di colpa e fallimento che si portano dentro. Dire il dolore con fatica e accompagnare il passaggio».

Don Gianluigi Frova, che anima il gruppo Arcor di Seregno, per anni come parroco di Monza ha accolto il dolore delle persone ferite. «Il desiderio di Eucarestia, la sensazione di essere esclusi dalla Chiesa, la sensazione che Dio ci guardi male procura grande sofferenza, ma fa riscoprire quanto sia bello invece sentirsi a casa in Chiesa, fare la Comunione. Chi non può vivere tutto ciò è il miglior catechista di chi invece può. Chi non può accedere ai Sacramenti e si sente escluso è come fosse una scintilla di Paradiso, un’anticipazione sulla terra. La forma più trasparente e limpida di fede che ne ribadisce l’importanza».

Don Giancarlo Airaghi con don Silvano Caccia ha iniziato il percorso e oggi riflette sul ruolo del sacerdote alla luce anche dell’Amoris Laetitia di papa Francesco. «Sento che noi sacerdoti dobbiamo cambiare l’approccio e la qualità dell’incontro con le persone. Il Papa parla di una pastorale “corpo a corpo” dove leggere ogni situazione in maniera individuale. Il che vuol dire che usciremo dal confessionale più sudati ma più veri, perché la Grazia di Dio si manifesta nella nostra vita nelle persone chi incontriamo. Ecco allora che dobbiamo portare avanti con pazienza e dolcezza il nostro servizio».

Sono queste le testimonianze di persone ferite e accolte – e di chi le sostiene -, persone rinate grazie al Gruppo Acor della Diocesi di Milano che da dieci anni affianca e sostiene le loro esperienze facendo sentire la vicinanza di Dio. «Acor come la Valle dove Dio, nell’episodio citato dal profeta Osea in cui paragona l’infedeltà del popolo di Israele all’infedeltà della sua sposa, invita la sposa stessa per parlare al suo cuore» spiegano Biagio e Marina Savarè che, Don Fabio Viscardi, sono tra i pionieri e responsabili di questa esperienza. «Un incontro che trasforma il suo cuore che da arido e sterile si rinnova e riprende a vivere».
Le voci si susseguono in una giornata di festa a Villa Sacro Cuore a Triuggio (Milano) per i dieci anni dell’associazione che dal 2007 accompagna chi, dopo aver attraversato il deserto e aver vissuto la tempesta, si è chiesto dov’è Dio e lo ha ritrovato in maniera autentica. Moltiplicandosi sul territorio fino a contare 22 gruppi per le sette zone pastorali.

Michela e Luigi Magni, con don Luciano Andriolo, sono i responsabili dell’ufficio Famiglia della Diocesi di Milano. A loro, ma poi nelle parole e nei cuori di tutti, il ricordo di don Silvano Caccia «che per primo intuì il dolore della ferita e lo raccolse coinvolgendo i laici, tra cui Marina e Biagio Savaré, in un’esperienza che nel tempo ha fruttato incontri e contatti. Ecco, a tutti loro il nostro grazie per aver continuato ad amare questa Chiesa. La pastorale conta sul vostro impegno e ci fa da sprone per non fermarci davanti alle difficoltà che voi per primi ci avete dimostrato si possono essere superate».

Card. Martini




LA PROFEZIA DEL CARDINAL MARTINI

A Edoardo e Renata Faini, referenti della Zona 3, il ricordo di Carlo Maria Martini «grazie a Lui per la pastorale che oggi viviamo tutti noi. Nel 97/98 scrisse una lettera “I tre racconti dello Spirito” dove invitava i movimenti della Diocesi a mettersi in dialogo con lui. Equipe di Notre Dame rispose, nell’ottobre del ’98 ci fu un incontro regionale. In quell’occasione furono tanti i temi di confronto; tra questi l’allora Arcivescovo di Milano ci confidò la preoccupazione per tante coppie in crisi. “Come aiutare le coppie in difficoltà?” ci chiese. E aggiunse: “A voi il dono grazie alla Santità di coppia per medicare le relazioni malate”. Un linguaggio, il nostro dal suo punto di vista, capace di affrontare la crisi coniugando la premurosa benevolenza del medico e con la misericordia di Dio. Un intervento il suo che fu profetico se alcune coppie si sentirono interpellate personalmente a trovare una pastorale per le coppie ferite. Pregando insieme e mettendosi in ascolto dello Spirito per trovare un cammino».

LA SPERANZA OLTRE I FALLIMENTI
Ecco perché per Biagio e Marina Savaré «oggi festeggiamo i vent’anni della profezia del cardinale Martini e i dieci di Acor. In mezzo dieci di riflessione – gestazione. Nel 2000 Ernesto Emanuele aveva iniziato a proporre incontri di preghiera per le persone separate. Dobbiamo dire grazie a lui e don Silvano Caccia. Ernesto diceva sempre: “mi sono sposato con cinque preti e mi sono separato da solo”. Quelli erano gli anni della Misericordia coniugata alla verità, ma con l’accento più sulla seconda. Le persone separate si sentivano più giudicate che altro. Ernesto creò gli incontri di preghiera per dimostrare che non si era da soli. Don Caccia, diventato nel frattempo responsabile dell’ufficio pastorale della Famiglia, si sentì di occuparsi del tema e così pure la Conferenza Episcopale Lombarda per ridare speranza oltre i fallimenti. Don Silvano, che nel frattempo aveva saputo che io e Biagio da anni frequentavamo gli incontri di preghiera con Ernesto Emanuele ci venne a incontrare dicendoci che la Diocesi aveva bisogno di noi. Nonostante il problema diventasse di giorno in giorno sempre più diffuso non fu facile per don Silvano costituire il gruppo che vide la luce solo nel 2007 con una coppia per zona pastorale, una suora, don Fabio Viscardi e don Giancarlo Airaghi che partecipavano alle serate».
Primo obiettivo per don Silvano era la formazione. «Prima bisognava formare il gruppo, con obiettivi condivisi e uno stile di lavoro, costruire legami e stima reciproca. Sperimentare l’esperienza della comunità più ampia, quella della Chiesa. Oggi gli siamo grati perché la comunità è fatta di tante persone insieme che stimandosi e volendosi bene cercano di mettersi in gruppo e rispondere alla chiamata dello Spirito».
Nel Febbraio del 2008 un’altra pietra miliare. La lettera del cardinale Dionigi Tettamanzi “Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito”. «Per la nostra pastorale è stato come uscire dalle catacombe. Quell’anno eravamo pronti per far partire i gruppi e gli spazi di incontro nella fede. Nel 2009 don Silvano morì per un incidente, ma il gruppo doveva proseguire. Ecco che scegliemmo il nome Acor col desiderio di tradurre concretamente la vicinanza di Dio a chi ha il cuore ferito».

COMPAGNI DI VIAGGIO

Antonio e Francesca Battaini, referenti zona 2, hanno mosso i primi passi di un’esperienza iniziata come una scommessa. «Partendo dal vangelo di Luca e dalle parabole di Misericordia, condividendo le sofferenze, i motivi di rabbia frustrazione verso l’ex coniuge e la Chiesa stessa, il timore per i figli e la loro educazione o ogni volta che arrivava una persona nuova. Questo ci ha permessi di crescere lasciandoci interrogare dalla Parola per condividerla poi con chi incontravamo. Persone con ferite a cui ci siamo messi accanto come compagni di viaggio cercando di mostrargli che la valle di lacrime poteva diventare una valle di speranza. Ferite che possono diventare feritoie in cui far passare l’Amore e la speranza di Dio». Un grazie anche all’Amoris Letitia di papa Francesco per il suo “Accompagnare, discernere e integrare”.




LA FORMAZIONE
A Lucia Carabelli, separata e attualmente vedova, invece, il compito di ribadire l’importanza della formazione. «Fondamentale per aiutare le persone che accompagnano i separati a sapere come farlo. Per comprendere quali sono i passaggi dell’elaborazione della separazione che è uguale all’elaborazione di un lutto; formazione che ci aiuta ad avere obiettivi condivisi pur avendo modalità diverse, frutto del carismi dello spirito santo. Il formarsi insieme garantisce unità nella diversità». Una formazione che è rivolta non solo agli operatori della pastorale familaire, ma anche ai catechisti, ai sacerdoti che devono sensibilizzare la comunità ad avere uno spazio preciso per le persone separate. Spazio dedicato a ogni categoria (giovani, anziani, sposati) e quindi anche alle persone separate. Perché uno degli aspetti più evidenti resta la solitudine».
Due i momenti formativi importanti di Acor: uno a Seveso, con due giorni sulle tematiche fondamentali. E le scuole diocesane per operatori pastorali (Sdop) che partono ogni qual volta in cui un’équipe lo richiede. «Separati che dopo qualche anno decidono di rendersi operativi in questa pastorale. Un impegno importante perché meglio di tutti sanno accogliere i fratelli che hanno vissuto una ferita». Segno che il convegno della Cei di Salsomaggiore del 2011 ha avuto risposta. In quell’occasione si auspicava che i separati diventassero sempre più soggetto di pastorale.

IL FUTURO DI ACOR

Ad Auretta Benedetti, “figlia adottiva di Acor”, ribadire la missione centrale di Acor e di annunciarne gli sviluppi futuri: «il dialogo con chi vive la sofferenza per introdurre un rinnovato modo di essere partecipe della Chiesa di Cristo da cui nessun può sentirsi escluso. Un dialogo per accogliere i bisogni che per le persone dal cuore ferito è un luogo dove esprimere la propria sofferenza. Un carico emotivo che rende difficile un approccio immediato alla Parola, perché prima viene il bisogno di esprimere il proprio dolore. Ecco allora l’idea di elaborare un cammino che parta dall’elaborazione del vissuto delle persone per poi aprirsi al cammino spirituale. E un piccolo avamposto del gruppo Acor che da più di un anno lavora per formare un gruppo di cammino nell’ottica dell’accoglienza (Gruppo di accoglienza) che si articola su due snodi: cosa sento e cosa posso fare. Per guardare alle proprie ferite e vedere la verità del proprio presente, guardare a se stessi con fiducia sapendo che siamo un mix di possibilità e limiti, dove l’ultima tappa non a caso è il perdono degli altri e di se stessi. Così Difficile e così redentivo. In cui aprire il cuore ferito alla Parola di Dio che non scompare, ma vuole costituire l’approdo di un percorso».

SPOSATI DA SEMPRE
A chiudere gli interventi Adriana e Sergio Corbetta, responsabili della zona 5: «ci siamo sempre chiesti: “perché proprio noi che ci sopportiamo da 39 anni?” Perché ad accogliere doveva essere tutta la Chiesa, persone sposate, separate da anni, divorziate e sacerdoti, tutti insieme. In una grande esperienza di Chiesa. Una vicinanza che anche le nostre comunità dovrebbero vivere. Un grazie, infine, a don Silvano Caccia che ci ha immesso in questa ricchezza di bene e alle persone che hanno fatto crescere il nostro matrimonio: dalla sofferenza abbiamo imparato come si deve amare».




Fonte www.famigliacristiana.it

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