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Diagnosi su embrioni, ma con regole

Diagnosi su embrioni, ma con regoleSiamo proprio sicuri che la Corte Costituzionale abbia fatto cadere sic et simpliciter il limite per l’accesso alla fecondazione assistita riservato dalla legge 40 alle sole coppie sterili, come sostengono i promotori dei ricorsi davanti ai giudici? Il nostro è più di un dubbio: la tesi di una bocciatura senza alcuna precisazione di un punto qualificante della norma è stata messa in circolazione sulla base di pure e semplici indiscrezioni. Nessun comunicato, nessun dispositivo, e tantomeno nessuna sentenza sono usciti dalla Corte: un mese esatto dopo l’udienza pubblica nel corso della quale fu discusso il ricorso di due coppie portatrici di anomalie genetiche trasmissibili che desideravano avere un figlio privo della loro malattia, le voci uscite da Palazzo della Consulta non autorizzano certo a concludere per l’apertura di un “buco” nella legge privo di qualunque criterio che precisi e circoscriva le ricadute della sentenza. Da quanto trapela, piuttosto, appare verosimile e chiaro che da una discussione lunga e ponderata – ma anche assai divisiva – come quella tra i 13 giudici che compongono il collegio (due meno dell’organico al completo) sia uscito un verdetto tecnicamente molto articolato e complesso, impossibile da riassumere nelle cinque righe della consueta nota che la Corte era solita diffondere in casi simili a questo. 

Prima di concludere per l’apertura della provetta a coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche – come si è sentito dire ieri – occorre dunque attendere il testo della sentenza, anche se non si conoscono i tempi di pubblicazione. Da quanto si apprende, non si tratterebbe però di una bocciatura secca del divieto vigente ma di una sentenza con una parte “additiva”: accade infatti che la Corte Costituzionale non si limiti a dichiarare illegittima una parte di una legge ma precisi criteri ben definiti di riferimento per delimitare l’ambito del suo intervento senza creare vuoti legislativi o ambiguità interpretative in modo che anche il legislatore possa intervenire sulla norma per adeguarla alle indicazioni. Tutto questo lavorìo, così come una sentenza per la quale occorrano così tanto tempo, altrettanta riservatezza e l’annunciata complessità del testo finale, sarebbero ingiustificati se la Corte fosse arrivata – come si vuole far credere – a una nitida scelta di affondamento del “no” alla selezione della vita umana in base a una malattia. Nessuno vuole aprire all’eugenetica, e questo i giudici mostrano di averlo molto chiaro vista la loro grande cautela. 

Giustamente Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale di Scienza & Vita, commenta che le frammentarie anticipazioni aprono «una serie di interrogativi» legati al possibile «mancato rispetto di tutte le vite umane, alcune delle quali, per sentenza», possano avere «minor valore perché disabili». E aggiunge: «Nella vicinanza alle coppie portatrici di una grave malattia e al loro desiderio di avere un figlio che non ne sia affetto, ribadiamo che non è ragionevole prevedere una norma che rischia di aprire la strada all’eugenetica. La ricerca di una cura per le malattie genetiche può essere raggiunta per altre vie, non certo attraverso l’eliminazione dei malati, scardinando in tal modo i princìpi di uguaglianza e di solidarietà. Nessun medico potrà mai garantire il rispetto di un presunto “diritto al figlio sano”».

Di Francesco Ognibene per Avvenire

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